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La strada per Los Angeles
 
La strada per Los Angeles 2015-05-12 02:53:47 Bruno Elpis
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    12 Mag, 2015
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Uno svitato? Sì, no… uno scrittore!

Ne “La strada per Los Angeles” di John Fante, Arturo Bandini è divenuto un diciottenne (“Io, a diciott’anni, e ancora mi succhiavo il pollice!”) mitomane, arrogante, blasfemo, onanista, razzista e… irresistibile.
Irresistibile perché incarna la figura dell’antieroe, interpretando le tendenze caratteriali che spesso nell’adolescenza trovano espressioni enfatiche, se non addirittura deliranti.

Arturo vive con la madre e la sorella, ossessionato dall’idea di scrivere un capolavoro e così diventare uno scrittore celebre. Dopo occupazioni alterne, trova impiego presso il conservificio della Soyo Company, un ambiente che è occasione per descrivere la realtà multietnica (dalla prefazione di Emanuele Trevi: “Tra operai messicani e filippini… vero mosaico etnologico e antropologico rappresentato dalle classi subalterne nella California degli anni Trenta”) nella quale Bandini si staglia con egocentrismo (“Ovvio che non sapevo come funziona un carrello. Ero uno scrittore”), anticonformismo, disprezzo per il capo e titolare (“Il roditore, il maiale, il topo di cantina, il topo di fondaco”), razzismo strisciante nei confronti dei colleghi filippini e messicani (“Ma guardati! Appartieni a una prosapia di schiavi. I tacchi delle classi dominanti ti schiacceranno le costole. Perché non fai l’uomo? Perché non scioperi?”), presunta superiorità praticata con sfoggio di linguaggio.

Arturo trascorre le sue giornate lavorando al conservificio, ingaggiando guerre immaginarie (“Sparai ai granchi per tutto quel pomeriggio”) e forsennate (“Quella carneficina finalmente si fermò allorché mi venne il mal di testa per aver troppo sforzato gli occhi”), frequentando la biblioteca e puntando la signorina Hopkins, bibliotecaria (“Osservavo. Ero come un falco. Nulla di ciò che faceva poteva sfuggirmi”), rifugiandosi nel parco per leggere i suoi libri preferiti (ma li capisce?), innamorandosi di ogni donna che vede passare…

Scritto con uno spirito paradossale (“Aveva le allucinazioni. Sogni di gloria delusi. Minacce contro la società. Seguiva le donne per strada. Faceva il pazzo con le mosche e se le mangiava. Tutto per via delle donne. Uccise pure un sacco di granchi… Proprio uno svitato. Il ragazzo più svitato della contea di Los Angeles…”), questo romanzo si incastona nella saga di Bandini imprimendo una svolta piuttosto brusca al percorso del ragazzo che in “Aspetta primavera, Bandini” abbiamo iniziato a conoscere, dilatando le premesse poste nel prequel con la forza del sarcasmo e dell’innovazione creativa.

Bruno Elpis

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