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La famiglia Karnowski
 
La famiglia Karnowski 2015-06-05 10:18:47 MCF
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
MCF Opinione inserita da MCF    05 Giugno, 2015
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Una storia antica scritta con lo stile moderno

Un bel libro, corposo e ben costruito. Narra la storia di una famiglia di ebrei polacchi che si trasferisce in Germania e poi, a causa delle leggi antisemitiche, fugge in America. La trama è avvincente, i personaggi sono descritti in modo che il lettore ne abbia un’immagine precisa; consapevole del collegamento tra corpo e mente, l’autore abbina l’aspetto al carattere; complessi, debolezze, qualità sono mirabilmente esposte: c’è il duro che vivrà nella fortezza delle sue convinzioni finché il mondo circostante glielo permetterà; poi dimostrerà tutta la sua intelligenza rivedendo le posizioni a lungo difese; il buono bistrattato sarà accolto con rispetto, l’idealista si scontrerà con la realtà. Splendida la parte relativa al dott. Zerbe, uno squallido individuo che sfrutta ignobilmente uno dei protagonisti, ingannandolo con fine psicologia.
Dal testo:
“I Karnowski della Grande Polonia erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante. La genialità era iscritta nelle alte fronti da studioso e negli occhi profondi e inquieti, neri come il carbone. Ostinazione e sfida si leggevano sui nasi forti e sproporzionati che spiccavano beffardi e arroganti nei loro visi scarni: poche confidenze! È per via di questa testardaggine che nessuno in famiglia era diventato rabbino, anche se non sarebbe stato difficile, e tutti avevano preso la via del commercio. Per quanto non nuotassero nell’oro – si guadagnavano onestamente di che vivere e nulla più – i loro figli trovavano moglie tra le più ricche casate della Grande Polonia.”
“Il più svelto, vivace ed elegante di tutti è Solomon Burak, il proprietario del negozio. Snello, biondo, con un abito inglese a quadretti, la cravatta rossa e il fazzoletto di seta nel taschino della giacca attillata, un grosso anello a sigillo all’indice della destra, sembra più un commediante tedesco o il direttore di un circo che il padrone di un emporio non lontano dal quartiere ebraico. Dal suo modo di fare brioso e agitato traspare l’ebreo, e non tanto l’ebreo tedesco, quanto l’immigrato dall’Europa orientale. “Soldo più, soldo meno, “mormora a commessi e commesse“ l’importante è vendere. Voglio vedere movimento.” Acquista a basso prezzo e rivende a basso prezzo. Accetta pagamenti in contanti, in cambiali, a rate. Ma benché abbia lasciato la Linierstasse e la sua clientela sia tutta di gentili, non nasconde le proprie origini come fa invece la maggioranza dei commercianti ebrei del quartiere. Il suo nome ebreo spicca a grandi caratteri sull’insegna. Non cerca neppure di nobilitare l’emporio impiegando commessi dai capelli biondi, preferisce assumere parenti suoi o della moglie, che fa arrivare da Melnitz.”
Si percepisce che Singer ha pianificato e preparato la storia con puntiglio curando tutti i particolari. Ma manca di quella fluidità e di quella passione che contraddistinguono i libri dei secoli passati; gli autori di un tempo riuscivano a dare vita e ad avvicinare i personaggi al lettore che ha l’impressione di seguire le vicende di cari amici e rimane spaesato e triste quando arriva all’ultima riga. Qui invece, i protagonisti e coloro che li circondano rimangono prigionieri della carta stampata; quando la storia finisce, finiscono anche loro e il lettore li dimentica.

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Ciao. Condivido sostanzialmente la tua valutazione: il libro ha una solida costruzione, ma non è un capolavoro (come invece è stato lanciato) ; manca di quell'impronta che solo i grandi scrittori sanno dare.
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