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Quale distopia?
Un libro carico di aspettative, sicuramente accresciute dal contesto storico-politico in cui è stato pubblicato e dalla nomea dell’autore che l’hanno innalzato a presunto successo editoriale. Un romanzo che, da osservatore esterno, pareva richiamare e affiancare il fortunato genere del dystopic novel che ha avuto in Huxley e soprattutto nel formidabile George Orwell i suoi padri letterari.
Ebbene, se nello stile e nel lessico Houllebecq appare forse un gradino superiore o comunque pari grado ai due sopra citati, nella sezione “forza allegorica” il testo del francese viene completamente annientato; ne è quasi totalmente privo. Personaggi come il “Grande Fratello” o i maiali di Animal Farm nel testo di Houllebecq sono assenti, latitanti. Al contrario ci viene proposto un personaggio al limite del banale, del noioso e del fastidioso.
Il suo nome è François, studioso di Huysmans, seduttore incallito e metodico di studentesse, docente universitario annoiato, apatico e totalmente depoliticizzato. Una mancanza di attenzione da parte del protagonista verso uno dei temi centrali del romanzo, gli stravolgimenti politico-sociali appunto, è una contraddizione che stride.
François, nome comune per un personaggio banale, assume a più riprese, soprattutto nelle prime fasi del romanzo, la fisionomia dell’autore. Houllebecq scivola nel corpo e nella mente di François per poter dire la sua, intervenire come un deus ex machina. I suoi interventi sono peraltro malcelati ed evidenti.
È Houllebecq che parla quando lancia frecciate esplicite alla società moderna che nel romanzo ambientato nei futuri anni ’20 assume lo statuto di passato; infatti è lui che critica i genitori “baby-boomer”, tacciati di egoismo ed elevati ad icone negative di consumismo sfrenato, tara maledetta di un’intera generazione.
“I due baby-boomer mi avevano sempre dato prova di un egoismo implacabile, e niente mi faceva credere che potessero accogliermi con piacere”
È sempre Houllebecq che si lancia in considerazioni, più o meno condivisibili, sulla dicotomia illusione beata/disillusione sistematica sul tema dell’amore; inoltre non risparmia nemmeno la democrazia. Parla di un’ alternanza democratica simile alla spartizione di potere tra gang rivali, le quali a loro volta con la violenza cercano di imporre il loro regime ad altri paesi nel nome del miglior sistema possibile. I riferimenti sono quanto mai espliciti e questo concetto di alternanza democratica è uno dei pochi slanci interessanti dell’intero scritto.
Ciò che tuttavia ritengo poco attendibile e plausibile è l’intero impianto storico che Houllebecq crea attorno all’apatico professore huysmaniano. L’idea che un partito musulmano possa prendere il potere è, in un futuro più remoto che imminente, oggettivamente plausibile; tuttavia le reazioni sociali a tale stravolgimento superano il limite di tolleranza e accettabile verosimiglianza.
Infatti il governo di Ben Abbes, che alle presidenziali surclassa una sinistra letteralmente evanescente e la destra combattiva e nazionalista di Marine Le Pen, rivolta come un calzino l’intero sistema Francia. Lo scuote sin dalle sue fondamenta. La terra di Robespierre e della Rivoluzione francese lascia il terreno ad un nuovo ordine sociale, di fatto alla sottomissione.
Ben Abbes impone un nuovo sistema economico in linea con i principi dell’islam, il distributivismo che si prefigge lo scopo di mandare in pensione il capitalismo. Le università chiudono da un giorno all’altro e riaprono dopo aver escluso le donne dall’insegnamento, aver dato vita ad un nuovo corpo docente (da cui il protagonista è escluso) e dopo aver riformato la ripartizione dei fondi alle diverse università. In soldoni, più soldi agli istituti musulmani e meno denari a quelli di altre religioni o semplicemente statali.
In aggiunta Ben Abbes e il suo esecutivo operano nel giro di una notte una rivoluzione dei costumi che impone alle donne di coprirsi. In pochi attimi decenni di lotte sindacali, operaie e femminili vengono stracciate e cestinate senza il minimo batter di ciglio.
Non contento Houllebecq cerca di giustificare il progetto politico di Ben Abbes, che mira a esportare in lungo e in largo questo modello, inserendolo in un quadro internazionale al limite del surreale, in cui l’Unione Europea accetta con serenità gli stravolgimenti economici di una delle nazioni fondanti dell’istituzione stessa. Un quadro in cui le democrazie del Nord hanno già ceduto il passo all’avanzata politica musulmana.
Considerato tutto ciò, come può aspettarsi l’autore che il lettore non si chieda: come possono donne in carriera essere letteralmente espulse dal proprio lavoro, relegate a meri oggetti secondo una visione medievale (dalla quale l’islam non sembra staccarsi) senza reagire o quanto meno provare a modificare il corso degli eventi. E come fa François stesso a non avere il benché minimo rigurgito di orgoglio nell’apprendere che per motivi squisitamente discriminatori è stato buttato fuori a calci da una delle università più prestigiose al mondo, ovvero la Sorbona? Perché un intero popolo rinuncia alla libertà in favore di una più tranquilla e rassicurante sottomissione?
Nel frattempo, in questo marasma politico-sociale che parrebbe una polveriera pronta ad esplodere ma che al contrario si configura come il più placido mare d’estate, il protagonista vaga come uno spettro tra bordelli del XXI secolo, escort, monasteri e avvenimenti mondani legati al mondo accademico senza la minima indignazione verso il mondo esterno. Un apatico fatto e finito che imparerà ad adattarsi come l’ultima pecora del gregge.
Il romanzo nel suo complesso offre spunti di riflessione di per sé interessanti (l’individualismo del mondo moderno, le pecche e le storture del sistema democratico, il progressivo distacco dei cittadini dalla partecipazione democratica attiva) che però vengono schiacciati da un malriuscito tentativo di nuovo romanzo distopico e dalla struttura precaria dell’impianto storico su cui la vicenda si fonda.
FM
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Di questo Huysmans, nonostante vari riferimenti fatti dall'autore, non ho capito granché se non che, ad un certo punto della sua vita, si sia avvicinato al cristianesimo ed alla meditazione. Inoltre non ne avevo mai sentito parlare e nemmeno studiato al liceo o all'università. In ogni caso, ripeto, François è un personaggio di ben poco spessore letterario ma al contempo mi è sorto il dubbio che forse l'ho valutato troppo negativamente in virtù del fatto che ho da poco concluso il Conte di Montecristo, un romanzo ricco di personaggi "giganteschi" come Edmond Dantes. Il confronto tra i due sicuramente non giova al docente francese; mi chiedo quindi se la lettura di un testo e del suo contenuto non influisca pure sulla lettura successiva alimentando confronti più o meno inconsci.
Stavolta purtroppo sono scivolato sul tipico successo editoriale gonfiato e montato ad arte dal marketing.
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Non ho letto il libro, ma questo apatico docente annoiato seduttore studioso di Huysmans (esteta inappagato che finì in convento dove scrisse una biografia di Don Bosco) costituisce già un elemento significativo.