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I ragazzi Burgess
 
I ragazzi Burgess 2016-08-22 06:49:12 pierpaolo valfrè
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
5.0
pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    22 Agosto, 2016
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Nessuno mi può giudicare

“I ragazzi Burgess” è un piacevole romanzo di Elizabeth Strout, rilassante come guardare una commedia holliwoodiana anni ’50 alle cinque del pomeriggio.
Il prologo, nel quale due vedove, madre e figlia, amabilmente conversano e rievocano il passato, scostando indietro le tende per guardare le betulle, dà il tono all’intera narrazione, come se l’autrice volesse ammorbidire l’impatto degli eventi più drammatici, stemperandoli nella luce tiepida del suo stile confortevole.
Seguendo i personali ricordi delle due amabili signore, si fa velocemente amicizia con Jim, Bob e Susan Burgess, si conoscono i rispettivi coniugi e anche Zachary, il ragazzo ignorantello e impaurito che dà impulso alla storia e ne sostiene la trama fino almeno a metà.
Nella prima parte i personaggi sono vivi e credibili, pur riconducendosi ciascuno a qualche archetipo del cittadino americano, e sono ben inseriti in tematiche culturali e sociali appena tratteggiate, per non disturbare troppo i personaggi in primo piano, eppure rese con buona efficacia.
Da metà in poi, il romanzo ha una svolta, il motore iniziale della storia rallenta e si spegne e rimangono i personaggi, soli e nudi e senza maschera. “Nessuno mi può giudicare” potrebbe essere il titolo di questa seconda parte o, come la vedova più anziana afferma nel prologo, “nessuno conosce mai veramente qualcuno”.
L’eroe abile, disinvolto e pragmatico della prima parte, quello attento ai bisogni e alle debolezze umane (per prendersene cura, nel caso dei propri familiari, oppure per sfruttarli a proprio vantaggio, nel caso di avversari e ostacoli nella battaglia per la vita), il self made man che non sopporta i gretti razzisti ma è ugualmente allergico alle ipocrisie dei moralisti di professione e infastidito dal fanatismo del “politically correct”, l’uomo fuggito dall’ambiente chiuso del Maine e che riesce a non farsi fagocitare dalla Grande Mela, il professionista di successo, il marito invidiato, il padre che tutti vorrebbero avere ha un suo lato oscuro. Non sorprende che ci sia, perché ce lo aspettavamo e avevamo messo in conto che potesse essere esattamente “quello”. Sorprende piuttosto che questa scoperta abbia il potere di mandare in frantumi il personaggio e buona parte del mordente della storia.
Il romanzo funziona ancora, perché a questo punto il lettore è stato saldamente agganciato all’amo, però non c’è più la naturale scioltezza dell’avvio.
Una volta chiuso e rimesso il libro al suo posto sullo scaffale, ci capiterà di ripensare a Jim, Bob, Susan, Hellen, Pam e Zach come a persone incontrate in una lunga e piacevole vacanza, che ci hanno fatto divertire, ci hanno confidato qualche segreto e resi partecipi di qualche angoscia, senza tuttavia risultare mai invadenti, né noiosi. Tutti insieme ci hanno confermato che gli Stati Uniti d’America sono un posto dove è molto complicato nascere, crescere e vivere. Insomma, ce n’è di che rimanere soddisfatti, alle cinque del pomeriggio, tra un biscottino e l’altro, con il sole che filtra delicato dalle tende, mentre fuori il vento accarezza le betulle.

“Che cosa farò, Bob? Non ho più una famiglia”.
“Sì che ce l’hai”, rispose Bob. “Hai una moglie che ti odia. Tre figli che ce l’hanno a morte con te. Un fratello e una sorella che ti fanno impazzire. E un nipote che una volta era una nullità, ma a quanto parte ultimamente lo è un po’ meno. Questo è ciò che si definisce una famiglia”.

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Commenti

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Ciao Pierpaolo. Gran bella recensione! L'autrice mi interessa, e avevo già individuato questo libro. Ora il tuo commento è un incentivo in più.
Non ho notato questo stacco tra la prima e la seconda parte. Comunque è un romanzo che merita di essere letto.
@Emilio: per come conosco i tuoi gusti, questo libro ti piacerà. Tuttavia ho visto che chi la conosce bene, predilige altre opere di questa scrittrice, come Olive Kitteridge.
@Cristina: a mio avviso lo spartiacque è il “crollo” di Jim. A partire dall’esito del processo, e venendo meno lo spunto iniziale della storia, l’autrice si concentra nella demolizione del personaggio che più di tutti aveva contribuito a rendere così brillante la narrazione e dunque ho avvertito la perdita di un po’ di smalto. E’ chiaro che vuole presentarci un altro lato del personaggio, e completarlo con meno gradualità rispetto a quanto è riuscita a fare per Susan (Bob è sempre lo stesso dall’inizio alla fine). Però questo passa per alcune forzature. Ad esempio non mi è piaciuto per nulla il dialogo nel quale Jim rivela a Bob il suo segreto. In generale la schematica contrapposizione tra il Jim prima del processo e il Jim dopo il processo non mi ha convinto. Ciò non toglie che nel complesso questo sia un ottimo libro.
In risposta ad un precedente commento
Cristina72
24 Agosto, 2016
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Non ricordo la scena, ma probabilmente la scrittrice si è lasciata prendere la mano dal sensazionalismo. Anch'io reputo Olive Kitteridge qualitativamente superiore.
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