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Gatto e topo
 
Gatto e topo 2016-10-08 09:50:59 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    08 Ottobre, 2016
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Piccolo gioiello letterario

La spiaggia di Danzica fa da scenografia alle imprese adolescenziali di un gruppo di ragazzi alle prese con il periodo più delicato della vita, mentre fuori impazza una guerra drammatica e feroce. Nella comitiva spicca il singolare Joachim Mahlke, figlio unico orfano di padre, una strana scriminatura, una fortissima devozione per la Madonna, il sogno di diventare clown e oggetti di ogni specie appesi al collo per cercare di mascherare un titanico pomo di Adamo che gli ballonzola per la gola ad ogni movimento, tanto da sembrare un topo in eterna fuga da un invisibile gatto. “Ed ecco che un gatto grigio attraversa il campo, dritto come un fuso, verso la gola di Mahlke, e quando vede la gola di Mahlke, pensa il gatto: è un topo quell’affare che si muove, e il gatto salta…Ma no, è stato Pilenz che ha preso il gatto e gliel’ha – o non è così?” Le giornate scorrono scandite dai suoni dei bombardamenti e dai continui bollettini di guerra, i ragazzi del Conradinum dopo la scuola si ritrovano sulla spiaggia e da lì, a nuoto, raggiungono il Rybitwa, un dragamine semi-affondato a largo di Danzica. Qui, mentre gli altri passano il tempo a prendere il sole, a grattare sterco di gabbiano dalla carcassa del natante per poi assaggiarlo, a dedicarsi a gare di autoerotismo, Joachim dimostra il suo valore con ardite immersioni dalle quali torna portando con sé gli oggetti più disparati. Si spinge fino a scoprire una camera segreta che soltanto lui riesce a raggiungere e la trasforma in una sorta di personale rifugio con tanto di viveri, grammofono e foto della Vergine. Queste imprese gli permettono di guadagnarsi il rispetto e l’ammirazione del gruppo, ma non quella che può definirsi una vera e propria amicizia. Con la sua eccentricità, con il suo carattere introverso, con il suo rifiuto di uscire da quella sorta di mondo personale che si è costruito, Mahlke rimane sempre un diverso, un emarginato, un ragazzo che tenta di mettere al sicuro quella sorta di topo che è la sua anima da quel gatto crudele e spietato che rappresenta il mondo circostante. Tra una bricconata e l’altra arriverà anche per lui il momento di andare a combattere e anche al fronte il ragazzo saprà ritagliarsi uno spazio da protagonista. Ma il gatto senza scrupoli è sempre in agguato e il povero topo non sempre è in grado di difendersi. Secondo capitolo della “Trilogia di Danzica” questo breve libro di Gunter Grass racchiude in poche pagine un piccolo gioiello letterario che brilla per la vivacità della narrazione, per la bellezza della prosa, per la fervida e brillante ironia e per la capacità tipica dell’autore di mascherare con la simpatia l’amarezza di temi delicati come quelli della diversità, dell’incapacità di adattarsi, del bisogno di affermarsi per ciò che si è. La guerra, triste filo conduttore dell’intera trilogia, anche qui è una presenza continua nella storia e di tanto in tanto compaiono personaggi che fanno da protagonisti nel precedente “Il tamburo di latta” e nel successivo “Anni di cani”. Ma il protagonista assoluto della letteratura di Grass è quel bisogno innato, profondo, atavico di cercare e trovare un rifugio, uno scudo, un piccolo anfratto dove riuscire a nascondersi e proteggersi dal male che ci circonda. “Da quel venerdì so cosa è il silenzio: il silenzio che si allarga quando i gabbiani se ne vanno. E nulla sa suscitare tanto silenzio quanto una draga in funzione, alla quale il vento sottrae i rumori. Ma il silenzio maggiore lo provocò Mahlke, non rispondendo al mio chiasso”.

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Commenti

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Bella recensione, Enrico, anche se non conosco né libro né il celebre autore.
Grazie Emilio. Io mi sono innamorato di Grass grazie al piccolo Oscar e al suo tamburo di latta. Quello rimane il capitolo migliore della trilogia, uno dei miei libri preferiti in assoluto. Ma consiglio anche i successivi.
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