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La sposa bianca di Ousmane
 
La sposa bianca di Ousmane 2016-12-07 14:52:05 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    07 Dicembre, 2016
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Realtà a confronto; Africa oh mia Africa.

E’ subito amore tra il senegalese Ousmane e la francese, figlia di un importante diplomatico, Mireille. E’ un sentimento che viene più volte ostacolato, prima dalla famiglia di lei, poi da quella di lui. Il funzionario, scoperto infatti quel che lega i due giovani allontana la ragazza che conclude i suoi studi nella terra natia. Ma non si può arginare una così forte unione, una così imprescindibile passione, talché, passano gli anni, ma non il loro sodalizio. Si scrivono, si scrivono e si scrivono ancora. Senza mai interrompere quella loro segreta corrispondenza, senza mai dubitare di quello che credono essere il loro futuro insieme.
Il gran giorno arriva. Ousmane si reca in Francia con la scusa di portare avanti un progetto di studio e torna in Africa maritato con la bellissima donna bianca, femme fatale che da sempre i genitori di lui credevano essere un’attrice stante la sua gradevole presenza che potevano osservare in quelle misteriose foto site nella di lui camera. Ed è qui che, per la coppia, le difficoltà hanno inizio. Le rispettive famiglie non condividono tale unione, e se da un lato il padre e la madre di Mireille, piegati dall’offesa dell’espediente con cui sono stati raggirati, chiudono ogni rapporto con la discendente, quelli di Ousmane adottano un atteggiamento di palese ostruzionismo, dissenso espresso in particolar modo dalla genitrice Yaye Kadhy per la quale l’oltraggio era triplicemente maggiore, avendo il figlio scelto quale compagna di vita una donna che sicuramente non avrebbe saputo rispettare le tradizioni africane, tanto meno liberare lei, la matriarca, da quegli impegni e quei doveri che per tutta l’esistenza l’avevano relegata alla condizione di serva di ogni membro del nucleo familiare.
Il tempo passa e con lui aumentano le incomprensioni dei coniugi. Ousmane vuol essere felice senza rinunciare a nulla, non concede niente, non rinnega la presenza – ingombrante – della famiglia, delle tradizioni e degli amici, e pretende sacrifici. Le sue abitudini, radicate dall’infanzia, si dimostrano incrollabili. Non abbraccia nemmeno lontanamente l’idea che la vita coniugale possa voler significare avvicinarsi e comprendersi. Non si interroga mai sul fatto che le difficoltà nascono dalle differenze caratteriali, dalle scelte da condividere e dal valore che ognuno riconosce alla parola felicità. Non ostacola nemmeno il nascere di quell’attrazione verso la compaesana arrivista che sempre più decide di far breccia su quella benestante preda che egli, inconsciamente, rappresenta. Al contrario Mireille, con dolore, ha imparato la lezione sulla vita di coppia e sulla condizione della “Negra” in Africa. Oltre ai disaccordi abituali, inoltre, subisce altre sottili violenze. Eppure non molla. Non giudica le cose e i fatti come le persone che la circondano, e questo le viene fatto notare. Le sue più solide e intime convinzioni cominciano a vacillare e quel coraggio che prima l’aveva spinta a lasciare il suo paese, iniziano a sgretolarsi, trasformandola in una ribelle.
Se dunque in una prima parte dell’opera l’autrice si concentra su quello che è l’idillio della coppia; una storia d’amore capace di superare ogni ostacolo, assumendo quindi un carattere prettamente personale, nella seconda le vicende abbandonano questo requisito per abbracciare, mediante l’analisi della vita matrimoniale, quello sociale. E’ qui infatti che subentrano le tematiche che sono maggiormente care a Mariama Bà, problematiche che vanno dalla poligamia, alla disparità di sessi, alla cultura africana musulmana (n.b. Mireille, all’atto del matrimonio, si converte anche a detta religione), alla negritudine. Ed è proprio quest’ultima che mette in evidenza quelle che sono le discrepanze più insormontabili fra le due diverse realtà.
Il quadro dipinto non è altro che quello di una collettività in cui i matrimoni misti non sono ben visti, né dai neri che dai bianchi, e quell’apertura prospettata nei confronti del mondo occidentale, non è altro che apparente, riprova ne è il fatto che quest’ultima viene soffocata dal quel continuo ed incessante proclamo delle tradizioni, delle radici. E su questo fronte Mariama è sottile come la lama di un coltello. Essa, muove infatti le accuse, non solo e non tanto nei confronti di Yaye Khady e a chi come lei manifesta sin dal principio e con non celata chiarezza, il rifiuto di Mireille, bensì nei confronti di Ousmane che, prima si dichiara favorevole ai valori occidentali tanto da affermare di condividerli, per poi tradirli e dimostrarsi ipocrita. La figura di Mireille è ammirevole: tenta in ogni modo di adattarsi a quella cultura senegalese così lontana e opposta all’istruzione ricevuta, e non si arrende mai nel provarci, a prescindere dal fatto che i suoi sostenitori siano ben pochi a dispetto di chi ricambia questo suo impegno. Anche quando si rende conto dell’infedeltà del marito, fa di tutto pur di salvaguardare il rapporto, se non altro per tutelare quel piccolo bambino mulatto nato dal loro legame.
Quello che vi troverete tra le mani, se deciderete di leggere questo scritto, è un libricino che nelle sue duecento e poco più pagine, condensa quella che è l’analisi di due culture a confronto, due verità che vengono scarnificate e valutate senza nulla omettere. E’ una storia inoltre che, seppur ambientata negli anni ’60, è ancora fortemente attuale poiché intrisa di valori e temi universali che vanno dall’amore incondizionato, al coraggio, al razzismo (dei bianchi verso i neri e dei neri verso i bianchi), alla solitudine, all’ipocrisia, all’incomprensione, alla vita di coppia, al tradimento, alla volontà di salvare un rapporto, alle crisi della stessa, alla conoscenza di culture che possono coesistere soltanto se vi è volontà, da entrambe le parti, di riuscire.
Nata a Dakar nel 1929, Mariama Bà, perde in giovane età i genitori, viene pertanto cresciuta dai nonni materni che la educano secondo quelli che sono i canoni tradizionali della cultura africana e che quindi le impongono di non proseguire gli studi scolastici. Eppure riesce a conseguire la laurea in Pedagogia e, amica del poeta Senghor, partecipa da protagonista al riscatto cultura del Senegal che si è liberato dal colonialismo francese. Madre di nove figli, è perfettamente consapevole delle condizioni di subordinazione della donna in Africa, condizione altresì accentuata dalla possibilità per l’uomo di contrarre sino a quattro matrimoni. Ecco perché Mariana è attiva nelle associazioni femministe; ella ritiene infatti che solo con l’emancipazione delle donne la sua terra può avere un futuro. “La sposa bianca di Ousmane”, pubblicato dopo il grande successo di “Une si longue lettre” nel 1981 nonché dopo la morte, a soli 55 anni, della senegalese (avvenuta nel 1980), è oggi un testo – purtroppo – quasi introvabile, un elaborato che racchiude al suo interno la fotografia di quella che è la terra africana e che, al contempo, induce alla riflessione.

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