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Votate Robinson per un mondo migliore
 
Votate Robinson per un mondo migliore 2017-02-24 16:05:20 Simone Bachechi
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Simone Bachechi Opinione inserita da Simone Bachechi    24 Febbraio, 2017
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Persecutori di tutto il mondo unitevi!

L’ uscita nel lontano 1993 di “Votate Robinson per un mondo migliore” segna la comparsa sulla scena letteraria americana di questo vero “outsider” per anni dimenticato ed arrivato anche da noi, come al solito con i dieci anni più o meno di scarto rispetto a tutte le cose che arrivano da oltre oceano, grazie all’ encomiabile lavoro di Minimum fax. I lavori di Antrim, che vedono la luce, come in gran parte della tradizione americana contemporanea, dalle pagine del New Yorker, le stesse che hanno dato i natali nel passato ad altri grandi narratori come Updike, Cheever, fino a Philip Roth, hanno conosciuto nel corso degli anni successivi anche delle forzate interruzioni dovute per esempio al suo ricovero in una clinica psichiatrica fra il 2005 ed il 2007, dopo l’uscita de “La vita dopo” il romanzo dilaniante che parla della scomparsa della madre di Antrim e che segna uno spartiacque nella sua attività.
L’esordio con Robinson di intento chiaramente parodistico, questo piccolo romanzo o fiaba noir che la si voglia definire, tanto americana quanto spericolata, ci parla con naturale disinvoltura di un mondo prossimo a venire o che forse abbiamo già sotto i nostri occhi fatto di torture medievali inflitte a sindaci che hanno il lanciamissili in giardino, di interi nuclei familiari in assetto da guerra, di strani psichismi che colpiscono i due personaggi principali, Robinson e soprattutto la moglie Meredith che assume le forme e la vita stessa di un pesce sotto la guida di un guru che li invita a ricercare dentro sé stessi il proprio animale primordiale, ed altre amenità di questo tipo. Vale forse meglio di qualsiasi altra definizione quello che troviamo di Thomas Pynchon in quarta di copertina, che parla di una “spumeggiante allucinazione”. Un’allucinazione creata appunto con la parodia, trasfigurando l’autore nella sua esplosiva mente creativa, allucinata e distorta, la tranquilla (apparentemente) vita nei sobborghi di una qualsiasi città americana, fra villette con l’erba del giardino tagliata alla perfezione e le staccionate illibate che delimitano quei giardini dove si fanno i barbecue la domenica ed i bambini giocano sereni. Antrim invece vi vede tutt’altre cose, sembra il giardino all’inizio ed alla fine di Velluto blu di David Lynch, un altro che di incubi se ne intende e dove all’ apparente tranquillità della superficie andando a vedere sotto l’erba ed i cespugli si nasconde un regno di sgorbi ed esseri abietti e distruttivi che lì vi pullulano. Ricorda per altri versi e non solo per le suggestioni del titolo, un altro romanzo uscito sempre tramite Minimum fax di un autore coevo e per alcuni versi dello stesso filone del grottesco, surreale e “postmoderno” come Antrim: “L’inferno comincia nel giardino” di Jonathan Lethem. D’altronde la provenienza è quella, i padri putativi di Antrim sono Barthelme, con il quale non condivide solo il primo nome, Donald, del quale confessa essere colui che gli ha fatto venire la voglia di scrivere, un po’ come era successo, guarda caso ad un altro grande “postmoderno”, il compianto David Foster Wallace il quale in un’ intervista dichiarò di essersi messo a scrivere dopo aver letto “Il Pallone”, sempre di Donald Barthelme, la cui cosa, cioè quello che ha detto Wallace di Barthelme e che molto tempo fa lessi non ricordo dove, è quella cosa che mi ha fatto avvicinare a Wallace stesso, quindi devo essere grato a Barthelme. Potremmo prendere, in questa corrispondenza di amorosi sensi letterari ed ispirazioni stilistiche ad esempio, anche altri racconti di Barthelme come “La rivolta degli indiani” o “Porcospini all’università” o altri ancora, insomma non finiremmo mai.
E’ parodia il grande compito che Robinson, il protagonista del romanzo si è dato, quello di istituire una scuola domestica dopo l’uccisione cruenta del sindaco e di candidarsi lui stesso alle successive elezioni, facendo leva proprio sul suo ruolo di insegnante, di retore (come sei politici potessero essere qualcosa di diverso), sennonché i principi fondativi della sua scuola sono quelli di mostrare la storia dell’umanità tramite le crudeltà perpetrate in tutte le epoche, “Perché tutti noi siamo, nessuno escluso, eredi di un retaggio di sangue e sofferenza” e che l’attività preferita di Robinson stesso sia quella di costruire delle sofisticate macchine da tortura. Esemplificativa la citazione del famoso passo di Voltaire sul migliore dei mondi possibili, la democrazia per quanto mascherata da simili atrocità, del resto, Robinson si candida a delle regolari e democratiche elezioni. Con tutte queste premesse, lunghe premesse perché sembra quasi che tutto il romanzo sia una lunga premessa a quello che alla fine il protagonista riesce in qualche modo a portare a termine, la scuola, il finale non può che essere truculento e quel mondo distorto e capovolto inquietarci un po’, forse perché ci sembra in qualche modo di intravederlo sotto il patinato e tranquillo mondo delle nostre convenzioni.
Adesso scusate ma devo andare a mettere il filo spinato e le frecce avvelenate in giardino.

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