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Il libro dell'inquietudine
 
Il libro dell'inquietudine 2017-07-17 09:34:53 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    17 Luglio, 2017
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La mia anima è stanca della mia vita

Leggendo il libro dell’inquietudine ho capito come Tabucchi possa essersi così totalmente infatuato di Pessoa. I pensieri sono originali. Hanno le ali della poesia ma anche la riflessività, la malinconia di una prosa in cui il sentimento nasce dal pensiero e non viceversa. Non per nulla i pensieri sono attribuiti all’alter ego Soares che dell’autore è un eteronimo dalla personalità mutilata dell’affettività e del raziocinio. La mutilazione dell’affettività è evidente in molti frammenti soprattutto nella seconda metà del libro mentre la mutilazione del raziocinio emerge dal sintomo del tedio. Al tedio Soares si abbandona a corpo morto in modo non ragionevole. Forse Soares è soprattutto la proiezione estetica dell’autore, una specie di Kierkegaard relegato alla vita estetica.
L’autore vive annullandosi: non è attirato dalle cose ma nemmeno dagli affetti. E’ così abituato a vivere separato dagli altri da far fatica a percepire le emozioni. Le emozioni nascono in lui non dalla vita ma dall’intelletto.
Questo suo modo di affrontare il mondo crea separazione. E’ come se immaginasse di vivere la sua vita e perciò la percepisce falsa e è affetto da un tedio incurabile.
Il poeta è un fingitore
finge così totalmente
da fingere che è dolore
il dolore che davvero sente

Allo stesso tempo il suo distacco assomiglia al distacco dei mistici che hanno intuito la vacuità del mondo.
In Pessoa c’è il rifiuto in toto della materia, la consapevolezza della inconsistenza delle ricchezze (soldi, onori, possessi). Questa consapevolezza che porta gli uomini d’azione come sono i santi verso l’infinito, porta gli uomini di non azione come lui all’infinitesimale, cioè al nulla. O forse il nulla è la tentazione degli uomini come lui.
I pensieri di Pessoa hanno una radice religiosa molto forte anche se non appariscente. Contengono una possibilità religiosa e la certezza della pochezza della natura umana.
“Ho considerato che Dio, pur essendo improbabile, potrebbe anche esistere
e che, pertanto, si poteva adorare; ma che l’Umanità, essendo una mera idea biologica, e non
significando altro che la specie animale umana, non era degna di adorazione più di qualsiasi altra
specie animale. Questo culto dell’Umanità, con i suoi riti di Libertà e di Uguaglianza, mi è sempre
parso una reviviscenza di culti antichi, in cui degli animali erano come dèi, o gli dèi avevano teste
di animali.”
Molti pensieri nascono dallo sconforto della distanza tra mondo (il sogno) dalla realtà altra e forse nascono dalla percezione di questa distanza come incolmabile. Il mondo come nei mistici è sentito come un riflesso di qualche raggio spirituale che illumina la materia e l’uomo dandogli vita e bellezza. Il corpo dell’uomo è appunto un sacco di merda, un vestito che si indossa per entrare nel sogno. In un certo senso questa idea di essere il sogno di Dio c’è anche in Unamuno e è un’idea estremamente affascinante anche per la distorsione che il sogno produce nella mente del sognatore soprattutto sul piano dei valori. Tale distorsione giustificherebbe a livello ipotetico una logica come quella cristiana (non che Pessoa sia interessato a farlo, l’idea è solo un accenno che sta al lettore sviluppare). In ogni caso nel corso dei secoli sogno e realtà seguono percorsi divergenti. La distanza tra loro si acuisce con il passare dei secoli (man mano che ci si allontana dalla nascita di Cristo). Implicitamente pare che Cristo abbia voluto fissare la geografia esatta di sogno e realtà che poi si è persa nei secoli. Il romanticismo ad esempio ha portato a una degenerazione del pensiero confondendo ciò che è necessario all’uomo con ciò che egli desidera, portando l’uomo a volere le due cose con la medesima intensità causando una malattia dell’anima.
C’è in Pessoa un profondo disagio nell’indossare il proprio “abito”, una intensa malinconia. Sa di sognare un sogno e questo gli impedisce di viverlo come fan gli altri e allo stesso tempo è stanco di vivere di sogni e non ricorda più il mondo reale. C’è una stanchezza che non è depressione ma rimpianto, nostalgia e consapevolezza di essere diverso dagli altri e forse di non essere amato nel suo essere diverso. Ma questo lo porta passo dopo passo all’ atrofizzazione della sua anima che a un certo punto sembra perdere la capacità di soffrire che è molto intensa nei primi frammenti di brani (i miei preferiti).
“La mia vita è come se con essa mi picchiassero”.
“ Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.”
“All’improvviso sono solo al mondo, lo vedo da un tetto spirituale”.
“Sparirò nella nebbia, come uno straniero a tutto, isola umana separata dal sogno del mare e nave
con un essere superfluo sulla superficie di tutto.”
C’è la consapevolezza della propria superiorità, superiorità che lui vede realizzarsi in modo mistico nella abdicazione al trono che gli spetterebbe. Non per niente molti suoi testi sono postumi. Ha una visione cristologica della corona del sovrano come corona di spine.
E’ un sognatore vero con una mentalità poco pratica. Passa tanto tempo in caffè immaginari a imbastire con amici immaginari conversazioni su svariati argomenti: questa abitudine al sogno lo porta a sentire sempre più ferocemente l’irrealtà e il distacco dal mondo come se ci fosse uno scollamento e la vera realtà fosse solo quella interna. In ogni caso Pessoa suscita simpatia e rispetto nella gente e questo fa sì che nessuno arrivi mai a conoscerlo troppo a fondo. La sua eccessiva sensibilità lo ha portato a uno stato di dissociazione psichica permanente che non gli fa sentire il mondo se non attraverso i propri sogni frapponendo un muro protettivo tra sé e gli altri. La protezione costa cara, costa il tedio e la solitudine e a volte la stanchezza stessa come una specie di nausea dei suoi stessi sogni e il sentire lo scrivere come necessità, quindi come maledizione. Allo stesso tempo c’è la nostalgia del mondo reale-altro (non della realtà del mondo), in cui tra sé e gli altri non c’erano barriere. In un certo senso la vita è una forma più perversa e intellettuale di crocefissione. Il tutto è aggravato dalla semiconsapevolezza si essere responsabile in parte dei propri meccanismi psichici di difesa.

“Che mattino questa angoscia! E che ombre si allontanano? E che misteri si sono manifestati?
Nulla: il rumore del primo tram come un fiammifero che illuminerà l’oscurità dell’anima, e i passi alti del mio primo passante che sono la realtà concreta che mi suggerisce, con voce amichevole, di non essere così.”

In certi momenti lo assale anche il dubbio dell’inutilità del suo sforzo “mistico”, lo afferra la paura o la tentazione del nulla. L’idea di un inferno che è nullificazione dell’uomo nel persistere della coscienza, come se l’anima potesse essere sepolta viva in una bara.
Tutto quello che ci circonda diventa parte di noi, si infiltra nella nostra sensazione della carne e della vita e, come il muco del grande Ragno, ci unisce sottilmente a quello che ci sta vicino, legandoci in un leggero letto di morte lenta, dove dondoliamo al vento. Tutto è noi, e noi siamo tutto; ma questo a cosa serve, se tutto è niente? Un raggio di sole, una nuvola che l’ombra improvvisa ci dice che passa, una brezza che si leva, il silenzio che segue quando questa cessa, un volto o un altro, delle voci, il riso occasionale tra quelle che parlano, e poi la notte dove emergono senza senso i geroglifici spezzati delle stelle.


Leggere i pensieri di Pessoa è come passeggiare in un bosco d’autunno, sulle foglie morte. Le foglie ancora rosse e gialle danno una malinconica idea di una sofferenza passata e di una sensibilità che si sta spegnendo in un’anima morente in quanto staccata dalla sorgente della sua sofferenza e di ogni suo impulso vitale. Molti pensieri, soprattutto nella seconda metà del libro, hanno perso i loro colori, la loro malinconia o nostalgia come pure l’impronta poetica e bellissima della sofferenza da cui scaturiscono e si nota un raggelamento dell’ideazione che porta a una intellettualizzazione del pensiero che si specchia su se stesso . E’ come se l’anima si fosse poco a poco distaccata e persa sempre più in un mondo suo senza più sentire la nostalgia della vita. Resta qualcosa di freddo che mi fa ripensare all’invenzione di Morel. La sensazione è che nel vuoto dell’anima che si è fatto assenza, senza più nemmeno la percezione dolorosa del vuoto, si sia insinuato un astratto nulla anestetizzante ogni pensiero. Il tedio assoluto è diventato dolore senza nessunissimo dolore e perciò ha perso carne e sangue per diventare un minerale, qualcosa che si può guardare con distacco. Il rischio del distacco completo dal mondo è l’astrattezza per cui l’arte diventa una lapide (l’invenzione di morel).
Nostalgia! Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me, per l’angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita.
Volti che vedevo abitualmente per le mie strade di sempre – se smetto di vederli mi rattristo; eppure non sono stati niente per me, se non il simbolo di tutta una vita.
Il vecchio anonimo dalle ghette sporche con cui m’incrociavo spesso alle nove e mezzo del mattino? Il venditore zoppo dei biglietti della lotteria che mi importunava inutilmente? Il vecchietto rotondo e paonazzo col sigaro in bocca sulla soglia della tabaccheria? Il pallido padrone della tabaccheria? Che ne è di loro che, solo per averli visti e rivisti, sono diventati parte della mia vita?
Domani anch’io scomparirò da Rua da Prata, da Rua dos Douradores, da Rua dos Fanqueiros. Domani anch’io – la mia anima senziente e pensante, l’universo che io rappresento per me stesso – sì, domani anch’io sarò uno che ha smesso di passare per queste strade, che altri evocheranno vagamente con un «che ne sarà stato di lui?».
E tutto ciò che adesso faccio, tutto ciò che sento, tutto ciò che vivo, non sarà altro che un passante in meno nella quotidianità delle strade di una città qualsiasi.

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Commenti

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Libro stupendo, indimenticabile e unico nel suo genere. L'ho ultimato da qualche mese ma, come per "Tristano muore", non ho il coraggio di recensirlo.
Sei stato bravissimo Mario, davvero! Complimenti!!
In risposta ad un precedente commento
Matelda
17 Luglio, 2017
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Sono completamente d'accordo: libro straordinario e recensione eccellente.
Non ho letto il libro ma la recensione è bellissima, complimenti!
Grazie a tutte. Sì, il libro è difficile ma merita. Credo che con Pessoa farò lo sforzo di leggere pure le poesie che di solito non mi attirano.
In risposta ad un precedente commento
Mian88
17 Luglio, 2017
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Te le consiglio. Attirano relativamente anche me, ma ne valgono la pena. Complimenti ancora, libro difficile ma di grande contenuto, recensione ineccepibile.
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
18 Luglio, 2017
Segnala questo commento ad un moderatore
Grazie!
Ragione e sentimento, sogno e realtà, illusione e desiderio, quanti temi! La tua recensione Mario è complessa e densa di spunti, ho dovuto leggerla più volte, la trovo molto interessante e specchio di una sensibilita individuale fine che fa percepire la bellezza di questo libro, lo leggerò in quel connubio con Tabucchi che hai citato all'inizio. Complimenti.
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
20 Luglio, 2017
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Tabucchi è letteralmente stregato da Pessoa.
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