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Non conosco il tuo nome
 
Non conosco il tuo nome 2017-11-01 06:50:22 68
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68 Opinione inserita da 68    01 Novembre, 2017
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Misteriosa ed oscura presenza

Tim è un avvocato di successo con una vita in cui tutto sembra andare per il verso giusto. Ha una bella famiglia, una moglie che ama, una figlia adolescente che non esita a rincuorare, un lavoro soddisfacente e ben remunerato.
Ed allora che cosa gli manca e perché? Cosa genera in lui la percezione di un senso di malattia, manifestatasi in un improvviso ed ininterrotto desiderio di fuga, in una asfissia del momento che lo costringe ad un moto perpetuo senza meta e speranza? E la convinzione che lo assorbe lentamente, l’ idea che quella che parrebbe una disfunzione mentale non sia che un disturbo prettamente fisico?
Fino ad oggi ha navigato tra processi, clienti, casi, riunioni, il mantenimento del sangue freddo in aula. Successo, guadagno, giustezza del proprio ruolo, mai un dubbio.
Poi una rottura evidente, la lacerazione, lo smarrimento, la ricerca ossessiva di una risposta e una diagnosi di malattia idiopatica, senza una causa clinica evidente. C’ è chi l’ ha localizzata nella sua mente, chi nel suo corpo, ma nessuno può farci niente.
Lo accompagnano una moglie fiduciosa e disperante, disposta a sacrificare se stessa per amore ed arresasi all’ evidenza e una figlia che stenta a capire, che vorrebbe risposte e finisce con l’ accettare l’ inaccettabile. Entrambe attraversano notti interminabili singhiozzando per un ricordo o fissando semplicemente il buio alla ricerca di un senso.
Una malattia senza volto che sparisce e ritorna, con cui convivere, insieme a quelle camminate che non cessano mai. È un qualcosa che prende in ostaggio il suo corpo e contro cui combattere strenuamente senza possibilità di vittoria.
In questi anni, se solo Tim avesse saputo evadere da disperazione e frustrazione avrebbe potuto vedere cose interessanti, ma durante tutto questo tempo non ha mai realmente saputo ascoltare.
La sua vita si è frammentata e distrutta, partenze e ritorni hanno segnato una esistenza precaria, ogni inizio una fine, quel vivere sul filo del rasoio perdendo un senso di compiutezza.
Ma chi è realmente e che cosa l’ ha consegnato al presente? Lo ignora, una sola certezza evidente, che essa esiste e ritorna, è il suo coinquilino, gli parla, non ascolta costringendolo a seguire i suoi passi.
Questa lenta agonia lo condanna a perdere tutto, anche gli affetti più cari, perché c’è chi si è ammalato avendone seguito la rotta e chi ha abbandonato la speranza, o semplicemente è stato respinto.
Alla fine che cosa gli resta? Ben poco, un colpevole ritardo nel riconoscere l’ importanza di ciò che lo ha accompagnato ed ha lasciato per sempre ed un essere ancora pensante immerso in una malattia che nasconde la propria origine ed identità.
Joshua Ferris, giustamente celebrato per il proprio esordio letterario ( “ E poi siamo arrivati alla fine “ ), ritorna con un testo costruito su una idea interessante persasi strada facendo.
All’ interno della narrazione vive una trama parallela, un processo che scorre nel flusso della malattia di Tim, che sembra toccarlo profondamente ma che finisce con l’ inabissarsi all’ interno della sua ondivaga essenza, e quella entità indefinita e mimetizzata si e ci confonde, voce silente che accompagna i pensieri e le fughe senza meta del protagonista, mentre continuiamo a domandarci di cosa effettivamente si tratti ( un prodotto della sua mente o una sindrome somatiforme? ) e come indirizzi storia e personaggi.
Tratti di buona letteratura, una scrittura armoniosa ma una narrazione un po’ sgonfia, balbettante, un rimuginino intellettuale poco composito, che manca del giusto amalgama tra le parti.
Nel complesso un romanzo un po’ deludente, da questo autore mi sarei aspettato decisamente di più.

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