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Il vino della solitudine
 
Il vino della solitudine 2017-12-29 13:33:44 antonelladimartino
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    29 Dicembre, 2017
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Come un'arma carica

La storia di un lungo e doloroso apprendistato, la crescita a una feroce indipendenza, alla gioiosa libertà dal bisogno di affetti e legami (a parte il gatto), ad una strada senza accompagnatori e senza timori. All’inizio della vita adulta, Hélène calpesta complessi edipici e vecchie ferite narcisistiche, felice di sentire il sangue giovane e sano scorrere nelle vene e il vento freddo di Parigi danzarle intorno. Una solitudine inebriante, la sua, conquistata a caro prezzo dopo aver passato le notti della sua infanzia nell’incertezza e nel timore, nel gelo di una famiglia senza affetti e senza valori, con la precoce consapevolezza della precarietà della vita. Accanto a lei, un solo affetto, un’unica fonte di calore e di valori: Mademoiselle Rose, l’istitutrice che proviene dalla Francia, il paese più bello e più dolce del mondo. Rose è l’unica in grado di insegnare, di offrire, di dare. Rose è un filo di luce in un deserto buio, una luce meravigliosa ma fragile, sempre minacciata dai capricci ottusi della madre assente di cui prende il posto.

Hélène, la protagonista di questo stupendo romanzo di formazione, è una splendida guerriera, che da bambina sogna di diventare come Napoleone e odia sopra ogni cosa il disamore della sua famiglia e l’ipocrisia viscida come schiuma, che copre senza nascondere. Indimenticabile, la scena in cui riscrive a matita “la descrizione di una famiglia unita” su un libro per la lezione di tedesco:
“Prese il pezzetto di matita che teneva sempre in fondo a una tasca, esitò, lo accostò piano piano al libro, come un’arma carica. Scrisse: - Il padre pensa a una donna che ha incontrato per la strada, la madre ha appena lasciato un amante. Non capiscono più i loro figli e i loro figli non li amano...”
Il lavoro dello scrittore è anche questo: riscrivere a matita sull’ipocrisia dei libri di scuola.

Quelle parole sparate a matita causeranno un’esplosione drammatica che metterà a nudo l’ottusa pochezza del focolare in cui vive e che cambierà per sempre la sua vita. Lo schema padre (con o senza donne occasionali) - madre - amante è davvero un’istituzione tra i ricchi europei dell’epoca: interessante notate che l’autrice descrive anche altre forme di questa “famiglia allargata”, che lasciano spazio alla tenerezza e alla complicità tra genitori e figli.

Nel romanzo famigliare di Hélène, invece, lo spazio per l’amore è minimo, e ancora più misero quello destinato alla tenerezza: una costellazione di buchi neri senza luce, astri oscuri e avidi di lusso e spazzatura, privi di radici e di significato, sempre in fuga dalla guerra, dalla povertà, dalla vita. Ogni forma di amore consuma in fretta il suo minimo capitale di autenticità, e il tempo corrode senza pietà le carni e la pelle e la passione, senza lasciare traccia di ricordi buoni. L’autrice mette in scena con efficacia suggestiva questa misera e feroce umanità, la incornicia nella sciatteria e nella desolazione delle case di lusso, nella decadenza della carne, nella sguaiata bruttura che segna ogni sguardo, ogni dialogo, ogni scambio.

Una storia ancora molto attuale; una scrittura generosa, che nel raccontare la miseria dell’avidità lascia un segno ricco e indimenticabile.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
romanzi storici, romanzi di formazione, letteratura di qualità, opere della stessa autrice.
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Commenti

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29 Dicembre, 2017
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Bel commento, Antonella. Solletica e non poco il ritorno alla lettura della N.
Grazie Laura! La N merita ritorni e riletture :)
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