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Martha Peake
 
Martha Peake 2018-01-13 04:41:55 Bruno Elpis
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
4.0
Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    13 Gennaio, 2018
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Harry si era schierato con i ribelli

Con Martha Peake, Patrick MacGrath sperimenta il tentativo di coniugare horror e romanzo storico. Ne esce un feuilleton eterogeneo, a tratti barocco.

La storia narra le vicissitudini di Harry (“Gli erano cresciuti i capelli e la barba, e pareva un selvaggio, una grossa creatura pelosa e ingobbita, dallo sguardo ardente ed esagitato”), poeta maledetto e sfortunato (“L’americano nello spirito”), che fugge dalla Cornovaglia a Londra, ove campa con l’amata figlioletta Martha esibendo in pubblico la propria deformità (“Harry lasciò cadere il mantello, si aprì la camicia e scoprì le spalle, e tutti videro stagliarsi contro l’oscurità quella strana struttura ossea, le punte e le creste che gonfiavano e deformavano la colonna vertebrale”). Ma quando il passato riemerge e scatena i rimorsi, Harry si abbandona al gin e alla follia. Martha prima si rifugia a Drogo Hall, poi emigra in America presso una zia, nei dintorni di Boston, sognando un futuro di integrazione per il figlio che porta in grembo. Ma in America è tempo di rivoluzione e di Giubbe Rosse…

La voce narrante è Ambrose (“Lo zio mi passò le lettere… iniziavano già a sbriciolarsi”): si reca a Drogo Hall (“Il ritratto di Harry Peake appeso sopra il camino”) dal decrepito zio William, che è stato l’assistente di un celebre anatomista dedito a pratiche discutibili (“Collezionava anomalie”), forse illecite (“Fare di Harry l’attrazione principale del Museo di Anatomia”), sicuramente macabre, per procurarsi la materia prima dei suoi esperimenti (“Qualche povero diavolo che aveva da poco conosciuto la corda di re Giorgio”). La proprietà, che Ambrose deve ereditare, è sinistra (“A Drogo Hall l’aria era spesso permeata da strani odori”), abitata dai fantasmi e custodisce nei suoi penetrali segreti empi (“Il cuore oscuro di una casa maligna e agonizzante, dove era custodito il tesoro di Drogo, il bottino ammassato nel corso di una vita di saccheggi perpetrati in nome della scienza”). In questa ambientazione retrò (“Accesi con la con la mia candela il candelabro e venni premiato da una fiamma crepitante e catramosa”) e nelle descrizioni dell’atmosfera castellana (“Percy che si affannava attorno al padrone come una vecchia dama”) e paludosa sta, a parer mio, la parte più riuscita del romanzo, quella che meglio corrisponde all’autentica vocazione di McGrath.

Giudizio finale: transatlantico, composito e irredentista, riecheggia vagamente Frankenstein.

Bruno Elpis

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