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Dolce vita
 
Dolce vita 2018-12-15 11:53:34 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    15 Dicembre, 2018
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La fine di un sogno

Tempo fa ho visto in tv l’intervista ad una scrittrice italiana che non conoscevo, Simonetta Greggio. La Greggio è un caso anomalo: vive in Francia e scrive romanzi in francese perché lì li pubblica mentre qui da noi non ne ha avuto la possibilità. Incuriosita mi sono documentata ed ho scoperto che Oltralpe è molto famosa ed apprezzata così ho scelto uno tra i suoi pochi libri tradotti in italiano e l’ho letto. La scelta è caduta sul romanzo “Dolce vita 1959-1979” perché sono stata attratta dalla commistione di fiction e realtà che l’autrice usa per raccontare due decenni cruciali della nostra storia.
Anno 2010: il principe Emanuele “Malo” di Valfonda, gravemente ammalato, sta finendo i suoi giorni in una villa di Ischia e chiama al suo capezzale il gesuita Saverio per confessarsi. Si capisce subito che i due si conoscono bene e che tra loro esiste un segreto che verrà svelato solo nel finale. Lungo tutto il romanzo conosceremo stralci di vita di Saverio ma soprattutto seguiremo i ricordi, usati come anomala confessione, di Malo, che ha attraversato quegli anni da vero viveur senza risparmiarsi nulla.
Anno 1960: al cinema “Fiamma” di Roma viene proiettato per la prima volta “La dolce vita “ di Federico Fellini, film che vincerà quello stesso anno la Palma d’oro a Cannes; il successo del film ha segnato una linea di demarcazione nella società italiana fra la povertà e le macerie del primo dopoguerra e un’epoca di rilancio che profumava di promesse, divertimenti e libertà. Malo è uno degli ultimi testimoni di quel ventennio glamour e oscuro, nel suo racconto i ricordi non seguono una vera cronologia piuttosto sono libere associazioni di idee come scene di un film. Tutto il romanzo è strutturato come un montaggio in stile cinematografico, in questo caso c’è l’influenza de “La dolce vita”; nella trama c’è invece l’influenza de “Il Gattopardo” dove, come in questo romanzo, c’è il racconto di un mondo che sta finendo vissuto in prima persone dal protagonista (lì il Principe di Salina qui il Principe di Valfonda) affiancato da un gesuita più amico e consigliere che prete vero e proprio. Flash back, salti temporali nei racconti intimi e pubblici di Malo, ma anche di Saverio, ci riportano alla memoria la sequela di fatti tragici avvenuti in quel ventennio che ha segnato irrimediabilmente la vita nel nostro Paese. Si inizia con la “perdita dell’innocenza” il 12 dicembre 1969 la strage di Piazza Fontana, poi gli anni di piombo, il Circeo, le Brigate Rosse, la morte di Moro e di Pasolini, i casi P2, Sindona e Calvi fino ai nostri giorni con l’avvento al potere di Silvio Berlusconi. Tutto è legato da un fil rouge che passa per strutture come Gladio, la P2 e l’ingerenza degli Stati Uniti nel governo del nostro paese.
Il romanzo è scritto molto bene, scorrevole, offrendo naturalmente anche diversi spunti di riflessione; nelle parole attribuite ai protagonisti ho ritrovato una considerazione che mi è molto cara e che ho riscontrato in diversi libri cioè che senza la storia passata è impossibile comprendere il presente. –“Quand’è che siamo diventati ciechi e sordi?”- si chiede Malo ed è successo sicuramente in quegli anni quando la gente ha cercato col silenzio di prendere le distanze da tutte quelle tragedie non sapendo che –“dopo gli anni di piombo, quelli di fango”- che purtroppo ci hanno travolti.
Tutti noi, tutte le persone con una coscienza civile prima o poi facciamo nostra la riflessione dell’autrice “…quello che non è stato, quello che si è impedito che fosse, continuerà a tormentarci”.


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