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La felicità di Emma
 
La felicità di Emma 2019-02-20 11:06:18 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    20 Febbraio, 2019
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La ricerca della felicità

«I suoi volumi invece non li toccava nemmeno, voleva conservarli nell’eventualità che la biblioteca comunale chiudesse. Il solo pensiero che i libri che non conosceva potessero finire lo inorridiva. Tutto quello che poteva finire gli faceva paura, e non si trattava solo dei libri.» p. 21

Emma sa bene che laggiù ogni essere vivente si approfitta degli altri: le galline si approfittano “degli scarti della verdura di Emma, la verdura della pollina, il gallo delle galline. E forse anche al contrario. Nessuno avrebbe saputo dire come stavano le cose, e le galline non si esprimevano in proposito”. Emma vive dei maiali e delle meravigliose salsicce che riesce a ricavarne, e i maiali dal loro canto mangiano i suoi stessi scarti di cibo. Emma è legata a quel sistema, ella fa parte del tutto e del tutto a suo agio. Lei e le sue vestaglie della mamma e della nonna, lei e il suo gironzolare sporca sin da quando era bambina, lei e i suoi piedi pieni di calli e ruvidi come carta vetrata, lei e il suo trattore, il suo arrampicarsi sugli alberi, il suo lavorare ininterrottamente “perché il cibo va guadagnato”, lei e la sua vecchia Zündapp vibrante ereditata dal padre al momento della morte, lei e il suo progetto Happy Pork. Non si vergogna del suo porcile personale chiamato casa, a dire il vero non se ne è mai posta il problema, tuttavia, è al contempo prigioniera di quell’unico schema esistenziale a cui non conosce alternativa. Non è mai andata in città, non è mai uscita dai confini del suo piccolo regno. I suoi unici contatti con il mondo sono rappresentati da Henner il funzionario poliziotto della città che è al contempo il suo migliore amico ma anche compagno occasionale di avventure sessuali. Questo almeno fino a che non incontra (e si ritrova a vivere) con un uomo che chiaramente è in fuga, Max. Dopo averlo rinvenuto in una macchina extralusso con un mucchio di soldi in dollari americani e aver fiutato il suo odore di malattia, pensa bene di approfittare della situazione per salvare proprio quell’unico universo che conosce. E così, come se nulla fosse accaduto, continua a macellare i suoi animali:

“Non devo metterci forza. Il coltello deve scivolare nel collo da solo. Vuoi sapere perché faccio così?”
Max annuì.
“Per gli animali la cosa peggiore è la paura di morire, non la morte in sé”.
Max chiese: “La morte non è brutta?”
“No, se qualcuno li tiene stretti. Se tagli la gola in fretta e con precisione. Anche in natura muoiono così. Quando una pecora viene divorata da un lupo, per esempio, libera degli ormoni che fanno da anestetico. L’effetto è come quello della morfina, muoiono senza soffrire”.
[…] “Chi mai può morire felice?”
Emma guardò Max finché anche lui non alzò lo sguardo. Continuando a fissarlo dritto negli occhi disse:
“Chi muore per mano mia”. Pp. 121/122

Con uno stile narrativo intelligente e arguto, una penna eclettica e personaggi al limite rappresentati dalla stessa protagonista a cui si sommano Henner, Karl, Max e Hans, Claudia Schreiber offre al lettore un romanzo di grande spessore, fatto di metafore e ricco di riflessioni intrinseche. La descrizione della campagna tedesca, del modo di vivere della giovane donna all’interno e all’esterno della casa e cioè il suo vivere attuale e il modo in cui vorrebbe che la sua vita fosse, il suo prendersi cura di questi animali con tanta dedizione perché alla costante ricerca di affetto e di quelle attenzioni che mai ha ricevuto, di quella gentilezza che mai le è stata accordata in quel passato doloroso e cupo che l’ha vista crescere, la sua ricerca di una possibilità di cambiamento, invitano il conoscitore ad auto-interrogarsi sul significato del vivere, dell’esistenza, della vita. Perché alla fine tutti avremmo bisogno di un progetto “Happy pork” contro il dolore, contro il passato, contro la solitudine, contro “la macellazione d’urgenza”, contro la depressione, contro quella convinzione di non poter scegliere il cambiamento per rendere concreto il sogno di una realtà migliore.
Un elaborato brillante, penetrante, dal retrogusto amaro e triste, un testo che si fa leggere con rapidità, che nella prima parte ci fa chiedere quale sia la morale, che una volta concluso non si dimentica.

«“Emma si circondò a poco a poco di una pelle morbida e accogliente: gli altri la chiamavano sudiciume, ma a lei dava calore e protezione. Quel disordine era il suo stato interiore, la mappa della sua anima. Fuori però, in giardino, era un’altra cosa. Quella era una zona inviolata, lì poteva vivere come le piaceva. Il giardino era la prova di ciò che Emma voleva veramente dalla vita. Lo stato in cui versava la casa era la prova di ciò che della vita non era riuscita a lasciarsi alle spalle.”» p.149

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