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Partitura d'addio
 
Partitura d'addio 2020-05-16 06:28:58 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    16 Mag, 2020
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La tirannia del talento

"Mentre a casa aspettavo invano il sonno sentii che la mia vita non poteva continuare come se niente fosse. Esistono sventure di tale portata che non si possono reggere se non le si traduce in parole. Così verso l'alba cominciai ad annotare quanto avevo ascoltato e vissuto a partire da quel mattino chiaro e ventoso in Provenza". Se c'è un aggettivo che può definire questo testo con una sola parola è "delicato". Delicato è lo stile di scrittura, caratterizzato da periodi musicali, da parole ricercate. Delicato è l'argomento, perché si parla di sentimenti umani forti, di tormenti, di ossessioni. Delicato è il modo con cui Pascal Mercier mette a nudo l'animo umano, profondendo  emozioni viscerali che turbano, commuovono e coinvolgono il lettore. Un'automobile, due uomini appena conosciutisi accomunati da un profondo male di vivere, una lunga striscia d'asfalto che collega Saint-Rémy a Berna. Adrian Herzog, voce narrante, chirurgo costretto a lasciare la professione per questioni di salute, un matrimonio fallito alle spalle, un amore ormai impossibile, una figlia di nome Leslie. Martijn Van Vliet, vedovo, ricercatore biocibernetico caduto in disgrazia, depositario di un dolore incommensurabile legato alla figura della figlia Lea. Per strada i due uomini approfondiscono una conoscenza casuale che senza troppi preamboli diviene subito intimità, fiducia, solidarietà, empatico rifugio. Le confidenze si susseguono, spingendosi sempre più in là man mano che si fa più intenso il senso di amicizia. Infanzia, studi, giovinezza, amori, fallimenti, figli. C'è però una storia che prevale su tutto, che monopolizza il dialogo relegando il resto a puro contorno, fugace intermezzo, irrilevante corollario. Van Vliet racconta, Herzog guida e ascolta. Il dialogo diventa un monologo, il monologo assume sempre più l'aspetto di un drammatico soliloquio. È una storia che parte dal dolore causato da un lutto. La morte di Cécile, moglie di Martijn, getta nello sconforto la piccola Lea. Dopo un anno di triste chiusura in se stessa, avviene l'episodio che sembra cambiare le cose, riportando alla vita la ragazzina. Il suono di un violino, proveniente da un'artista di strada, riaccende nel piccolo cuore ferito una scintilla di gioia, un fiammella di passione, ridandole un motivo per sorridere, sognare, vivere. "Alla luce di quel che successe in seguito e che so oggi, mi verrebbe da dire che mia figlia perse se stessa nell'atrio di quella stazione. Mi verrebbe da dirlo anche se negli anni seguenti sembrò fosse avvenuto esattamente il contrario: che lei in quel momento avesse imboccato all'improvviso la strada che la conduceva a se stessa, con una dedizione, un ardore, un'energia come solo a pochi è dato attingere". Per Lea inizia un tormentato rapporto con uno strumento che diviene sempre più un prolungamento del suo stesso corpo, con una musica che nasce come passione ma si trasforma troppo presto in tragica ossessione. Lea non si limita a suonare. Quando impugna l'archetto, la ragazza erige una cattedrale di suoni limpidi e caldi che per lei rappresenta la vita ma, al tempo stesso, le serve come rifugio dal mondo. A volte tuttavia anche le cattedrali possono crollare distruggendo tutto ciò che le circonda e quello che erroneamente appariva pervaso da un'aura salvifica risulta invece, com'è realmente, circonfuso da un alone funesto. "Non avrei mai pensato di poter essere irretito in una incapacità così devastante; perché se ne fossi stato dominato, allora dovevo esserlo in una maniera subdolamente invisibile e illusoriamente mutevole, tale da sottrarsi allo sguardo indagatore e da celarsi invece dietro l'ingannevole facciata della sollecitudine. L'osservatore non aveva affatto l'impressione che io non avessi riguardo per i desideri di Lea. Al contrario, visto da fuori doveva sembrare che di mese in mese, di anno in anno io mi fossi messo al servizio dei suoi desideri, diventandone anzi sempre più schiavo. Questa o quella occhiata dei miei colleghi e collaboratori mi faceva capire come trovassero preoccupante il fatto che la mia esistenza si assoggettasse letteralmente al ritmo di vita di Lea, ai suoi progressi artistici e alle sue cadute, ai suoi voli e al suo precipitare negli abissi, alla sua euforia e alle sue sconfitte, alla sua umoralità e alla sua malattia. E come si poteva contestare a un padre che per la felicità di sua figlia finisce addirittura per uscire di carreggiata, come si poteva contestargli la capacità di riconoscere la volontà di lei? Docilmente mi sottomettevo alla tirannia del suo talento".


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Commenti

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Gran bella presentazione, Enrico.
Non conosco assolutamente l'autore ma , da quanto dici dello stile e della scrittura, m'interessa.
Grazie Emilio. Mi sono innamorato di questo autore grazie al più famoso "Treno di notte per Lisbona". Non mi ha deluso neanche questa seconda esperienza, anzi... Peccato che, da quello che mi sembra di capire, non ci sono altre sue opere tradotte in italiano. Approfondirò la ricerca.
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