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Il ritratto vivente
 
Il ritratto vivente 2020-12-31 11:49:03 La Lettrice Raffinata
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    31 Dicembre, 2020
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Toy Story: Portraits Edition

"Il ritratto vivente" è un romanzo che potremmo considerare parte della corrente del realismo magico, nonostante a fine lettura si abbia un retrogusto quasi da thriller per la forza -sia visiva che emotiva- di alcune scene.
La storia è narrata da un punto di vista decisamente inusitato: quello di un quadro di ottima qualità, acquistato dal ritrattista Felix Vincent per farne un'opera risultato del suo estro, anziché delle innumerevoli ed insoddisfacenti commissioni alle quali è vincolato per ragioni economiche. La sua futura creazione inizia così a fantasticare su quale sarà il suo mirabolante destino, già immaginandosi esposto in un celebre museo;

«Ha un progetto su di me, che è esclusivamente frutto della sua fantasia. [...] Ero destina a diventare qualcosa di grandioso.»

il caso vuole però che il nostro bizzarro protagonista rischi prima di diventare il ritratto di una snob rifattissima, poi un desolante paesaggio invernale, per arrivare solo verso la metà del volume a comprendere in modo chiaro quale sarà il suo fine.
Ispirato in parte al nostrano Pinocchio, in parte al "Frankenstein" di Mary Shelley -non a caso Felix viene ribattezzato ben presto "creatore"-

«Creatore! canticchiai con tutte le mie chiavette, creatore! Fa' di me quello che vuoli! Fa' di me qualcuno!»

il romanzo si snoda in una serie di vicende dal forte intento allegorico, legate soprattutto alla realizzazione del quadro finale e alla vita privata dell'artista. Di quest'ultima in realtà il lettore non arriva a scoprire perfettamente tutti i retroscena, dal momento che il punto di vista è alquanto limitante,

«Se avessi continuato a stare attento, avrei senz'altro capito quello a cui alludevano, dove fossero rimasti e in cosa consistesse il loro gioco, [...].»

pertanto alcune delle sottotrame approdano ad un nulla di fatto, come il rapporto tra creatore e Minke: possiamo intuire che si conoscano da parecchio tempo, ma non abbiamo altri dettagli sul loro passato.
Pur non eclissando gli altri personaggi della storia, il quadro si dimostra essere il solo protagonista, del quale seguiamo l'evoluzione sin dalla sua "nascita" come parte di un pregiato rotolo nel negozio di belle arti Van Schendel. Una volta arrivato nella casa di Felix, il narratore inizia la sua formazione, grazie alle parole delle persone che frequentano lo studio da un lato,

«Lui e Lidewij parlavano di quell'autunno come di una stagione eccezionalmente calda. [...] Ogni tanto si alzava una brezza irrequieta e sentivo il fruscio delle foglio sospinte nella stanza.»

e al proprio brillante intuito dall'altro, tanto che in più di un'occasione si dimostra più sveglio dello stesso creatore nel cogliere le sfumature nelle parole degli altri.
Il quadro comincia ben presto a provare anche delle emozioni definibili umane, come la vergogna, in un crescendo di interrogativi collegati soprattutto alla propria identità e alla definizione di se stessi, tema assolutamente centrale di questo titolo. Il protagonista si convince infatti che il soggetto prescelto da Felix determinerà non solo il suo aspetto esteriore ma anche il suo carattere.

«Chi verrà dipinto su di me? Chi diventerò? Di chi prenderò il volto? [...] Attraverso gli occhi di chi avrei guardato il mondo?»

Altra riflessione degna di menzione è quella relativa all'etica, rapportata al lavoro di un artista: se chi crea commette un'azione negativa, anche le sue opere devono essere svilite di conseguenza? Nel caso di creatore, l'errore è in buona fede, ma la reazione -ed il giudizio dell'autore- è comunque tangibile e chiara.

«Creatore ha aggiunto un'altra bracciata di rami, poi è tornato nello studio, ha arraffato le stampe, le fotografie, il video, perfino l'assegno da cinquantamila euro e ha buttato tutto nel falò, [...].»

In questo senso si nota un'eccessiva -e, per me, fastidiosa- propensione di Otten nel voler fare la morale ai suoi stessi personaggi, bacchettandone i comportamenti che ritiene inappropriati. Per il resto, lo stile dell'autore mi ha decisamente convinto; ho apprezzato la sua creatività nell'immaginare i pensieri e le emozioni di un oggetto inanimato,

«Ero esistito finché creatore mi dipingeva e Lidewij prendeva atto di me. Adesso cominciavo a dimenticarmi della mia esistenza.»

inoltre, la presenza di molti elementi metaforici, come l'albero abbattuto che costringe il pittore a prendere la bicicletta, denotano una certa ricercatezza nella prosa di Otten.
Vorrei concludere con un paio di osservazioni sull'edizione che, nel suo complesso, è assolutamente promossa: ottima la traduzione, con un paio di utili note, e la postfazione che racconta qualcosa di più sull'autore e sulla sua produzione oltre questo titolo. La mia unica lamentela riguarda i materiali, perché la colla usata mi ha costretto a spezzare letteralmente il volume per poterlo leggere... un peccato.

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