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Prima del calcio di rigore
 
Prima del calcio di rigore 2021-11-08 12:11:07 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    08 Novembre, 2021
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Dove buttarsi?

Un uomo solo, armato soltanto di un paio di guantoni. Davanti a lui una sfera di cuoio. Più in là ancora, un altro uomo, pronto a calciare quel pallone verso la porta difesa dal primo. Per chi guarda dagli spalti il concetto appare molto semplice. Ma trovarsi nei panni del portiere non lo è affatto. Dove tirerà l'avversario? È impossibile aspettare che tiri per decidere dove buttarsi, la velocità del pallone non gli consentirà di lanciarsi in tempo. Bisogna scegliere un lato e sperare. Ma come scegliere? A volte si conosce l'incaricato del tiro, si sa in che modo predilige calciare dagli undici metri. Ma proprio per questo potrebbe decidere di cambiare. Oppure, sempre per questo, decidere di mantenere la stessa linea, nella convinzione che l'altro si aspetti che cambi. Le opzioni sono infinite, il tempo per decidere è poco. Una sorta di guerra psicologica, una sfida snervante che va al di là del semplice aspetto sportivo. Lo sa bene Josef Bloch, ex calciatore austriaco che tra i pali ci ha passato gli anni più belli della sua vita, ora impiegato come elettroinstallatore. Ma anche adesso che è ormai lontano dal campo, si trova a fronteggiare la stessa ansia, gli stessi dubbi, a fare affidamento sullo stesso intuito, a dover prevedere le mosse dell'avversario. Ma ora non ha davanti un attaccante, come ai bei tempi, non è respingere un pallone l'obiettivo. Adesso l'avversario è un agente di polizia, la speranza è di evitare l'arresto. Ma perché Bloch si trova in questa situazione? Perché ha strangolato a morte quella donna che non aveva fatto altro che regalargli un po' di calore, di tenerezza, di conforto? Un licenziamento, una giornata storta, quel senso di solitudine che spesso ci fa sentire estranei a tutto ciò che ci circonda, quell'inutilità che troppe volte ci sembra di scorgere nella nostra quotidianità, non sono sufficienti a spiegare ciò che il protagonista ha fatto. Perché non se lo spiega neanche lui. Perché non vuole spiegarselo. Perché ciò che conta ora è scappare. E la fuga va avanti ma tutto è confuso, Josef si muove, agisce, parla, prende decisioni, ma sembra spinto dall'inerzia, guidato da una sorta di ipnosi. Vede ovunque complotti, interpreta i discorsi di chi gli sta intorno come messaggi in codice, sente ad ogni nuova tappa di essere braccato. Eppure Handke non fa alcun riferimento alle indagini, non fa comparire nel racconti gendarmi sulle tracce dell'assassino in questione. Ci fa semplicemente vivere, in uno stato quasi onirico, il delirio dell'omicida attraverso gesti quasi insignificanti, privi di importanza, riuscendo a trasmettere tensione senza metterci azione, creando suspance pur non facendo succedere niente. Un libro breve che racconta una storia un po' folle, uno stile freddo, secco, fatto di frasi corte e ricche di punteggiatura, un'atmosfera cupa, quasi soffocante. Un protagonista alienato, in balia di eventi che tardano a concretizzarsi, come fosse un portiere che, dopo il fischio dell'arbitro, segue la rincorsa dell'avversario pronto a battere il rigore, cercando di capire dagli occhi, dai movimenti del corpo, dalla direzione della sua corsa, dove tirerà. Saprà scegliere l'angolo giusto? Si lancerà nella direzione corretta? E se invece, semplicemente, decidesse di restare immobile, quante probabilità ci sono che l'altro gli calci il pallone tra le mani?

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Commenti

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Enrico, non sapevo di questo libro.
Dell'autore lessi vari anni fa "La donna mancina" , che mi lasciò piuttosto indifferente. Uno scrittore insignito del Nobel penso abbia scritto di molto meglio, per cui sarei curioso di ritentare con qualcosa di 'sicuro ' .
sarei lieto pertanto di avere eventuali segnalazioni adatte a ' ricominciare ' .
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