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Vicolo del mortaio
 
Vicolo del mortaio 2023-03-05 18:31:17 Mian88
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    05 Marzo, 2023
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Vicolo di umanità

«Il tramonto si annunciava e il Vicolo del Mortaio andava coprendosi di un velo bruno, reso ancora più cupo dalle ombre dei muri che lo cingevano da tre lati. Si apriva sulla Sanadiqiyya e poi saliva, in modo irregolare: una bottega, un caffè, un forno. Di fronte ancora una bottega, un bazar e subito la sua breve gloria terminava contro due case a ridosso, entrambe di tre piani.»

Ci son due cose che balzano immediatamente all’occhio del lettore che si avvicina alla lettura di “Vicolo del Mortaio” di Nagib Mahfuz. La prima è la grande accuratezza delle descrizioni che riesce a rendere ogni passaggio, ogni battuta, ogni personaggio, vivido e contestualizzato. Questo proprio perché tra le grandi capacità del narratore vi è quella di riuscire a riportare il conoscitore in quel vicolo con piccole pennellate che rendono tangibile e concreto il luogo. La seconda, invece, è la grande attualità. Chi legge non si rende ben conto del periodo storico, è consapevole che l’opera abbia qualche anno ma la sente vicina, quotidiana. Non sente il peso degli anni, sente che è al contrario un’opera contemporanea, non datata, che è capace di suscitare senso di comunanza. Questi due elementi suscitano sin da subito profonda empatia con lo scritto, un testo che ha molto da dire e che ben contestualizza storie di ordinaria quotidianità. Altro tassello, questo, simbolicamente il terzo se vogliamo aggiungerne uno extra ai due già citati, che ne conferisce ulteriore e profonda sostanza. Non ci sono vinti e non ci sono eroi, non ci sono supereroi, tra queste pagine, ci sono vite. Vite di uomini e di donne, vite di persone che combattono ogni giorno la propria singola e individuale battaglia personale, con coraggio, con forza. Questo anche quando al contrario potrebbe sembrare prevalere un senso di arrendevolezza a quelli che sono i fatti, le circostanze. Non solo, questi uomini e queste donne, sembrano proprio non volersi arrendere a quel senso di sopravvivenza perché la vita è una ed è preziosa e bella e allora perché non viverla davvero?

«Con lo scoppio della guerra, aveva preso servizio nelle guarnigioni dell’esercito britannico, dove riceveva trenta piastre al giorno contro le tre del suo primo impiego […] Si dava alla bella vita con sfrenato entusiasmo.»

Classe 1947 è “Vicolo del mortaio”, scritto del premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz che ci trasporta a Il Cairo. Siamo davanti a una realtà di povertà, di malattia e di desiderio costante e pulsante di riscatto. Un riscatto che vede anche il desiderio di soddisfare impulsi e aspirazioni ma anche di realizzare progetti.
È un libro dove emergono molti personaggi che, tutti insieme, danno vita a un’opera corale fatta di semplicità e umanità. Tra tutti i personaggi quello che maggiormente emerge è certamente Hamida, figlia adottiva di Humm Hamida, inserviente nei bagni pubblici e mezzana di matrimoni. È una giovane bellissima che è amata da Abbas. Quest’ultimo, un giorno, si dichiara alla ragazza promettendole di arruolarsi nell’esercito inglese al fine di guadagnare denaro per poterla sposare. Hamida è una donna animata da sogni di evasione, è una donna che vive in un contesto che le sta stretto. Accetta seppur riluttante il fidanzamento ma nel cuore pulsa e vive.

«Niente è più brutto di una parola d’amore pronunciata freddamente da una bocca annoiata.»

“Vicolo del Mortaio” narra di uomini e donne con pregi e difetti, donne e uomini che cadono e si rialzano, che combattono ogni giorno le proprie singole battaglie. È un libro che si apre all’occidente mostrandosi con i suoi scheletri nell’armadio, che non giudica ma che delinea. L’esser caratterizzato da una narrazione universale lo porta ad essere un titolo capace di suscitare riflessione e di rendere verosimile un contesto politico-sociale-religioso anche a distanza di settantasei anni. Da leggere.

«Il buon Kamil si accigliò, impallidì e gli occhi si riempirono di pianto ma lo Shaykh alzò le spalle indifferente e continuando a fissare il soffitto proseguì:
Chi muore d'amore, di pena se ne muore
senza di questo non c'è alcun bene nell'amore.
Infine si stropicciò le mani soffiandovi sopra e concluse:
"Signore e giudice di ogni cosa, concedici la misericordia dei santi. Signore, che io possa essere paziente, non ha forse ogni cosa la sua fine? Sì, ogni cosa ha la sua fine, che in inglese si dice end e si scrive e.n.d."»

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