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Storia di Shuggie Bain
 
Storia di Shuggie Bain 2024-04-09 18:04:41 Menti55
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Menti55 Opinione inserita da Menti55    09 Aprile, 2024
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La disperazione in una plumbea Glasgow

Opera prima di Douglas Stuart e vincitore del Booker Prize 2020 “Storia di Shuggy Bain” si inserisce in quel filone narrativo che esplora la condizione della working class inglese nel periodo della Tatcher. Per gli amanti del cinema le atmosfere sono quelle tipiche dei film di Ken Loach. Ambientato nei sobborghi poveri e squallidi di una Glasgow grigia, quasi sempre piovosa, il romanzo, che ha forti connotati autobiografici, narra del rapporto e del grande amore tra una madre, Agnes, e un bambino, Shuggy. Shuggy, vezzeggiativo di Hugh, è il figlio nato dal secondo matrimonio di Agnes con l’omonimo padre Shug Bain, tassista e impenitente donnaiolo. La famiglia inizialmente vive a Sightill (il quartiere di nascita di Stuart), insieme ai genitori di Agnes, Lizzie e Wullie. Stanco della gelosia - fondata - di Agnes e delle sue richieste di avere una casa tutta per loro, Shug “confina” Agnes, Shuggy e gli altri due figli di Agnes, avuti dal precedente matrimonio, Catherine e Leek, a Pithead. Quartiere abitato dalle famiglie dei disoccupati creati dalle politiche liberiste della Tatcher, in Pithead lo squallore e la miseria regnano imperanti. Scritto con grande realismo Stuart non minimizza, non nasconde ma, anzi, descrive i luoghi, i personaggi, la comunità in cui essi sono calati con dettagli minuti che altrimenti sarebbero passati inosservati. L’intento dell’autore è quella di condurre il lettore per mano “dentro” il romanzo senza lasciare alcuno spazio all’immaginazione.
Nella sua narrazione Stuart assume il punto di vista delle donne poiché, come dichiara egli stesso, “cresciuto in mezzo alle donne, mia mamma e le sue vicine, ho sempre avvertito che la struttura portante della città si poggiava su di loro…e quindi volevo che questa fosse una riscrittura dal loro punto di vista…perché se gli uomini sono vittime (in questo caso dei licenziamenti) sono le donne e i bambini a sopportarne le conseguenze”.
E infatti, nella comunità di Pithead, le protagoniste pressoché esclusive sono le donne; gli uomini restano ai margini e quando appaiono mettono in mostra tutte le loro frustrazioni, la perdita di dignità conseguenza della mancanza di lavoro.
Agnes è una bella donna dotata di grande forza, ambiziosa, che sogna una vita diversa, migliore e che, come molte donne nelle sue stesse condizioni, affoga le sue delusioni nell’alcol.
La dissoluzione di Agnes progressivamente prende sempre più corpo e causa l'allontanamento da sé prima di Catherine, poi di Leek e, infine, di Eugene, l’unico uomo che sembrava poterla ricondurre alla “normalità”. L’unico che con tutte le sue forze fa da contrappeso e tenta di frenare questa discesa nell’abisso dell’alcolismo è Shuggy. Un legame profondissimo caratterizza il rapporto tra Agnes e Shuggy. Un amore profondo, incondizionato, in cui la massima aspirazione reciproca è la normalità: per Agnes l’abiura dall’alcol, per Shuggy essere come gli altri ragazzi. Nonostante l’alcolismo renda impari il rapporto madre-figlio l’amore tra i due raggiunge vette poetiche altissime. Da un lato Agnes vuole “emancipare” Shuggy dai modelli maschili di cui è circondato trasmettendogli il senso di dignità di cui lei stessa è permeata anche nei momenti più drammatici. In questo sforzo Agnes asseconda le tendenze omosessuali di Shuggy comprandogli bambole, insegnandogli a ballare e facendogli assumere un tono di voce che, però, diventa motivo di sfottò per i suoi coetanei. Per Shuggy, invece, l’amore sconfinato per la madre diventa una missione per farla uscire dall’ alcolismo. Sono momenti di poesia pura la cura con cui Shuggy cerca di “aggiustare” la madre: le pettina i capelli, canta e balla per lei, la sveste per metterla a letto vegliando sul suo sonno. In entrambi emerge prepotente un bisogno di amare e di essere amati che si esplicita in un rapporto impermeabile agli sguardi esterni, che li rende complici spesso involontari. Un tratto a mio avviso fortemente caratterizzante è che nel romanzo di Stuart vi è la assoluta mancanza di giudizio non solo nei confronti di Agnes ma anche nei confronti delle altre donne della comunità vittime dello stesso dramma. Il romanzo scorre su binari paralleli in cui la dissoluzione di Agnes procede di pari passo con l’evoluzione di Shuggy. Ma la crescita del bambino/ragazzo è complessa e resa dura da questa ricerca della “normalità” che a Shuggy non appartiene. Inseriti a pieno titolo in un mondo di esclusi dalla società, in un contesto di disgregazione sociale senza via d’uscita in cui emerge solo la sopraffazione tra pari, madre e figlio sono oggetto ambedue di emarginazione da parte degli altri: Agnes per la sua bellezza, per la sua voglia e capacità, anche nella miseria, di essere sempre elegante è oggetto di invidia da parte delle altre donne cui non pare vero di poterla trascinare sempre più a fondo grazie all'alcolismo; Shuggy, anch’egli diverso per l’assenza di mascolinità, per il suo parlare forbito, è oggetto delle angherie dei suoi compagni di scuola. Questo li rende simili e accomunati da un dolore infinito seppur diverso: vergogna e sensi di colpa per Agnes, voglia di “evadere” e speranza per Shuggy.
La bellezza del romanzo di Stuart, oltre che nella storia, sta anche nella capacità di indagare senza fronzoli e orpelli inutili ma, come dicevo all’inizio, con puro realismo gli anni peggiori della recente storia inglese e, in particolare, della working class senza indulgere in falsi stereotipi, senza inutili pietismi, senza manipolazioni ma con l’asciuttezza tipica dell’osservatore che descrive la realtà che lo circonda. Con un plus di non poco conto: questa realtà Stuart la racconta dall’interno per averla vissuta in prima persona.


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Consigliato a chi ha letto...
...a chi non ama chiudere gli occhi e a chi ama il cinema di Ken Loach
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