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Quella croce che fa ancora discutere
Ho appena terminato la lettura e scrivo queste note un po' di getto.
Di solito, finito un libro, mi prendo alcuni giorni di riflessione per metabolizzare le impressioni, rielaborarle, raccogliere i pensieri. In questo caso però avverto l'urgenza di fissare alcuni concetti il prima possibile, forse per esorcizzare angosce, possibilmente per rinsaldare la fiducia in un benevolo progetto divino o forse più semplicemente, per lasciarmi guidare dall'emotività del momento.
Inutile rammentare quanto scriva bene Saramago; la sua prosa avvolgente e mai banale è un flusso incessante di emozioni. Valga per tutti il bellissimo episodio della morte di Lazzaro in cui pathos e lirismo sostanziano una prosa raffinatissima.
Ciò che mi preme invece fissare su carta è la profonda, disturbante, sconcertante impressione del messaggio che questo scrittore convintamente ateo ha voluto lanciare ai suoi lettori con gesto forse un po' disperato.
Chi è dunque il Dio cristiano per Saramago? Un essere supremo e onnipotente che con cinismo e crudeltà opera unicamente per soddisfare ambizioni malsane, incurante del dolore e della devastazione che le sue azioni produrranno nei secoli. Un dio malvagio che simbolicamente siede sulla stessa barca del diavolo, suo alter ego, in uno degli episodi più sconvolgenti di questo Vangelo. Un Dio che, per pura brama di potere, sacrifica un figlio e con lui generazioni di perseguitati e martiri morti nell'illusoria speranza di salvezza eterna. Gli dei greci antropomorfi, coi loro patetici difetti umani, appaiono minuscoli rispetto a questo titanico ed onnipotente despota. Immagine grottescamente negativa cui dunque va la condanna assoluta dell'ateo scrittore portoghese, da intendersi diretta alla religione in quanto tale, piuttosto che a un Dio in cui ovviamente non crede.
Forse però c'è qualcosa di più. Qualcosa da ricercarsi nella figura di Gesù.
Chi è dunque Cristo per Saramago? Cristo è, suo malgrado, l'Eletto del Signore, inconsapevole strumento di una volontà malvagia, portatore della croce fin dai primissimi vagiti nella culla di Betlemme. Una perenne condizione di turbamento e travaglio lo tormenta nel scoprire su se stesso quei segni di divinità che non è in grado di interpretare. Opera miracoli meccanicamente, come un automa, un burattino senza fili.
Quel disegno che per lui Dio ha concepito si svelerà soltanto con l'apparizione sul lago di Tiberiade. Il figlio di Dio dovrà morire in croce e da quella croce, da quel sacrificio, nascerà una religione nuova a gloria di Dio e soddisfazione della sua vanità. Chi non proverà empatia per il Figlio di Dio che si offre in sacrificio ad espiazione dei nostri peccati? Chi potrà resistere all'illusorio messaggio di amore e salvezza che si offre al popolo tutto, agli umili, ai poveri, agli emarginati? Gesù sa che quel messaggio di cui lui stesso, con parabole e allegorie, sarà portatore, non è il frutto dell'amore divino come la religione professerà nei secoli a venire, quanto piuttosto squallido espediente di un Dio bramante gloria in cerca di nuovi osannanti credenti. A questo disegno Gesù tenterà di opporre una estrema ribellione rifiutando la sua natura divina, ma come per tutte le più nobili ribellioni, anche la sua risulterà vana.
Quod scripsi scripsi. Il destino che Dio ha previsto per Gesù non si può cambiare così come ineluttabile appare il carico di sciagure che si riverseranno sull'umanità intera. Per tutti sulla croce morirà il figlio di Dio e non quello di un modesto falegname di Nazareth. La nuova religione si aggiungerà alle altre, non meno intolleranti e malefiche. Martirii, violenze, stragi e guerre di religione si susseguiranno e la Storia continuerà a registrarle senza che peraltro l'umanità impari mai la lezione.
Ecco, io credo che in qualche modo in quel Gesù umanissimo e ribelle, Saramago forse si riconosca. Il suo acceso ateismo, l'avversione al Credo di qualsiasi natura, è la molla che lo spinge a scrivere questo libro provocatorio. In nome di questo ateismo, Saramago conduce, come il Gesù del suo Vangelo, una battaglia vana, persa in partenza, ma non per questo indegna di essere vissuta.
Ovviamente, c'è tanta amarezza. Meglio sarebbe invece abbandonarsi all'amore della Maddalena per quel suo Gesù così sofferente. In lei e nel suo amore gratuito e incondizionato sopravvive una speranza per l'umanità.





























