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Tra presente, passato, rimpianto e illusioni
– È venuto di nuovo quell’irlandese, – disse Francesca, sedendosi al tavolo della cucina. – Ha bussato a tutte le porte, ma è te che cercava. Gli ho detto che saresti rientrata presto. – Che cosa vuole? – chiese Eilis.
– Ho provato in ogni modo a farmelo dire, ma non c’è stato verso. Ha chiesto di te chiamandoti per nome.
– Sa come mi chiamo?
Colm Tóibín è uno di quegli autori capace di entrare in sintonia con i lettori con pochi e semplici ingredienti. Questo perché, con le sue storie e i suoi personaggi, è in grado di creare mondi fatti di sfaccettature del quotidiano che suscitano senza difficoltà empatia.
“Long Island” torna a parlarci di Eilis Lacey, una delle tante donne di origine irlandese che ha lasciato la madrepatria in cerca di fortuna e con meta il Nuovo Mondo. L’opera altro non è che il naturale seguito di Brooklyn, classe 2019, nonché testo che può essere letto in totale autonomia rispetto al precedente.
Non è mai semplice lasciare la propria casa, non è mai semplice ricominciare dal principio cercando in primis noi stessi. Tra queste pagine ci troviamo circa due decenni dopo da quelle che sono le vicende che abbiamo approfondito in Brooklyn. Eilis è sposata ed è intrappolata in un matrimonio poco felice e dove l’equilibrio matrimoniale viene rotto da un uomo che, come da incipit, svela alla donna del tradimento del marito. Dall’unione extraconiugale di Tony sta per nascere anche un figlio. Tutto crolla per la protagonista. Quest’ultima è una figura già di per sé umiliata dalla famiglia italo-americana di lui, una famiglia invadente e opprimente che la fa sentire anche incompresa. Dove cercare risposta, dunque, se non nel passato?
“Un’altra cosa c’è disse. – Ma non sono sicuro di potertela dire.
– Tra poco me ne devo andare, – disse lei. – Se non me la dici c’è il rischio che diventi un altro rimpianto.
Lui scosse di nuovo la testa. – Certe cose sono private.”
Ed è da qui che ha inizio un viaggio a ritroso, verso Enniscorthy, Irlanda, in cui vive la madre. È tramite questo percorso che Eilis tornerà a guardare a ciò che ha lasciato, ai sentieri che si sono interrotti e a quelli che forse possono essere nuovamente intrapresi.
In “Long Island” siamo davanti a un vero e proprio percorso introspettivo che oscilla tra malinconia, rabbia per le occasioni perdute, desideri inespressi, amori e disincanti, abitudini e sogni.
C’è tanto in questa storia da scoprire e su cui riflettere. L’autore ben intreccia rimpianti e fallimenti, fragilità e realismo ed ancora ben definisce e caratterizza ogni personaggio che agli occhi del lettore è vivido.
Tóibín vuole nuovamente soffermare l’attenzione su quello che è il dramma dell’immigrazione e dell'emigrazione, soprattutto tra gli anni Cinquanta del secolo scorso. È un tema che nel caso specifico viene affrontato in relazione al popolo irlandese ma che in realtà è ancora fortemente attuale e concreto. È forse cambiata la modalità ma non anche le dinamiche e le ragioni. In tutto questo, Eilis altro non è che uno dei tanti volti simbolici che affronta il proprio destino percorrendolo.
Perché alla fine siamo tutti alla ricerca della nostra identità, del nostro essere, delle nostre radici e della nostra appartenenza a un luogo. Questo anche quando da quel luogo siamo staccati con la forza o comunque per non nostra volontà.
Un romanzo con tanto da dire, con tante emozioni e che sa far riflettere. Forse da un lato meno intenso di Brooklyn ma molto più maturo e introspettivo.
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Non ho letto questo libro ma apprezzo l'autore. Ho riletto "The Master", per me forse il suo capolavoro.