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Yakov libero pensatore
Liberamente tratto da un fatto di cronaca del 1911, questo romanzo di Malamud narra la storia di Yakov Bok, ebreo insoddisfatto della sua vita, abbandonato dalla moglie scappata con un goy (non ebreo) che decide di emigrare a Kyev per un riscatto sociale. Nella grande città sarà vittima di un complotto in quanto ebreo, accusato ingiustamente dalla polizia russa dell’assassinio di un bambino per scopi ritualistico-religiosi verrà incarcerato e sottoposto a continue vessazioni e privazioni tali da fare perdere ad un uomo la dignità di essere umano.
Il tratto caratteristico di M. è evidente qui come nelle pagine del più celebre “Il commesso” in quanto i suoi protagonisti sono sempre personaggi funestati dal destino avverso, ai margini di una società che prima li illude e li blandisce e poi si approfitta di loro. Valore aggiunto nell’uomo di Kiev è la questione politico filosofica che emerge chiaramente. Yakov seppur ebreo si professa come “libero pensatore” appassionato del filosofo Spinoza, lui stesso si definisce come “uomo che decide da solo se vuol credere alla religione o no”.
Infatti Yakov oltre a non credere nel Dio ebraico lo apostrofa come entità “che se ne sta sulla montagna, fuori dal tempo, a fissare lo spazio. Dio non ci vede e se ne infischia di noi”. Durante la sua prigionia Yakov riflette abbondantemente sulla questione ebraica, sul fatto che nella Russia zarista gli ebrei sono diventati il capro espiatorio per scaricare su di loro il malcontento popolare ed i fermenti di rivolta via via sempre più presenti negli anni del XX° secolo che precedono lo scoppio della rivoluzione del 1917 (“nessun ebreo era innocente in uno stato corrotto che mostrava i segni della propria corruzione nella paura e nell’odio verso coloro che perseguitava”).
L’abilità stilistica dell’autore è evidente perché il senso di prigionia e claustrofobia subito da Yakov viene avvertito anche dal lettore che inevitabilmente solidarizza col protagonista. Ancora di più in quest’opera si delinea un Malamud capace anche di scrivere una storia violenta, viscerale, dura per le condizioni disumane alle quali sarà sottoposto Yakov.
Pagine forse necessarie (sebbene a mio avviso il libro pecchi alla fine di un’eccessiva lunghezza e ripetitività in alcuni punti) per entrare in sintonia con il messaggio politico dell’autore, che questa volta esce dai confini americani delle sue storie in cerca dei territori e delle atmosfere che riportano alle origini ebraico europee della sua famiglia.
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Questo libro non mi attrae. Dell'autore ho letto solamente "Il commesso" che ho molto apprezzato. Mi piacerebbe leggere qualcos'altro.