Dettagli Recensione
Autunno americano
Più che un giallo, questo libro famosissimo è un vero e proprio pezzo di cronaca nera, un resoconto fedele di un evento reale. L’autore, a torto noto solo come uno scrittore “leggero”, a causa di un malinteso intendere nella sua essenza più profonda del suo famoso romanzo “Colazione da Tiffany”, quello da cui fu tratto il film omonimo con Audrey Hepburn, è invece assai di più, un grande scrittore. Che il suo vero dire lo esplica tra le righe, nel sotteso, come tutti i grandi.
Nello specifico, pare rivelarsi qui solo come un cronista attento, preciso, dettagliato, racconta di un fatto cruento di cui è stato davvero testimone, ha fatto cioè storia romanzata di un episodio realmente accaduto. Invece, ne ha fatto di gran lunga ben oltre, un gran romanzo, in verità.
Un romanzo poliziesco, se vogliamo, perché ne contiene elementi di base, come il delitto, l’assassinio in particolare, poi l’indagine, la scoperta dei colpevoli, il movente e più in generale le intime motivazioni che muovono la mano omicida. Certo, contiene tutto questo, con una particolarità: è vergato a freddo. Per cui agghiaccia di più il lettore.
Nel novembre 1959, in una piccola cittadina della più classica provincia rurale americana viene scoperto un efferato omicidio plurimo, una strage familiare: agli intervenuti sulla scena del delitto si presenta lo spettacolo sanguinoso e raccapricciante dello sterminio di un’intera famiglia piccolo borghese e benestante, genitori e due figlioli, massacrati in apparenza a scopo di rapina, con un ben misero bottino, quindi per futili motivi. La polizia indaga, scopre i responsabili, due pregiudicati che vengono arrestati, giudicati, ritenuti colpevoli e condannati alla pena capitale.
Truman Capote di questo racconta, riporta la storia come un qualsiasi cronista, e per rendere meglio edotti i suoi lettori si immerge nel contesto, gira per la cittadina, chiede, domanda, interroga, raccoglie notizie sulle vittime, sugli assassini, sull’ambiente e sul vissuto di tutti quanti coinvolti, in apparenza compie il lavoro di un buon giornalista. Solo che, senza parere, Capote fa ben altro.
Va al fondo delle cose, letteralmente a sangue freddo fa rivivere le cose come in effetti sono, si insinua nell’animo degli attori nel bene e nel male, ne scandaglia la vita, i pensieri, i comportamenti, certamente gli assassini commettono gli omicidi a sangue freddo, ma è stupefacente la freddezza che Truman Capote fa emergere dal vissuto di luoghi e persone, vera ed unica origine prima del delitto. Lo scrittore esegue quella che diremmo una full immersion, quasi simpatizza con i colpevoli ma al solo scopo di capire le vere motivazioni di una simile barbara e pressoché inutile carica delittuosa, quale è la pecca del consorzio civile in una realtà semplice, rurale e produttiva forgiata ad apparente misura d’uomo e però certamente deficitaria, gelida, ghiacciata, se è un sistema in grado di partorire simili aberrazioni. In sintesi, Capote dimostra a sangue freddo, come fosse un diaccio esercizio logaritmico o una artica equazione quantistica, che quell’universo di brava gente deve per forza possedere, per equilibrio, in un’altra dimensione un universo parallelo dove la brava gente tanto brava non riesce ad essere per meri motivi di sopravvivenza. Ma non per questo va giudicata meno brava.
Talora, delinque per non morire di freddo.
Cosa che chi sta al caldo non capisce, il sazio non crede al digiuno.
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E' un autore che ho un po' accantonato dopo la delusione di "Un'arpa d'erba". Pertanto non ho letto il testo recensito.
Un saluto, Bruno.