Commissario Rebaudengo
Letteratura italiana
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Il commissario piemontese
Bartolomeo Rebaudengo, dal nome originale e altisonante, è il commissario di Alassio, amena cittadina della riviera Ligure.
Il commissario però è piemontese e non ama il mare e tutto ciò che gli appartiene, lui ama la sua terra, le montagne, i boschi e la cucina dei luoghi natii.
Questa è la prima prova per Rebaudengo di mostrare il suo intuito e il suo metodo di investigazione.
Nella narrazione viene infatti denunciata, dalla moglie, la scomparsa di un professore di filosofia e pochi giorni dopo viene rinvenuto il corpo di una ragazza, nuda in un cerchio di candele scure, palesemente strangolata.
La soluzione del caso ruota tutta intorno al commissario, ed anche se si avvale di validi collaboratori sarà solo grazie alla sua tenacia e ostinazione che si arriverà a svelare l’assassino.
Il giallo non è molto originale, anche se ben scritto, con dettagliate descrizioni dei panorami, degli usi e costumi liguri e piemontesi, con sprazzi qua è la anche dell’uso dei dialetti locali.
Il commissario è una bella figura, imponente, quanto il suo nome, belloccio e piacente senza alcun vanto.
E già da questo romanzo nasce infatti una liason tra lui e il medico legale, la dottoressa Ardelia, anche lei con un nome molto impegnativo! E non si può dire che l’autrice non si sia sforzata nel cercare un po’ di originalità se non altro in questo. Perché il resto risulta un po’ banale.
Il finale è abbastanza scontato, e, secondo me, anche questo, un po’ forzato, proprio per dare un tocco di peculiarità e di modernità, scostandolo volutamente, un po’ dai ruoli classici. Ma mi è sembrato poco convincente e soprattutto poco coinvolgente.
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Amore e morte sulla Riviera di ponente
Il commissariato di Alassio riceve la telefonata della signora Fabiana Fiorilli la quale, angosciata, comunica che il marito, il prof. Oddone, docente di filosofia nel liceo di Albenga, è scomparso da circa due giorni. A occuparsi del caso è il Commissario Bartolomeo Rebaudengo, che fa avviare le ricerche del professore, ma costui sembra svanito nel nulla. Si tratta di un abbandono del tetto coniugale dietro a qualche avventura romantica, oppure all’uomo è capitato qualcosa di brutto?
Dopo alcuni giorni, però, il Commissariato di Alassio è chiamato a risolvere una questione ben più tragica: nelle campagne è stato rinvenuto il corpo di una bellissima ragazza, completamente nudo, supino e in posizione aperta come nell’uomo vitruviano di Leonardo. La ragazza è stata strangolata e l’assassino ha posto attorno al corpo candele (quasi) nere. È stata vittima di un rito satanico?
Purtroppo Rebaudengo e la sua squadra hanno ben poco su cui lavorare e le indagini procedono a rilento. L’unica cosa che scoprono presto è che la giovane, Serena De Blasi, viveva in una famiglia a dir poco anaffettiva: il padre, un rinomato clinico, dedicava tutto il suo tempo alla professione; la madre era fuggita in Canada con un altro uomo e la sorellina minore, per quanto tenesse a lei, non riusciva a darle ciò di cui lei, perennemente inquieta, riteneva di aver bisogno. L’unica persona che (sembrava) averla affascinata era proprio il prof. Oddone, l’uomo scomparso qualche tempo prima.
A questo punto è difficile, per Rebaudengo, sfuggire alla tentazione di collegare i due casi, ma con quale relazione?
A rallegrarlo in questi momenti di febbrile lavoro, per sua fortuna, c’è Ardelia Spinola, il nuovo medico legale di Alassio, incaricata degli esami autoptici sulle vittime. Ben presto tra i due scocca una scintilla e dalla stima e amicizia si passa a un amore sincero che rinfranca quei due cuori solitari.
Con questo romanzo inizia la fortunata serie di gialli che Cristina Rava ha dedicato al commissario Rebaudengo e che, in seguito, porteranno pure alla serie di polizieschi (oggi si direbbe spin-off) con protagonista Ardelia.
Lui è un simpatico personaggio, apparentemente il ritratto dell’impassibilità, con la tipica, pacata bonomia dei piemontesi pedemontani, ma con un’insospettabile carica emotiva e una determinazione puntigliosa. Al di là della piacevolezza della storia, il cui enigma poliziesco è intrigante anche se non certo insolubile, ciò che attrae è lo stile, garbato e familiare, con cui facciamo la conoscenza degli attori di quel dramma. È piacevole perdersi nelle descrizioni dei luoghi o delle faccende quotidiane così affabilmente abituali, siano esse la meticolosa preparazione di qualche manicaretto tradizionale (è singolare come nei polizieschi italiani non manchi mai una puntatina in cucina!), come una serena passeggiata sul lungomare ad ammirare una mareggiata. Il valore aggiunto del romanzo è proprio da ricercare nella sua schiettezza che esalta l’aspetto umano delle situazioni e dei vari comportamenti. Poi quegli intercalari, in parte in piemontese e in parte in ligure, sembrano volerci portare sulle tavole di un palcoscenico in cui recitano Erminio Macario e Gilberto Govi redivivi (per quelli delle generazioni più recenti, diciamo Luciana Littizzetto e il Gabibbo) e sono assolutamente godibili e divertenti.
Il romanzo, nonostante il truce argomento trattato, ha un andamento quieto e sempre gradevole. A voler trovare a forza qualche difetto, si potrebbe rilevare che la figura di Rebaudengo tolga molta (forse troppa) scena agli altri comprimari, che risultano meno definiti e particolareggiati. Soprattutto si mostrano a noi tutti solo come appaiono agli occhi del commissario, nostro tramite sulla scena.
Ma questo è un difetto davvero di poco conto e, chiuso il libro, rimane la voglia di tornare a frequentare il commissariato di Alassio e leggere tutta la serie di storie in esso ambientate.