L'educazione delle farfalle
Letteratura italiana
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Di mamma ce n’è una sola
Donato Carrisi non necessita d’introduzione, è criminologo colto e preparato, e la sua scienza è il ricco substrato organico, l’humus generoso e qualificato sul quale innesta i semi e fa fiorire il suo dire e i suoi racconti, sia che si cimenti nella scrittura che nella regia, sceneggiatura o come firma di prestigiosi quotidiani. Direi che nel suo genere, il romanzo thriller sensu strictu, è tra i migliori: per indole e talento naturale, certamente, e per la scorrevolezza con cui sa esprimersi, ma anche appunto per la sapiente competenza della materia, che gli viene dagli studi compiuti, la sua è conoscenza ed erudizione specifica che riporta con pari impegno e applicazione nei suoi best seller. Carrisi in estrema sintesi descrive il Male, più che il crimine, racconta in particolare il suo input, cioè che cosa in effetti innesca i comportamenti deviati, e tutto quanto da quelli deriva.
Donato Carrisi la devianza criminale la descrive bene, la analizza in profondità, considera infine il Dolore che dal Male deriva, e che permea in chiunque, addirittura prima di tutto in colui che lo attua, e solo dopo in chi ne è vittima.
Il Dolore: con il termine in maiuscola, perché si intende riferirsi in toto alle ferite, alle cicatrici che residuano, ai traumi di ogni tipo, nel fisico e nel morale, che dal Male derivano.
L’infelicità, la desolazione, la disperazione, lo strazio, caratterizzano l’esistenza disadattata criminosa, sempre sono presenti nella genesi dei fatti delittuosi della vita.
Il Male esiste davvero come entità reale, non è una un’invenzione morale, religiosa, paranormale. Viene creato dall’Uomo stesso e sull’Uomo riverbera, è un gene alieno inseritosi nel suo DNA sotto la spinta di specifiche, disgraziate influenze ambientali.
Carrisi non giudica e non giustifica, non è il suo ruolo, semplicemente riporta, è conscio di tale verità, la sa, la conosce, l’ ha vista, ne scrive allora con accuratezza.
Lo scrittore rivela i suoi temi e i suoi intenti già dai titoli dei suoi tanti lavori, indaga sulle ipotesi del male, suggerisce che è un evento che può spingere un uomo in un labirinto, corrode l’animo di chi lo commette o ne è vittima tanto che necessiterebbe un apposito tribunale delle anime.
La location delle sue storie è un habitat di ombre, di nebbia, di buio, diremmo di più, è una costruzione, una casa delle luci, tanto è evidente, una casa dei silenzi, tanto che atterrisce, una casa senza ricordi, perché va rimosso quanto prima.
Serve poco per accendere il Male, è come un fuoco, se l’innesco si riconosce e lo si circoscrive, lo si estingue con relativa facilità, altrimenti si fomenta da sé, divampa e dilaga come una bestia feroce fino a generalizzarsi in un inestinguibile “flashover".
Questo crea il disordine, il dolore, e da qui il caos, vale a dire una sorta di "paradosso della farfalla", o effetto farfalla, un sistema dinamico è sempre sensibile alle condizioni iniziali.
In pratica, piccole variazioni malefiche possono portare a grandi e imprevedibili variazioni nel comportamento delle persone, a lungo termine.
La si conosce un po' tutti perché letto ogni tanto da qualche parte, o per sentito dire, la metafora della farfalla che sbatte le sue piccole ali in un luogo, e può causare un uragano immenso e devastante in un posto diverso, e lontanissimo; non sarà proprio così, ma insomma, sarebbe il caso di educare le farfalle a una maggiore prudenza.
In “L’educazione delle farfalle” Donato Carrisi tratta del dolore più acuto, oneroso, severo, e per lo più incurabile, quello di una madre, allorché il Male, in una delle sue forme, ingloba la sua creatura.
Si suol dire che di madre ce ne è una sola, ed è vero, e altrettanto unico, aspro e cupo è il suo dolore in questi casi. E la spinge a lottare come nessuno, a sbattersi come mai, a compiere atti sorprendenti e inauditi, a darsi da fare, a non disperare, a credere contro tutto e contro tutti che un modo per difendere, salvaguardare, preservare dal Male e dal Dolore, peggio ancora dall’Oblio, la propria creatura, sussista sempre e comunque.
Le madri sanno che i figli non sono lombrichi, generati per partenogenesi, ma bruchi, che devono diventare farfalle bellissime, costi quel che costi.
Un romanzo che parla di madri, dunque, e di maternità, magari imprevista e indesiderata.
Un romanzo che parla di figli, anche di figli persi, peggio ancora dispersi: perché defunti con ogni evidenza e però senza che sia stato possibile ritrovarne le spoglie, giacché l’evento luttuoso è risultato tanto accidentale quanto fortemente distruttivo, un incendio di gravi proporzioni, che lascia dietro sé solo ceneri.
Succede anche questo, al dolore già atroce di per sé per la perdita della propria creatura, si aggiunge lo strazio crudele ed eterno dell’ assenza di una tomba, un luogo in cui pensarla o cercarla, un modo per assegnare un posto, che vieta una qualche elaborazione fisica del lutto.
Invece i dispersi lasciano solo uno spazio vuoto, una tomba avrebbe reso le cose più semplici.
Un genitore che ha perso un figlio, se lo sente sempre vicino, addosso, come delle stimmate invisibili. Non avere un posto dove ritrovarlo, andare a portargli parole, lacrime, fiori, trasforma l’esistenza in un limbo, un incubo di solitudine e attesa dolorosa.
La madre la cui bambina è dispersa in un incendio, può solo mostrare ai dolenti che si ritrova d’intorno la sua discesa agli inferi, svelando al mondo una verità che pochi immaginano: l’inferno è senza fondo. Da qui scaturisce la rabbia, ed è un problema, rabbia e dolore non devono mai entrare in contatto, creano una miscela pericolosa, esplosiva, chiunque sia la madre che maneggia l’ordigno incendiario. Il fatto è che noi siamo il nostro passato, è inevitabile. Talora però il passato per qualcuno è come un transatlantico, un Titanic affondato nel bel mezzo dell’oceano, pieno di fantasmi. Ma per avere un futuro è necessario schiarire il passato: una madre lo sa, qualunque genere di madre lo capisce, perciò non esita a scendere sul fondo del mare, tra i fantasmi, o tra i diavoli dell’inferno, fate voi. Sperando di riemergere, di riuscirne, portandosi dietro la prole.
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Colpo di spazzola
Quando uno scrittore è in grado di ideare una storia, già dalla trama di per sé non banale e poi è anche capace di creare suspense, di accelerare i ritmi, ma anche di rallentarli, vuol dire che sa dosare sapientemente i ritmi. Suscita emozioni, ti fa scorrere adrenalina, ti tiene viva l’attenzione, ti invoglia a proseguire per scoprire, per indovinare, per capire. E comunque, con i suoi colpi di spazzola, ti sorprende sempre. In questo nuovo romanzo tutto ruota attorno alla morte, anzi, alla sparizione, di una bambina, non voluta ma poi amata, non pianta ma poi cercata. Che perde la vita, o meglio, la sua essenza, in un’ultima notte di campeggio, dopo aver partecipato alla festa delle fate farfalle. Molti fatti di queste vite che si intrecciano sembrano andare in una certa direzione, ma poi le cose si complicano, nulla è come sembra e colpi di scena inaspettati ti portano verso un ottimo finale. Che ti fa capire che rabbia e dolore non devono mai entrare in contatto, perché possono essere una miscela esplosiva.
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L'ISTINTO HA SEMPRE RAGIONE
Serena è una broker finanziaria, "lo squalo biondo", viene chiamata, ha fatto arricchire tanti investitori grazie al suo fiuto per gli affari.
Ha pochi amici, rapporti occasionali con uomini diversi, abita in un appartamento al 19° piano di un palazzo a Milano, "è abituata a vivere la vita dall'alto, ciò che accade per terra non le interessa", ama fare shopping nelle boutiques del centro e passare qualche serata al teatro La Scala. Nella sua vita tutto è minuziosamente calcolato e scandito; non c'è spazio per gli imprevisti, eppure, dopo una vacanza a Bali, scopre di essere incinta. Non sa mininamente chi sia il padre e non potendo più interrompere la gravidanza, decide di dare in adozione il bebè, ma il destino si interpone ed è costretta a tenere Aurora, che viene cresciuta da tate, autisti senza che le manchi nulla, tranne l'amore materno. Una mattina, a colazione, Serena chiede alla figlia se vuole imparare a sciare; le dice che è stata iscritta ad un prestigioso Campus di una settimana a Vion, in Svizzera e sarà in compagnia di altre 11 bambine...si divertirà! Durante la notte precedente il rientro a casa, Serena riceve una telefonata da Berta, una delle tre tutors addette alla custodia delle bambine: è scoppiato un incendio e una bambina risulta dispersa,,ma Aurora sta bene...
Serena intuisce che non è la verità e decide di partire subito per Vion. Aurora è la bambina dispersa e in Serena si risveglia un istinto materno ma provato prima. Dov'è Aurora? Quali segreti nasconde Vion?
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Fin dal colore della copertina sono rimasta sorpresa, infatti si discosta molto dai colori delle precedenti. Ed anche sulla trama posso dire la stessa cosa: l'inserimento nella storia del valore del sentimento materno, dell'empatia che sviluppano i personaggi tra loro è davvero ben riuscito e speciale . Il suo stile di scrittura è sempre brillante, accattivante, sa tenerti incollato alla lettura come pochi sanno fare.
Serena, il personaggio principale, è molto ben riuscito la sua evoluzione di donna in carriera senza scrupoli a madre dolcissima che si auto riscopre tale è bellissima, unica.
Per me assolutamente uno dei migliori romanzi di Donato Carrisi, ne consiglio la lettura oltre che per la trama avvincente, per questo nuovo assetto che ha voluto dare, l'effetto empatico coinvolge e appassiona maggiornamente.
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Aurora è veramente dispersa?
Il significato del titolo può trarre in inganno, se ne comprenderà il senso leggendo pagina dopo pagina tutta la storia, ricca di colpi di scena, narrata dall'autore con il consueto stile preciso, attento alle sfumature ed abilissimo nell'introspezione psicologica dei personaggi.
Protagonista una donna, Serena, una manager dell'alta finanza, sicura di sé, abituata a vivere ad alti livelli, al successo, alle conquiste sociali: nel suo ambiente è chiamata lo "squalo biondo", definizione azzeccata quanto mai, per una professionista regina in un mondo liquefatto, che seduce ed evapora, onnipotenza e successi effimeri. Non ha spazi per la vita privata, sesso solo per necessità e con rapporti occasionali che non implichino affetti duraturi e impegnativi. Purtroppo le capita di restare incinta durante una vacanza a Bali (un muscoloso surfista? un norvegese affascinante? un gioielliere raffinato?): un incidente di percorso che Serena pensa di liquidare con un'interruzione di gravidanza (ma è troppo tardi) o con l'affido ad altri dopo il parto. Ma un cesareo urgente l'obbligherà ad altre prospettive: si terrà la bimba appena nata, Aurora, tutta riccioli biondi, alla quale darà tutto il necessario per un'infanzia agiata ma non un sincero affetto materno.
Tutto cambierà quando Aurora verrà mandata a sei anni in un esclusivo collegio svizzero, a Vion, una nota località sciistica: un incendio (doloso?) divorerà la palazzina ospitante, tutte le bimbe verranno salvate tranne una, Aurora, dispersa. Inizia qui la parte più intrigante del giallo e, nel contempo, la trasformazione di Serena: nasce in lei un istinto materno mai provato, la disperante assenza della figlia sconvolgerà la sua vita e la porrà di fronte a tanti interrogativi. Partirà per Vion, conoscerà strani personaggi, proverà l'ostilità dell'ambiente, si accorgerà che certi silenzi potrebbero nascondere connivenze, timori, convincendosi lentamente ed a suo rischio e pericolo che Aurora potrebbe essere ancora viva, forse rapita e nascosta da qualche parte. Serena è distrutta, esasperata, corre anche seri pericoli per la sua incolumità: alla fine si arrende e torna a casa. Passano anni, conoscerà Lamberto, un professore, si innamorerà, si ritroverà incinta, nascerà in lei la speranza di una vita diversa, anche perché, licenziata, dovrà trovarsi un nuovo più modesto lavoro: il pensiero di Aurora sarà sempre presente, finché una vecchia foto trovata in una cassetta la indurrà a ripartire per Vion dove l'attendono nuovi drammatici colpi di scena e la soluzione inaspettata della vicenda.
Serena ha compiuto il suo percorso, così ben descritto dall'autore: lo squalo biondo è diventato una donna matura, che troppo ha sofferto e tanti ostacoli ha dovuto abbattere per far riemergere un senso materno soffocato per anni da una vita nei grattacieli del potere.
E l'educazione delle farfalle? Ci vuole tempo, sembra alludere l'autore, per trasformare un lombrico a sangue freddo in un essere umano, ci vuole tempo per sviluppare dal vuoto esistenziale un istinto materno struggente e convinto come quello sperimentato da Serena nella sua affannosa ricerca della verità.
Le farfalle hanno le ali, come il costume indossato da Aurora nell'ultima notte a Vion, prima dell'incendio: e le ali possono portare lontano e causare addirittura straordinari effetti ai quali accenna Carrisi, riferendosi alla famosa conferenza di Edward Lorenz del 1972 (" "può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas ?").
La trasformazione di Serena e di Aurora è descritta magistralmente dall'autore: non è comunque il solo pregio del romanzo, di cui consiglio la lettura anche per la presenza, soprattutto nella seconda parte, di altri personaggi che contribuiscono a tener viva l'attenzione di chi legge fino all'ultima riga.
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Scoprirsi madre troppo tardi
Ammetto di non essere una fan sfegatata di Carrisi; ciononostante ho letto parecchi suoi libri perché le trame sono abbastanza intricate da affascinare anche se trovo i suoi personaggi improbabili.
Ho acquistato “L’educazione delle farfalle” ma sono rimasta delusa.
Il personaggio principale è una contraddizione assoluta. Resta incinta in modo del tutto inatteso e il primo pensiero è quello di liberarsi del bambino. Quando la bambina nasce la descrive come un fastidio, la affida continuamente a personale prezzolato (autista, baby sitter, ecc.) ed arriva a dimenticarsi della sua esistenza:
“In quell’occasione non si era semplicemente scordata di recuperarla da scuola. Anche se questa sarebbe stata la versione ufficiale.
In realtà, aveva rimosso del tutto dalla memoria l’esistenza di Aurora.”
Ma quando la figlia scompare Serena si trasforma improvvisamente in una tossica madre disperata ed in detective sprovveduta, compiendo azioni incomprensibili e cacciandosi nei guai.
Va bene, in fin dei conti sono espedienti narrativi. Ma il vero grande difetto è un altro: il libro è noioso, noioso, noioso. Per arrivare alla fine ho spesso saltato parti del testo, concentrandomi solo sull’essenziale.
E questo è un peccato mortale per un thriller.




























