Narrativa italiana Romanzi La testa perduta di Damasceno Monteiro
 

La testa perduta di Damasceno Monteiro La testa perduta di Damasceno Monteiro

La testa perduta di Damasceno Monteiro

Letteratura italiana

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Un feroce assassinio. Il giovane inviato di un giornale popolare. La voce dolente e nostalgica di un vecchio zingaro. Un bizzarro avvocato ossessionato dalla Grande Norma Giuridica. E, per sfondo, l'antica e affascinante città di Oporto. Un romanzo che sotto le vesti di un'inchiesta giornalistica propone una riflessione sull'abuso e sulla giustizia.



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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2021-12-29 11:28:33 Valepepi
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Valepepi Opinione inserita da Valepepi    29 Dicembre, 2021
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NON SOLO SAUDADE

Con l’unico precedente di Sostenne Pereira, il taglio giallo-investigativo di questo romanzo si discosta dall’usuale stile di Tabucchi, caratterizzato per lo più da racconti o romanzi brevi in cui è facile perdere la bussola nei meandri di una trama che, allo svolgimento sequenziale degli eventi, predilige le suggestioni oniriche, i flussi dell’inconscio, i flashback nostalgici, amalgamati di quella dolce e malinconica saudade di cui Tabucchi è mirabile interprete.
Qui, l’impostazione da cronaca giornalistica, senza dubbio, agevola la lettura, fluidifica il racconto, carica di tensione la storia, come da tradizione del genere. E tuttavia, il marchio a fuoco di Tabucchi resta inconfondibile e trapela nella lentezza del ritmo che lascia godere ogni pagina senza urgenza di voltarla, nella realtà quasi astratta più permeata di assenze che di presenze, e ancora, nella voce dei personaggi, soprattutto del bizzarro, filosofico, avvocato Loton. Memorabile, il passo sulle lettere dal passato che da solo vale l’intera lettura del libro.

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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2019-06-01 12:26:53 Giacopó
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Opinione inserita da Giacopó    01 Giugno, 2019

NOIR E ROMANZO DI FORMAZIONE

Un corpo decapitato è stato ritrovato in un parco fuori città. Per seguire questo caso di cronaca nera, Firmino, un giovane giornalista di Lisbona viene inviato a Oporto. Ne farebbe volentieri a meno visto che desidera da tempo completare le sue ricerche letterarie sul neorealismo portoghese, ma le sue povere tasche di neolaureato lo costringono a farsi andar bene questo impiego di cronista per un periodico scandalistico che sebbene non gratificante, quantomeno è redditizio. Quello che però all'inizio sembra essere un semplice caso di omicidio, misterioso sì ma poco interessante per lui, diventa presto qualcosa cui non si può restare indifferenti. Sin dalle prime fasi dell'inchiesta si rivelano incongruenze tra i racconti dei testimoni e quanto è stato riportato dalle relazioni ufficiali della polizia. Così il giovane Firmino si addentra pian piano in un mondo che forse non credeva potesse esistere davvero, in cui la polizia si può macchiare di crimini che dal favoreggiamento del traffico di stupefacenti possono portare alla tortura e all'omicidio. Il suo sguardo all'inizio distaccato diventa più serio e duro, man mano che avanza nella comprensione di quanto successo, e il tutto culmina quando può finalmente osservare la testa della povera vittima ritrovata nel fondo del Douro.
Pallelamente ai progressi che fa nella sua inchiesta, Firmino impara a conoscere meglio una città di cui conservava un tetro ricordo infantile, ma che ora diventato più maturo può davvero apprezzare. Sfondo di questa ricerca giornalistica, che è anche personale, è la città di Oporto animata dai vari personaggi che via via Firmino incontra: dal cameriere che gli chiede firme a sostegno dei cittadini più indigenti, alla titolare dell'albergo dove risiede che insospettabilmente si rivela un'ottima informatrice, alla povera famiglia della vittima la cui storia è una delle tante storie tragiche di chi cerca di sopravvivere nei quartieri più popolari. Sono proprio gli emarginati e i nascosti della città il vero motore di questa storia, che inizia dal ritrovamento del cadavere da parte di Manolo il vecchio re dei gitani, che nella sua memoria conserva il ricordo di quando alla sua gente spettava ancora un po' di dignità e non il disprezzo di cui è vittima oggigiorno. E sarà infatti uno strenuo difensore dei più disgraziati, l'avvocato Fernando Siqueira, la guida più preziosa per Firmino: da bizzarro avvocato apparentemente perso in divagazioni filosofiche e fantasmi del passato, si dimostra ben presto un abile stratega che suggerisce modi e tempi per gli articoli e le interviste del giovane giornalista. Nel processo che implicherà un viscido eroe della guerra coloniale portoghese, ora diventato capoccia della polizia municipale, accusato dell'omicidio e della decapitazione di un ragazzo per coprire i suoi traffici di droga, l'avvocato Siqueira troverà linfa per la sua indefessa lotta contro la tortura e contro quella norma base, che se ai tempi dell'inquisizione rappresentava dio, oggi rappresenta uno stato che pretende autodefinirsi civile. Nonostante questa lotta sembra avere un finale già scritto, come quello di due moderni don Chisciotte e Sancho Panza contro i mulini a vento, in realtà la fine di questo romanzo - che è insieme noir e romanzo di formazione - coincide con un estremo tentativo dell'avvocato Siquiera a non rassegnarsi e a continuare a combattere perché la verità venga a galla. E Firmino sarà alla fine ben felice ora di sospendere nuovamente i suoi studi letterari, per aiutare quello che è diventato finalmente suo amico nella sua battaglia.

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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2016-10-03 09:31:37 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    03 Ottobre, 2016
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Maschere

Un bisogno fisiologico incontrovertibile di urinare è quello che spinge Manolo il Gitano, detto El Rey, a destarsi dal sonno e a recarsi al di fuori della sua baracca; una necessità che mai avrebbe però pensato che potesse portarlo a rinvenire quel corpo decapitato tra i rovi. Ed è a seguito di detto ritrovamento che Firmino, giovane giornalista di Lisbona, viene inviato nella città di Oporto al fine di seguire l’inchiesta onde scoprirne i misteri, le incomprensioni, le contraddizioni. Alloggiato presso la pensione di Dona Rosa, il ragazzo percepisce sin dalle prime battute che molteplici sono le incoerenze che si celano dietro al rinvenimento tanto che, scoperta l’identità del proprietario della testa nella persona di Damasceno Monteiro, ventotto anni, garzone presso la Stones of Portugal e residente presso Rua Dos Canastreiros nella Ribeira, inevitabile è recarsi da un legale, a sua volta riscontrabile nella figura di Mello Sequeira, detto Don Fernando; atipico nel suo genere, perché oltre che ad essere uomo di grande cultura letteraria che porterà il protagonista a riflettere sul quello che doveva essere il suo saggio sull’influenza di Vittorini sul romanzo portoghese nel dopoguerra, è dedito alla difesa gratuita dei poveri, dei derelitti e dei disperati .
Ed è a questo punto che il romanzo prende il volo trascinando il lettore per le vie di una cittadina con mille segreti, in quella che è una realtà costituita da corruzioni, violenza e traffico di stupefacenti da parte di una frangia della Polizia dello Stato.
Di fatto, tra un piatto di trippa, una disputa filosofica, una discussione letteraria, gite fuori porta presso l’unico fratello di latte ancora in vita dell’uomo di legge, assisteremo da un lato, ad un mutamento del rapporto tra i due personaggi che, da un mero legame lavorativo diventerà una effettiva relazione di stima, rispetto, amicizia e dall’altro al corso inesorabile di una giustizia ipocrita, autoritaria, inquisitoria. Le vicende si svolgeranno in quello che è un Tribunale Militare, luogo in cui vane saranno le recriminatorie di Don Fernando, inani saranno le sue riflessioni sulla tortura, sulla effettiva dinamica dei fatti; il caso sarà obliato, sarà risolto attraverso la maschera di una finta legalità che non lascia spazio ai più deboli consacrandosi nel volto del più forte.
Un testo duro è “La testa perduta di Damasceno Monteiro”, un elaborato in cui Tabucchi si riafferma quale un autore eccellente per forma e per stile, ma anche per contenuto, retaggio storico e contesto sociale.
Come noto, infatti, Damasceno Monteiro è il nome di una via di un quartiere popolare di Lisbona ed il fatto a cui è ispirata la vicenda risale ad un episodio realmente accaduto nella notte del 7 maggio 1996, quando Carlos Rosa, cittadino portoghese di 25 anni, venne brutalmente ucciso in un commissariato della Guarda Nacional Republicana di Sacavém alla periferia di Lisbona, e rinvenuto – appunto – decapitato e con numerosi segni di sevizie sul corpo. Partendo da questo assunto, Tabucchi, con il suo stile inconfondibile, è riuscito a dar vita ad uno scritto che è nel suo emblema il perfetto ritratto storico e politico di un Portogallo voglioso, negli intenti, di lasciarsi alle spalle gli anni bui del regime di Salazar, ed incapace, nel concreto, di staccarsi da quella che è la mentalità dittatoriale; impostazione che continua a respirarsi nella quotidianità, che influenza i cittadini e consacra i governi autoritari e le forze di polizia.
Impossibile è nella lettura non immedesimarsi con Firmino, non apprezzare quelle perle di rara bellezza e riflessione che sono i dialoghi con Don Fernando, non immaginarsi in passeggio per le viuzze che caratterizzano Oporto e/o Lisbona, non immaginarsi seduto ad un tavolo di un ristorante a gustare un piatto tipico tra una dissertazione filosofico letteraria e l’altra, o ancora non riflettere su quella che è la tortura, tematica che viene argomentata, trattata e sviluppata con uno stile prima semplice, poi sempre più incisivo.

«- Lei continua a deludermi, giovanotto, rispose l’avvocato, cerca a tutti i costi di essere inferiore a se stesso, non dobbiamo mai essere inferiori a noi stessi, cos’è che ha detto di me?
- Che ha una reputazione da difendere, rispose Firmino
- Senta, mormorò l’avvocato, credo che non ci siamo capiti, le dirò una cosa una volta per tutte, ma spalanchi bene le orecchie. Io difendo gli sciagurati perché sono come loro, questa è la pura e semplice verità. Della mia nobile casata utilizzo solo il patrimonio materiale che mi è rimasto, ma come i disgraziati che difendo credo di aver conosciuto le miserie della vita, di averle capite e anche assunte, perché per capire le miserie della vita bisogna mettere le mani nella merda, scusi la parola, e soprattutto esserne consapevoli. E non mi costringa alla retorica, perché questa è retorica a buon mercato. » p. 126

«[..] Ho la mania di fissare i nomi dei torturatori, chissà perché ho l’impressione che fissare i nomi dei torturatori abbia un senso, e sa perché? Perché la tortura è una responsabilità individuale, l’obbedienza a un ordine superiore non è tollerabile, troppa gente si è nascosta dietro questa miserabile giustificazione facendosene uno schermo legale, capisce? Si nascondono dietro la Grundnorm.» p. 176

«E’ una persona, disse, si ricordi questo, giovanotto, prima di tutto è una persona» p. 238

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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2016-09-23 05:09:19 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    23 Settembre, 2016
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L'ingiustizia e la sua denuncia coraggiosa

Il romanzo è bello, forse preferisco Sostiene Pereira e Per Isabel dal punto di vista della scrittura, ma questo è uno di quei romanzi che oltre a essere belli sono anche buoni e si ripropongono una missione importante che nel caso è la denuncia delle torture e delle sopraffazioni e degli illeciti traffici della Garda National portoghese che ha torturato e ucciso un ragazzo, Damasceno Monteiro, per essersi appropriato (o averci provato) di una partita di droga. Non è che la situazione è come si suol dire sfuggita di mano in un impeto di difesa della legge (cosa che comunque...) ma perchè la Garda aveva i suoi interessi nell'affare.
Perciò immaginate un romanzo con lo spirito di Marlowe e un po' del Buio oltre la siepe ma scritto da un intellettuale. Bello il personaggio dell'avvocato filosofo che conosce a memoria gli orari dei treni e bellissimo il finale e le parole dette sul testimone Wanda: transessuale, prostituta, qualche problema psichico ma soprattutto una persona. Tabucchi oltre che uno scrittore da Nobel era certamente una bravissima persona, anti perfezionista per eccellenza. La perfezione genera ideologie e dittature, diceva. Sicuramente nei suoi libri si vede che c'è una grande testa pensante e ben attaccata al collo e collegata al cuore.

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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2016-03-11 05:15:43 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    11 Marzo, 2016
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Come un feticcio amazzonico

“La testa perduta di Damasceno Monteiro” di Antonio Tabucchi prende spunto da un fatto realmente accaduto.

In modo fortuito il gitano Manolo, detto El Rey, ritrova un cadavere decapitato (“I bambini non devono vedere queste atrocità, si disse, nemmeno i bambini gitani”). Firmino, inviato speciale di un quotidiano di Lisbona, viene mandato a Oporto dal giornale per intervistare Manolo (“Una di quelle voci era balbuziente”) e occuparsi del caso.
Grazie ai suggerimenti di Dona Rosa (“È stata ritrovata la testa...”), la proprietaria della pensione ove Firmino alloggia, indirizzato dalle telefonate anonime di un testimone e imbeccato da un grasso avvocato (“Purtroppo a questo giovanotto non piace la trippa…”) che patrocina le cause dei più deboli, l’inviato speciale ricostruisce le oscure trame di un giro di droga che ha come burattinaio il Grillo verde, alias Titâno Silva, “sergente presso il commissariato della Guarda Nacional di Oporto”.

Il tema della tortura (“Il testimone… è sicuro che Damasceno è stato assassinato dalla Guarda Nacional”) e delle violenze inflitte dalla polizia (“La testa, quella spaventevole testa, era posata su un tavolo di marmo, come un feticcio amazzonico”) viene affrontato in modo intellettuale, letterario e originale attraverso gli stimolanti dialoghi tra Firmino e l’avvocato Don Fernando. “Ci possono essere persone che aspettano lettere dal passato, le sembra una cosa plausibile nella quale credere?”

Giudizio finale: filosofico, legal noir, iberico.

Bruno Elpis

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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2015-12-31 17:14:03 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    31 Dicembre, 2015
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Cronaca, filosofia e abuso di potere

Un cadavere senza testa viene ritrovato in un bosco alla periferia di Oporto. Il giovane Firmino, inviato speciale di un noto quotidiano di Lisbona, giunge sul posto per seguire il caso e sfruttarne la grande attenzione mediatica. Il ragazzo però ha ben altre aspirazioni che andare dietro ad efferati fatti di cronaca nera. Nei suoi progetti c’è la stesura di un saggio sull’influenza di Vittorini sul romanzo portoghese del dopoguerra. Tra l’altro, la città di Oporto non lo attrae per niente, timida imitazione della Londra vittoriana legata per lui a ricordi poco ameni di vacanze natalizie per niente piacevoli. Anche se contro voglia, Firmino si mette zelante al lavoro e si scontra fin da subito con una terribile realtà fatta di traffici di stupefacenti, di abuso di potere, di corruzione e violenza in cui è coinvolta una frangia corrotta della Polizia di Stato. Ad aiutarlo nell’indagine entra in scena il singolare avvocato Mello Sequeira, uomo di grande cultura ed intelligenza impegnato nella difesa gratuita di poveri, derelitti e diseredati. “Io difendo gli sciagurati perché sono come loro, questa è la pura e semplice verità. Della mia nobile casata utilizzo solo il patrimonio materiale che mi è rimasto, ma come i disgraziati che difendo credo di aver conosciuto le miserie della vita, di averle capite e anche assunte, perché per capire le miserie della vita bisogna mettere le mani nella merda, scusi la parola, e soprattutto esserne consapevoli. E non mi costringa alla retorica, perché questa è retorica a buon mercato”. Tra una congettura e un piatto di trippa, tra una disputa filosofica e una discussione letteraria, la collaborazione tra i due si trasforma presto in stima, rispetto, amicizia, sotto l’influsso della magia di una città che ben presto lo stesso Firmino imparerà ad amare. Il corso della giustizia invece sarà deviato dall’autorevolezza di poteri forti e il contrabbando, la tortura e l’omicidio saranno coperti da una maschera di finta legalità e dall’ipocrisia di discutibili medaglie al valore. Dal bellissimo incipit al favoloso finale, il libro di Tabucchi è un eccellente esempio di stile ed eleganza, in cui alla virtù della prosa si accompagnano il preciso ritratto storico e politico di una nazione e l’importanza e l’attualità dei contenuti. L’autore è bravissimo nel descrivere un Portogallo voglioso di lasciarsi alle spalle gli anni bui del regime di Salazar ma ancora incapace di esprimere una democrazia scevra da una mentalità dittatoriale che continua ad influenzare la vita dei cittadini ed il comportamento di governi e forze di polizia. Ma infondo non serve andare poi tanto lontano per trovarsi davanti a certi episodi. La storia di Damasceno Monteiro non può non riportare alla mente i casi nostrani ed attualissimi relativi alla morte di Federico Aldovrandi e di Stefano Cucchi, esempi di folle violenza e di abuso di potere che dovrebbero essere lontani anni luce da una società che si spaccia per moderna, civile e democratica e che invece ancora oggi ci troviamo tristemente a commentare.

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La testa perduta di Damasceno Monteiro 2015-12-11 16:28:27 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    11 Dicembre, 2015
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Feroce critica al potere vestita di giallo

Una storia molto semplice nella sua struttura romanzesca e di lettura piacevole : questo é a prima vista “La testa perduta di Damasceno Monteiro” di Antonio Tabucchi. Il romanzo, tuttavia, va molto al di là di questo. Il ritrovamento, nella città di Oporto in Portogallo, di un corpo privo di testa dá inizio a un’indagine giornalistica che si avvale del supporto di un rinomato avvocato, soprannominato Loton per il suo fisico debordante che ricorda il celebre attore Charles Laughton, protagonista, nelle vesti di avvocato, appunto, del bellissimo film “Testimone d’accusa” per la regia di Billy Wilder. Il Loton di Tabucchi è uomo dalla cultura vastissima che ha trascurato il profitto per dedicarsi alla difesa dei più deboli. È lui che apre gli occhi a Firmino, il giornalista, sui meccanismi complicati e poco trasparenti che regolano i rapporti tra cittadino e istituzioni. Con una non semplice disquisizione filosofica su ciò che si intende per Grundnorm, Loton denuncia la malcelata corruzione di certi ambienti della Guardia Nacional.
Facendo riferimento alla filosofia del diritto così come era stata interpretata da Hans Kelsen, egli sostiene che la Norma-base dell’ordinamento giuridico è indipendente dalle norme morali e pertanto essendo essa fondamentale e costituendo, nonostante base, il vertice della piramide del sistema del diritto, può facilmente celare ciò che al sistema morale apparirebbe negativo e deprecabile. In questo modo Loton spiega la deriva del potere verso l’oppressione e l’abuso che si servono senza scrupolo della tortura e della negazione di ogni diritto umano.
La critica di Tabucchi tuttavia non si ferma qui. Sono in discussione anche la funzione della stampa, i limiti e la veridicità dell’informazione, la manipolazione dell’opinione pubblica. E non è meno importante la considerazione sugli stili letterari: non a caso si cita Lukacs - autore del fondamentale “Teoria del romanzo” e di “Storia e coscienza di classe” - che definì il saggio una “forma tra letteratura e filosofia”, a metà cioè tra creazione immaginaria e creazione concettuale, quella forma letteraria che affronta i problemi, ma non offre soluzioni.
Ciò che colpisce il lettore, nelle pagine conclusive del romanzo è l’amara constatazione di trovarsi in un mondo privo di certezze, dove il concetto di giustizia è svuotato di ogni contenuto.

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