Io e Mr Wilder
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Recensione della Redazione QLibri
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Le molteplici funzioni dell’arte del Cinema.
L’ultimo romanzo di Jonathan Coe, Io e Mr Wilder, offre davvero molti spunti di riflessione non solo sull’arte del Cinema, quanto anche e soprattutto sulla vita stessa.
Il racconto è affidato a un io narrante che si identifica con la protagonista Calista Frangopoulou, musicista dilettante e poi professionista che rievoca la sua giovinezza segnata in maniera indelebile dall’incontro con l’anziano regista Billy Wilder che determinò alcune delle scelte più importanti della sua vita. È una storia che ci conduce attraverso un mondo di personaggi reali e immaginari che ha lo scopo di sottolineare quale sia e possa essere la funzione del Cinema nella società contemporanea e quale sia stato il fascino da esso esercitato durante tutto il corso del Novecento.
Non a caso tra i tanti produttori, registi e scenografi di Hollywood, Coe ha scelto proprio Wilder, al quale si devono alcuni dei successi più clamorosi del Cinema americano, ma anche alcuni flop altrettanto clamorosi. E già qui ci si può domandare secondo quali canoni si può determinare il successo o il fallimento di un film? La prima risposta risiede nel gradimento del pubblico, a prescindere dal valore intrinseco dell’opera stessa. Tenere presenti le esigenze di una platea vasta ed eterogenea come quella cinematografica è certamente determinante. Il pubblico del Cinema può essere di “èlite”, se con questo termine si vuole fare riferimento a volte a sproposito, a quegli spettatori più o meno acculturati che preferiscono il genere impegnato a finale aperto che si offre a molteplici interpretazioni, o viceversa di “massa” se dallo spettacolo esso cerca svago, emozione, evasione dalle difficoltà della vita quotidiana.
Billy Wilder, infatti, firmò splendide commedie che riscossero il consenso di tutto il mondo del cinema come “L’appartamento”, “A qualcuno piace caldo”, “Sabrina”, Irma la dolce”, e opere che al contrario segnarono il suo declino come “Fedora” e “Buddy Buddy”. Ciò che in ogni caso risulta evidente è che anche in quelle commedie che eccellono per la vivacità della sceneggiatura, la raffinatezza della scenografia e dell’interpretazione di divi affermati, vi è di fondo sempre un tema serio, più impegnativo, su cui riflettere, che sostanzialmente si esplicita in una critica sui limiti e i difetti della società americana. La forma e la vena satirica e umoristica della maggior parte delle opere di Wilder definirono il loro grande successo. “Fedora” che aveva ripreso il soggetto dello spietato declino della star di successo già affrontato ne “Il viale del tramonto” non avrebbe avuto lo stesso destino delle commedie brillanti, poiché il soggetto era troppo amaro, poco gradevole per un pubblico in cerca di sollievo nelle sale cinematografiche. E a questo proposito, proprio il personaggio Wilder, nel romanzo di Coe, farà un’analisi spietata del successo de “Lo squalo” di Spielberg, dovuto a quell’esigenza di emozioni forti che il pubblico va maturando via via che nel Novecento si vanno esaurendo messaggi artistici di forte impatto. Ma la critica a “Lo squalo” non impedisce a Wilder di riconoscere il grande talento dello Spielberg di “Schindler’s list”, un soggetto che lo stesso Wilder avrebbe voluto affrontare se non fosse stato troppo coinvolto nella tragedia della Shoah, essendo egli stesso di origini austriache e avendo perso la madre in un campo di concentramento.
“Io e Mr Wilder” è dunque, nel suo complesso, un omaggio al Cinema, a chi ad esso ha dedicato la vita, a che ne ha esaltato la funzione etica, sia nella sua forma divulgativa che in quella più specificamente artistica. Jonathan Coe ancora una volta affronta temi di grande attualità con un occhio costantemente rivolto al nostro mondo contemporaneo di cui approfondisce anche i lati più oscuri, quei lati che spesso troppo opportunisticamente si è portati a ignorare e a dimenticare.
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Alla ricerca della madre perduta
Anche se forse non possiede il respiro delle opere maggiori di Jonathan Coe (La famiglia Winshaw in primis), il romanzo si distingue per tenerezza degli affetti, profondità delle tematiche, coesione della struttura.
L’io narrante, Calista Frangopoulos, una giovane di origine greca in viaggio a Los Angeles, entra casualmente nella vita del grande regista Billy Wilder e viene da lui ingaggiata come interprete per la lavorazione di Fedora, il suo penultimo film, girato nell’isola greca di Lefkada, capolinea di un percorso artistico straordinario, le cui tappe principali erano state Viale del tramonto, Sabrina, A qualcuno piace caldo, L’appartamento, Vita privata di Sherlock Holmes.
Per Wilder sono gli anni del declino; una nuova generazione di registi avanza, tra i quali Spielberg, Scorsese, Coppola, Fassbinder: trovare un produttore che lo finanzi è diventata un’impresa. Assistiamo dunque, attraverso il racconto di Calista, alle varie fasi del film, accompagnate da citazioni, ricordi, aneddoti di straordinario interesse, frutto di una documentazione seria e laboriosa, da saggista più che da romanziere. In particolare vengono riferite le riflessioni, le battute, i giudizi a tutto campo di Wilder sul cinema contemporaneo, sui “giovani barbuti” che ormai stanno prendendo il posto della passata generazione. Per il regista austriaco è finito il tempo delle pellicole romantiche, delicate, alla Lubitsch: al loro posto sono subentrate trame basate su scene violente, su personaggi depressi che inducono depressione nello spettatore, o sui primi effetti speciali, mentre le scelte dei produttori si orientano sempre più verso il business ed è questo ormai l’unico criterio in base al quale si decide se accordare o meno finanziamenti.
L’ossessione che Wilder nutre nei confronti del film Lo squalo scatena il suo umorismo cinico e graffiante e lo induce a immaginare, tra le varie fantasie sull’argomento, un film girato a Venezia in cui un branco di pescecani assalta i gondolieri nel Canal Grande(i produttori abboccano e non capiscono che è un paradosso rivolto contro di loro…). Un giudizio che sarà completamente rinnegato e rovesciato nella parte finale, quando, in un ultimo incontro con Calista, Wilder esalterà Schindler’s List di Spielberg, lo definirà geniale e affermerà che è infinitamente migliore di quello che avrebbe saputo fare lui.
Ma non si pensi ad una biografia più o meno romanzata: Il racconto non è focalizzato esclusivamente sull’autore di Fedora, ma sul rapporto che si stabilisce tra lui e la narratrice, come lascia bene intendere, pur nella sua essenzialità, il titolo, incentrato su questa reciprocità.
Memorabile al riguardo, uno degli episodi più suggestivi, quello in cui i due protagonisti ritardano il loro arrivo sul set dove li attende l’ultima scena, quella del suicidio della finta Fedora, per visitare le fattorie intorno Parigi e godere dell’eccellente brie che viene in esse prodotto: la dolcezza del paesaggio, la bontà dei sapori, la capacità di W. di cogliere con la sua parola sapiente il senso della vita nei suoi aspetti più umani ed profondi, saranno per Calista un insegnamento imperituro e un punto fermo della memoria, destinato a riemergere nel finale. L’influenza del grande cineasta sulla donna non si esaurirà infatti nel periodo della loro frequentazione e troverà il suo culmine allorquando l’ex interprete, divenuta affermata creatrice di colonne sonore per film, rivedendo Fedora, ne apprezzerà la “profonda comprensione del dolore dei suoi personaggi: in particolare di personaggi- uomini e donne- che stanno invecchiando, che si battono per trovare un ruolo in un mondo che si interessa solo alla gioventù e alle novità”. Un film in grado di trasmettere una gioia, un calore, una chiarezza, tali da spingerla ad una decisione familiare generosa e densa d’amore, che qui non spoileriamo, ma che raccomandiamo di cogliere con attenzione. Decisione che trova l’avallo del marito, espresso con la stessa locuzione interrogativa: “Perché no?”, con cui il fedele sceneggiatore di Wilder, Iz Diamont, ne sottolineava le trovate geniali, come alcune battute finali entrate nella storia del cinema: “Nessuno è perfetto”, “Sta’ zitto e da’ le carte”. Il racconto, che era cominciato con la descrizione di una bambina che saltellava sulla scala mobile nella metropolitana di Londra, costringendo la mamma a rincorrerla continuamente, si chiude ad anello nel segno della maternità e della vita. Sono quelle relazioni che solo i grandi della scrittura sanno delicatamente disseminare nel loro textus, le corrispondenze che legano il tutto e gli conferiscono armonia e bellezza.
Non manca, come d’abitudine in Coe, la tematica storico-politica, che qui si manifesta ni continui riferimenti di Wilder alla Germania nazista e allo sterminio degli ebrei. Quando un giovane tedesco, durante una di quelle conversazioni al tavolo di un bar o di un ristorante che affollano queste pagine, tira in ballo uno studio recente che ridimensionerebbe l’Olocausto, balza fuori la potente – e rivelatrice- risposta del regista, al termine di un brillante excursus in forma drammaturgica, da film o da commedia più che da romanzo: “Conosco queste teorie che tendono a incolpare gli ebrei di aver ingigantito le cose […] Ma allora, se non c’è stato l’Olocausto, dov’è mia madre?”.
E quando, con cura ossessiva, il regista guarderà e riguarderà le bobine delle riprese effettuate dagli Alleati nei campi di concentramento o quando vedrà per la prima e unica volta Schindler’s List, il suo sentimento filiale cercherà irrazionalmente tra i cadaveri ammucchiati il volto della madre perduta, mai più ritrovata, travolta e annichilita dalla follia nazista. Commovente mescolanza tra realtà e invenzione,realtà e cinema, da parte di un gigante che a questa dialettica aveva dedicato l’esistenza.
La struttura narrativa ad anello, per cui l’ultimo capitolo si riallinea allo spazio (Londra) e al tempo (il presente) del primo, corrisponde alla crescita della protagonista, innescato da un grande del cinema di tutti i tempi. Il corpo centrale del racconto, compreso tra questi due estremi, è dunque un lungo e articolato flashback, che scandisce le fasi di un processo di formazione.
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Scuola di vita
Cinema e vita rivestono il nuovo romanzo di Jonathan Coe, un viaggio tra passato e presente velato da una malinconia a tratti nostalgica con un finale aperto all’ottimismo.
Quanto la grandezza del cinema di Billy Wilder si dibatte tra arte e puro intrattenimento, quanto la giovane Calista si innamora del cinema, elevandolo a scuola di vita dopo l’ incontro con il famoso regista durante un viaggio in America negli anni ‘70, un uomo per metà serio e per metà scherzoso, ai suoi occhi ignari un professore universitario o un chirurgo plastico?
Il legame tra la giovane anglo-ellenica e il regista americano di origine austriaca decolla durante una cena, lei ventunenne timida e impacciata, inesperta della vita, lui vecchio artista carismatico dimenticato da una Hollywood profondamente cambiata e da un pubblico in cerca di emozioni forti.
Un’ idea liberata da uno sbadiglio prolungato, un rapporto vissuto a distanza, nell’ immagine da lei creata, la frequentazione durante le riprese di “ Fedora “, in viaggio tra la Grecia e la Germania, un lavoro da interprete e da assistente alla produzione, la condivisione e le rivelazioni di chi è stato ed è vicino al suo genio ( la moglie Audrey e l’amico-collega Iz ).
Il film ( che uscirà nel 1978 con fortune alterne ) vorrebbe restituire l’ anziano regista alla cinematografia che conta, è il suo canto del cigno, accostato a “ Viale del tramonto “, prodotto e sponsorizzato in quella Europa da lui amata e rimpianta, abbandonata tra le due guerre per necessità ed egoismo, ignorando gli affetti più cari.
Allora la giovane Calista, appena laureata, introversa, malinconica e solitaria, viveva un’ incertezza sentimentale all’ interno di una vita grigia e monotona, una natura introversa all’ inseguimento di un senso e di un talento inespressi, oggi è una cinquantasettenne defilata, quello che scrive non interessa più, sono quindici anni che nessuno le commissiona una partitura e il suo ruolo di madre pare consumarsi nell’affetto sfuggente delle due figlie gemelle, partenti e distanti.
La sua vita, equamente distribuita tra famiglia e musica, pare la trama di un film e si intreccia indissolubilmente con quel film ( “ Fedora ” ) che l’ ha scoperta e indirizzata, un’ opera controversa con molteplici significati, che avrebbe dovuto riesumare il genio di Wilder, un viaggio tormentato nel cuore della sua esistenza, il ritorno alle origini, il dolore della perdita, la fuga dal nazismo, il colpo di coda di un uomo vissuto d’ arte e di amore, consapevole della propria decadenza in una Hollywood che va inscenando il trionfo del botteghino e l’era dei nuovi giovani registi barbuti ( Spielberg in primis ).
Che cos’è il cinema per Mr Wilder e che cosa rappresenta per Calista, quale il suo ruolo? Il romanzo, che nel ricordo della voce narrante rincorre il passato nella costruzione del presente, una cartolina del percorso artistico e privato del famoso regista, fino alla produzione di “ Fedora “, vira su rapporti di intimità destinati a finire ma profondamente radicati nella vita e nella mente della compositrice.
Il Wilder regista era stato una presenza contraddittoria, autore di film delicati e romantici, di grandi successi e fiaschi clamorosi , ( “ A qualcuno piace caldo “ “ L’ appartamento “, “ Sabrina “, “ Irma la dolce “ ) un uomo insicuro con una grande voglia di raccontare storie, profondamente europeo, a un certo punto rifiutato e dimenticato. Era vissuto nella convinzione che si dovesse al pubblico qualcosa di diverso, di bello, di elegante, ... “ si va al cinema perché quelle due ore ci diano un po’ di luce, che sia una commedia, un film comico, basta che ci sia una scintilla che prima non c’era, un po’ di gioia “...
Per Calista, ammaliata dal suo mito, il cinema diviene scuola di vita, le sue parole ispirazione assoluta perché ...” qualunque cosa la vita ci riversi addosso ha sempre qualcosa da offrirci e noi siamo tenuti a coglierlo “...
Resta il ricordo di un uomo che ...” tanto aveva ottenuto e tanto aveva sofferto “... e quell’ inizio casuale restituisce un senso alla protagonista e voce narrante, una scelta difficile ma necessaria, il futuro scritto tra le parole del grande “ maestro “.
Un romanzo di difficile costruzione per la vastità di temi e contenuti, che rischia di impantanarsi in una logica stereotipata e di superficie ( la rappresentazione della lunga e contraddittoria vita artistica di Wilder ) ma che mostra un’ altra faccia di se’ quando il racconto si svela, tra sobria intimità e romantica malinconia.
“ Io e Mr Wilder “ è sicuramente un romanzo non disprezzabile ma distante dal meglio della produzione letteraria dell’ autore. Personalmente avevo gustato il Jonathan Coe di “ La famiglia Winshaw “ e di “ La Banda dei brocchi “ ma anche di “ La casa del sonno “, e avevo apprezzato i recenti “Numero undici” e “ Middle Class “ .
Un autore sempre lucido e obiettivo, impegnato a rappresentare attraverso un’ acuta analisi socio-politica vizi, virtù e ataviche contraddizioni dei propri connazionali, tra slanci poetici e caustica irriverenza, dialoghi sferzanti e humour dissacrante, situazioni paradossali e riflessioni argute nel cuore di silenzi pensanti, tratti di uno spirito acuto, arguto, profondo riferibili però a un recente passato.




























