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La vendetta
 
La vendetta 2012-11-15 10:44:56 catcarlo
Voto medio 
 
1.8
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
1.0
Piacevolezza 
 
2.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    15 Novembre, 2012
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Marco Vichi: “La vendetta”

L’unico romanzo di Vichi letto in precedenza, ‘Morte a Firenze’, non mi aveva del tutto soddisfatto nella costruzione della storia tra giallo e noir, ma si era dimostrato interessante e coinvolgente per gran parte delle sue pagine. Tutto il contrario di questo libro che occupa a fatica duecento facciate, più che bastanti per indispettire anche il lettore meglio disposto. Il commissario Bordelli si prende un turno di riposo: protagonista – fino a un certo punto - è Rocco, un barbone che trascina l’esistenza sotto i ponti e ritrova una scintilla di vitalità imbattendosi per caso nell’uomo che gli ha rovinato la vita decenni prima con una cattiveria a cui non ha trovato la forza di reagire. La parte migliore del volume sta proprio nel racconto di una vita randagia, fatta di stenti, puzza e nessuna concreta prospettiva, con particolare efficacia nell’episodio delle scarpe rubate, ma, quando la storia principale si avvia, compaiono i problemi. Le situazioni iniziano prima a farsi improbabili, mentre la trappola si stringe attorno all’ex amico diventato biotecnlogo di fama internazionale, per poi scivolare lentamente nell’assurdità quando quest’ultimo viene additato come criminale nazista sotto mentite spoglie. In aggiunta, alcuni personaggi sembrano appiccicati al racconto solo per rimpolpare un po’ la trama: difficile da spiegare è, infatti, la presenza di un assassino seriale come l’altro barbone Steppa mentre Marianna, pur rappresentando forse un’altra vittima innocente in parallelo all’Anita da cui tutto è cominciato, è condannata a un’uscita di scena vagamente soft-porno assieme al maniaco suddetto (il tutto dopo una tirata contro il giornalismo scandalistico in parte condivisibile ma del tutto fuori luogo). L’ultimo quarto di libro, in cui Rocco esce di scena sostituito dalle angosce del professor Stonzi (ma che cognome è?), è fuori fuoco senza rimedio, con il cattivo che finisce per confessare a se stesso – durante un autodafé oppiacea – di essere un po’ nazista dentro, regolandosi di conseguenza. Va bene, il mondo è cattivo e solo comportandosi da figli di buona donna si riesce a cavarne qualche soddisfazione: l’argomento non è nuovo, ma altri scrittori l’hanno trattato con ben altro vigore e lucidità mentre Vichi se ne lascia trascinare come se non fosse del tutto convinto della storia che ha per le mani (o non ne fosse l’autore, come maligna qualcuno visto che anche la lingua non risulta all’altezza dei romanzi precedenti dello scrittore fiorentino).

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