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La donna della Domenica
 
La donna della Domenica 2016-08-03 18:17:44 Vincenzo1972
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Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    03 Agosto, 2016
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La cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra

Eccola la vera protagonista di questo romanzo, una Torino 'da bere' direi, echeggiando il più famoso slogan milanese, ma a piccoli sorsi, come se fosse un caffè, nero, caldo, intenso, assaporato e gustato con aristocratica eleganza, 'col mignolo alzato'.
Non siamo troppo lontani dalla Milano alla moda degli anni '80, dalla voracità arrivista dei nuovi ceti emergenti, i nuovi ricchi, alimentati dal senso di ottimismo e benessere diffuso che non esclude nessuno, che non è un privilegio per pochi.
Siamo nei primi anni '70, Torino capitale industriale d'Italia, la ricchezza passa dalle case e dalle proprietà dei nobili di un tempo, eredi della gloria sabauda, nelle tasche dei grandi imprenditori Fiat e Olivetti conferendo loro anche quella patina di austera e distaccata sontuosità.
Ma quanto stride, quanto è forte il contrasto tra questa nuova nobiltà e la secolare, immutabile, regale imponenza della città; sembrano invasori, spuntati dal nulla, che incancreniscono ogni palazzo, i portici millenari, le colline, ogni singola arteria della città con le loro contraddizioni, ipocrisie, la vacuità morale ed intellettuale.
Non c'è da meravigliarsi, quindi, se la ricca signora Anna Carla Dosio (moglie poco appagata e molto annoiata di un famoso industriale) ed il suo altrettanto ricco amico di salotto e di chiacchiere Massimo Campi (omosessuale naturalmente) si ritrovano sospettati per l'omicidio del losco architetto Garrone solo perchè costui avrebbe potuto confermare la corretta pronuncia della parola Boston.
Sì, proprio la capitale del Massachusetts, sulla cui pronuncia Anna Carla e Massimo hanno discusso animatamente, litigando persino.
Anzi, ad essere più preciso, la motivazione del diverbio è molto più profonda (...si fa per dire) perchè non si mette in dubbio la corretta pronuncia del termine quanto piuttosto l'atteggiamento intollerabile di chi non lo pronuncia all'italiana, 'Boston', bensì “Baaast’n”:
“Qualsiasi commesso d’abbigliamento, qualsiasi annunciatore della Rai, sa che si dice “Baaast’n”, è fiero di saperlo e lo sfoggia tutte le volte che può” ma “In italiano si dice Boston con tutt’e due gli o, ben rotondi. Fare lo sforzo di mettere insieme il suono “Baaast’n” è un’affettazione ridicola e tu lo sai benissimo”.
E rimane quasi incredulo il commissario Santamaria di fronte a tanta 'frivolezza', persino lui scelto volutamente dai superiori per la sua esperienza nell'ambiente della Torino 'bene', per la conoscenza acquisita negli anni dei loro vizi e stranezze, oltre che ovviamente per la sua riservatezza, fondamentale per evitare uno scandalo.
Ma non mi sembra il caso di aggiungere ulteriori riferimenti alla trama: come già detto, questo romanzo va assaporato come un buon caffè, a piccoli sorsi.
E' un gioiellino, un vero bijou, un capolavoro della narrativa giallistica italiana, sia per l'impostazione 'classica' in cui la trama, seppur rimanendo molto lineare, si ramifica progressivamente con l'introduzione di nuovi personaggi ed indizi che fanno tremare l'indice accusatore del lettore rendendo dubbia l'identità del possibile colpevole, sia per l'impeccabile caratterizzazione dei singoli personaggi.
E definirlo un giallo è estremamente riduttivo, tanto più che alcuni (compreso me) potrebbero anche considerare troppo azzardata la scelta di abbinare la chiave di svolta nelle indagini ad un proverbio in dialetto torinese.
Ma è un dettaglio di poco conto, perchè non è l'assassino che lascia il segno in questo romanzo, non è l'indagine poliziesca, è il mondo che fa da sottofondo, la stupenda carrellata di uomini e donne che vengono ritratti sin nei minimi dettagli, con grande arguzia ed ironia ma soprattutto con stretta aderenza alla realtà di quegli anni; questo romanzo è uno spaccato veritiero e fedele della società torinese a cavallo degli anni 70, peraltro esposto con una scrittura elegante, pulita, mai pomposa o ridondante: di meglio solo il teatro avrebbe potuto fare, o il cinema con la fedele trasposizione diretta dal grande Comencini, il cui successo è stato pari a quello del romanzo.
Da non perdere, assolutamente.

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Ciao Vincenzo. Per chi ben conosce la capitale sabauda di austera bellezza, non è facile immaginare "la Torino da bere". Comunque , bella recensione contestualizzata socio-economicamente.
In risposta ad un precedente commento
Vincenzo1972
04 Agosto, 2016
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Si Emilio, ho vissuto a Torino solo per un anno, troppo poco in effetti... ma ho precisato il senso dell'analogia con la Milano da bere... la differenza è nel... caffè.
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