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Una lettera per Sara
 
Una lettera per Sara 2020-06-24 17:08:11 Bruno Izzo
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    24 Giugno, 2020
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I guaiti di un cucciolo

Questo è il terzo romanzo, a firma del noto scrittore Maurizio de Giovanni, avente a protagonista il suo personaggio di più recente ideazione, Sara Morozzi detta “Mora”.
A mio parere, è quello meglio riuscito finora della nuova serie, il più completo, esauriente, esaustivo, anche il più articolato e avvincente.
Schiarisce e traccia di più la sua figura e la sua storia, rende appieno i requisiti e le prerogative del nuovo personaggio.
I primi due, “Sara al tramonto” e “Le parole di Sara”, erano certamente letture piacevoli, ma in un certo senso ancora in secondo piano, surclassate dagli altri romanzi dell’autore napoletano.
Quelli con i suoi personaggi più noti: l’insolito, per tanti versi, commissario di polizia Luigi Alfredo Ricciardi, in servizio presso la Regia Questura della Napoli durante il ventennio fascista, e la disomogenea ma affiatata squadra dei poliziotti detti “I Bastardi di Pizzofalcone”, costituenti l’organico raffazzonato di una stazione di polizia nella Napoli di oggi.
In tutta apparenza, la signora Sara Morozzi è una donna comunissima, tranquilla e rispettabile, magari un po’ seriosa e attempata, anonima, dai capelli grigi e l’aspetto dimesso, ancora giovanile benché trascurata nel fisico e nel vestiario, comunque in età pensionabile.
Una persona tanto banale da passare inosservata sempre e comunque, esattamente come desidera apparire.
In concreto, Sara è stata un poliziotto, ma di quelli speciali, è ex agente dei Servizi Segreti, quelli classici, misteriosi e celati all’opinione pubblica, che agiscono un po’ sullo sfondo ma comunque organizzati nelle strutture dello Stato.
Intendiamoci, non è mai stata un James Bond tutta azione, sparatorie, fughe e corse in auto a tutta velocità. Tutt’altro, Sara ha un talento unico ma quieto, poco appariscente, inavvertibile, sapientemente sfruttato in certi ambiti: sa osservare.
È quella che si dice un’analista dei segni; un severo addestramento ha esasperato all’inverosimile il suo talento naturale non solo nell’interpretazione della labiolettura, ma anche nel comprendere il linguaggio del corpo, quello difficile da dissimulare, veritiero e conforme alla realtà.
Un elemento prezioso in certi ambiti, dove la mistificazione è all’ordine del giorno, e le sue capacità di riportare in maniera autentica, esatta e concreta quanto captato in situazioni e conversazioni losche, terroristiche e malavitose è spesso, se non sempre, d’importanza vitale per scoprire, e neutralizzare in tempo, pericoli gravissimi per la collettività.
Sara vede, e interpreta; osserva, e comprende con interezza; scruta, e scopre quanto, in effetti, è.
Si badi la sua non è un’intuizione, un sesto senso, o una facoltà paranormale.
Sara è dotata di un notevole spirito di osservazione; questa sua caratteristica di base è andata perfezionandosi con addestramento e applicazione, certo, ma anche, e soprattutto, sotto l’input dell’emozione principale che, nelle donne in particolare, unica tra tutti i sentimenti umani, è quella che conferisce la spinta motivazionale più intensa: l’amore.
La donna è, infatti, perdutamente innamorata del suo diretto superiore, tra l’altro il suo reclutatore e mentore, con il quale ha convissuto per venticinque anni, e per il cui amore ha abbandonato marito legittimo e figlio ancora piccolo, pagando per questo in seguito un caro, amarissimo, prezzo personale. Sara ha quindi un “fatto” suo personale che la caratterizza, e si applica ancor di più perché innamoratissima del suo capo.
Come le disse un giorno passato il suo compagno Massimiliano:
“…hai un dono, Sara. Ti viene spontaneo, perciò credi che sia normale e non ne percepisci l’unicità. Invece è unico. Lo chiami istinto, ma è velocità. Ancor prima che elabori i dati, la tua mente li ha già collegati…Quello che chiami istinto, non ti può ingannare.”
Ora, dopo la morte del suo uomo, Sara, avanti con gli anni e abbandonato il lavoro, si ritrova sola, e tenta di rimettere insieme i brandelli di un’esistenza faticosa, sacrificata, vissuta nell’ombra dei servizi, e però gratificata dalla vicinanza del suo amore, scomparso dopo tragica malattia.
La ritroviamo che tiene insieme, con il suo carisma e la sua personalità mai sopita, brandelli di affetti: la nuora Viola, compagna del suo figliolo disperatamente perso, l’adorato nipotino Massimiliano, che porta il nome del suo scomparso amore, un ispettore di Polizia male in arnese, Davide Pardo, alle prese tragico/comiche con Boris, il suo cane, un irruente Bovaro del Bernese.
Se una critica si deve fare a De Giovanni, è questa: è stato male informato.
Da amante dei cani, posso assicurargli che il Bovaro del Bernese è un cane sì grande e grosso, ma davvero calmo e affettuoso, che ama essere coccolato e a sua volta coccolare; abbassa le sue barriere difensive, è di ottima compagnia, sopporta tutto con pazienza, è dolcissimo e non è assolutamente pericoloso. Buonissimo, generoso, affettuoso, disponibile.
Niente a che fare con il diavolo prepotente e dispettoso che amareggia l’esistenza di Pardo.
Proprio l’ispettore di Polizia, traviato dai suoi trascorsi esistenziali, a seguito della richiesta improvvisa e insolita di un suo vecchio superiore in fin di vita, chiede aiuto proprio a Sara, offrendo lo spunto per una nuova storia dell’ex effettivo dei Servizi Segreti, qui alle prese indirettamente ancora una volta anche con i fantasmi del suo passato.
Maurizio De Giovanni essenzialmente ha raccontato, in questo suo romanzo, ben altro che un giallo o un libro di avventure, come superficialmente si potrebbe credere, specie da parte di chi non conosce l’arte e la valenza dello scrittore napoletano; ha scritto di coincidenze, e perciò indirettamente ha dettato di cose della vita.
Che cos’è, infatti, l’esistenza, altro se non un insieme di circostanze che s’intersecano, casualmente o no, talora inestricabilmente, e danno luogo a cascata a una serie di eventi di portata imprevedibile, inimmaginabile, incerta? Talora anche con esiti tragici, imponderabili, sconosciuti.
Sono le coincidenze quelle che descrive qui abilmente De Giovanni, attraendo e conquistando piacevolmente l’attenzione del suo lettore, tratteggiando diversi personaggi e le loro singole storie, riunendole in una singola realtà romanzata, ma non per questo meno reale, con specifico rimando a tragici fatti di cronaca nera realmente accaduti, intrecciandone esiti e destini nella trama elegante di una buona storia, scritta bene.
Caso, fatalità, parallelismo, assurda corrispondenza legano e intrecciano le esistenze dei vari, diversi, assortiti personaggi, che costituiscono un passato univoco ed un presente consequenziale.
Il caso lega i destini di una giovane studentessa universitaria fuorisede che arrotonda le sue risicate entrate spendendosi come commessa in una libreria antiquaria, e il suo cocciuto fratello.
La fatalità contrassegna l’esistenza di una coppia di disperati e del figlio casualmente partorito dalla loro sventurata unione, allacciandosi all’irreprensibile vissuto di un ligio cancelliere del tribunale.
Un’assurda corrispondenza è intrattenuta per esempio tra un feroce capo mafia e i servitori dello stato; o ancora, sussistono corrispondenze finanche con venature sentimentali, intrecci amorosi che si dipanano tra un abilissimo borsaiolo, un ladruncolo dal cuore d’oro, e una vittima di una sindrome genetica tanto rara quanto infausta e dolorosa.
Il primo che “…è cresciuto combattendo con le unghie e con i denti; viene da un posto che non perdona, in cui la sensibilità è sempre scambiata per debolezza. E la debolezza, in periferia, è un peccato mortale.” L’altra, una persona di specchiata umanità, un’operatrice di una casa famiglia, vittima di una di quelle malattie rare per cui non esiste cura, perché le case farmaceutiche non investono nella ricerca di cause e rimedi non sussistendone la convenienza economica. Quel tipo di malattie dolorose, di cui finanche chi ci lavora dice, con cognizione di causa, senza mezzi termini:
“ Noi lavoriamo col dolore. La sofferenza stravolge la gente, toglie la voglia di fingere, assorbe ogni energia: così emerge chi siamo davvero, senza più inganni. Tutto qui, fine del discorso.”
Solo la sapienza, la competenza, la sensibilità non comune di un bravo scrittore, poteva rendere al meglio questi concetti, Maurizio De Giovanni lo conferma, e si conferma tale.
“Una lettera per Sara” è quindi non una sola missiva, ma un insieme di corrispondenze che dal passato, da un passato tragico, pervengono a quanti direttamente coinvolti nella storia.
I nodi vengono al pettine, presto o tardi, alla fine riemergono incubi che si credevano sepolti, e questo vale per tutti, nel bene e nel male.
Se trattasi di un passato tragico, quelli che pervengono, i suoni che riecheggiano, non sono il classico stridio di catene trascinate in eterno dai fantasmi ma gemiti, pianti disperati di fantasmi innocenti, perché si tratta di vittime innocenti, e questo tipo di lamento ha un suono inconfondibile, quello dei guaiti di un cucciolo. E qualcuno che ascolta, deve raccoglierli quei suoni, deve raccontarli, perché non se ne perda la memoria, perché:
“…Qualcuno deve stare accanto a chi se ne va…Almeno uno che ti tiene la mano alla fine della vita ci vuole.”
Ecco, come si vede nella dedica iniziale, Maurizio De Giovanni questo ha fatto, ha ascoltato e ha ricordato, con commozione e umanità, i guaiti di un cucciolo, tenendolo per mano.
Altro non poteva fare, lo scrittore napoletano, ma ha fatto tanto. E bene.

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