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L'ombrello dell'imperatore
 
L'ombrello dell'imperatore 2021-01-18 11:38:00 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    18 Gennaio, 2021
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La prima indagine di Takeshi James Nishida

«È a dir poco curioso come, a volte, il destino ci leghi nella maniera più strana. In questo caso, tramite un ombrello.»

A prima vista non è altro che un anonimo oggetto realizzato con cura e dedizione per il dettaglio, quella stessa cura e dedizione che è propria alla realtà nipponica. Eppure, è proprio quell’oggetto, quell’ombrello all’apparenza così innocuo a essere l’arma del delitto utilizzata per determinare la morte di Yuki Funagawa, nato il 2 dicembre 1986. È un particolare insolito, quell’ombrello. Uno di quelli con la copertura in plastica trasparente, un modello molto comune, di taglia grande, con le stecche di una settantina di centimetri. Questo si trova chiuso sul pavimento accanto alla vittima, il bianco della punta è completamente nascosto dal sangue rappreso e da tracce di bulbo oculare destro del deceduto. Un comunissimo bene contraddistinto, per l’occhio più acuto dell’osservatore, soltanto da un puntino rosso, a prima vista un adesivo o un simbolo dipinto situato sul manico di plastica bianca. È questo dettaglio che colpisce l’ispettore Takeshi James Nishida della squadra Omicidi della Polizia di Tokyo e soprannominato Boss dai colleghi per quella grande dipendenza da caffeina in latina della omonima marca. Takeshi è un hafu ovvero un mezzosangue di madre americana e padre giapponese. È anche per questo condannato a non salirci ai piani alti; in Giappone vige la religione dei protocolli, religione di cui Nishida non è un seguace: egli appartiene alla strada. E Takeshi ha anche ereditato i tratti caratteriali della realtà occidentale, tratti che lo rendono spesso impulsivo, poco accomodante e disincantato verso quella dimensione che lo circonda e che lo vorrebbe esattamente al suo contrario.

«Negli ultimi vent’anni si era fatto un nome risolvendo casi complicati e mettendo dentro non pochi delinquenti, nonostante a volte per ottenere risultati avesse dovuto usare metodi poco ortodossi. Il che purtroppo, unito alla sua abitudine estremamente non giapponese di dire in faccia alla gente come la pensava, non andava molto a genio ai suoi superiori. Anzi, ai suoi superiori non andava a genio per niente.»

Bastano pochi rilievi per appurare che oltretutto quell’ombrello appartiene alla persona più impensabile: l’Imperatore. Ma com’è possibile? E a chi appartiene quell’altro piccolo tratto di impronta digitale che dalle analisi risulta essere presente sullo stesso? Per il Tommy Lee Jones che è Takeshi, che sovente è stato paragonato a questo personaggio stante i suoi tratti particolari che lo rendono molto avvenente, avrà inizio una indagine atta a cercare di scoprire la verità in quella che è una morte tutt’altro che chiara.
A far da sfondo una Tokyo che non dorme mai e che ci viene proposta in una serie di tinte e retroscena, luci e ombre, che per mezzo di un protagonista che per il suo sangue misto riesce a far da ponte, scopriamo in modo completamente diverso. Tra le pagine dell’opera, inoltre, oltre all’indagine verrà quindi ritratta una perfetta fotografia della società giapponese a cui si affiancherà anche la trattazione di una serie di tematiche molto attuali e a noi vicine che non anticipo essendo collegate alla risoluzione dell’enigma che ci accompagna nel giallo.

«L’ispettore ne aveva viste abbastanza da sapere che la più grande oscurità è spesso nascosta alla luce del sole, ma in quel caso gli risultava difficile credere di avere di fronte un assassino.»

Quello di Tommaso Scotti è un esordio molto interessante che propone al lettore un protagonista che entra subito nelle sue simpatie e che con rapidità coinvolge e trattiene. Il conoscitore è incuriosito dalle vicende, affascinato dalla cultura nipponica e da questa figura dai tratti fisici appena tratteggiati eppure così vivida nella mente per carattere e determinazione. L’opera è inoltre ben strutturata. Parte da presupposti ben elaborati e a questi ne aggiunge altrettanti che rendono la narrazione più stratificata e l’enigma più articolato da risolvere.
Lo stile è fluido, rapido, limpido. Accompagna per mano, conduce senza difficoltà.
Un esordio, “L’ombrello dell’imperatore” che ci presenta un autore che tornerà ancora a far parlare di sé, che non vedo l’ora di rileggere e che sarà un piacere approfondire ulteriormente.

«C’è la nostra anima qui dentro, ed è un’anima di acciaio. Questa vite è il nostro testamento imperituro in un mondo usa e getta.»

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