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Ragazze smarrite
 
Ragazze smarrite 2021-07-23 14:41:39 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    23 Luglio, 2021
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Gran finale

Questa è certamente, in ogni modo, l’ultima avventura in cui ritroviamo uno dei personaggi più noti della narrativa di genere giallo, protagonista assoluto dei romanzi seriali dello scrittore fiorentino Marco Vichi, il commissario di Pubblica Sicurezza Franco Bordelli, a capo della Squadra Omicidi presso la Questura di Firenze, in servizio negli anni ’60.
Intendiamo dire però che questo non è solo l’ ultimo romanzo di recente pubblicazione, ma anche l’ ultima storia di Bordelli certamente nelle vesti di commissario di polizia, prima di essere messo a riposo per raggiunti limiti d’età.
In verità, quest’ultima spiaggia sembrava già essere stata conquistata bravamente, appena in precedenza Bordelli pareva aver già chiuso con un gran finale la sua gloriosa e fortunata carriera in Polizia, iniziata subito dopo l’ultimo conflitto mondiale, che lo aveva visto coinvolto in prima fila nei ranghi dei marò del Battaglione San Marco, nell’uno e nell’altro fronte.
Infatti, nei romanzi appena precedenti a questo, Bordelli già prossimo alla pensione era stato catapultato in una serie di efferati e misteriosi crimini, quasi che la malavita, con i suoi rappresentanti principali, gli assassini, avesse organizzato un gran finale pirotecnico per chiudere in bellezza le storie del nostro poliziotto. In rapida successione i lettori affezionati ricorderanno come Bordelli si fosse industriato a risolvere vari delitti, che vedeva coinvolti prima un serial killer, poi una giovane ragazza assassinata a scopo di libidine, infine il barbaro omicidio di un povero vecchio aristocratico, tutti casi risolti felicemente assicurando alla Giustizia i colpevoli, con gran sollievo di Bordelli, angustiato dal dover lasciare misteri in sospeso. Si vede però che era destino che il nostro avesse da tribolare fino all’ultimo giorno utile di servizio attivo, infatti anche stavolta, a pochi giorni dall’uscita fatidica dai ruoli attivi, il commissario è chiamato ad indagare sul ritrovamento del cadavere di una donna, tanto bella quanto giovanissima, ripetutamente abusata da più uomini, in apparenza senza costrizione, ma deceduta per overdose da stupefacenti. Soprattutto, questo il particolare più atroce, abbandonata agonizzante ancora in vita, malgrado potesse essere assistita, aiutata, posta in salvo, ma evidentemente per evitare grane o qualsiasi coinvolgimento, i responsabili se ne erano crudelmente disfatti infischiandosene, senza remore o alcuna pietà umana.
Quasi per sfregio, con criminale noncuranza, la povera, innocente ragazza è stata gettata via come una cosa inutile, un giocatolo usato e rotto, giù sul greto di un torrente, dove è rinvenuta quasi per caso ai piedi di una scarpata, nel fitto di un bosco sulle colline intorno al capoluogo toscano.
“…Sembrava quasi una vendetta, come se le sacrosante nuove libertà che le donne stavano cercando faticosamente di conquistare, in un modo o nell’altro dovessero essere pagate a caro prezzo…”
Franco Bordelli indaga come suo solito con determinazione, cocciutaggine, risoluto a individuare i colpevoli, con la ferma volontà di porre rimedio all’estremo, ignobile, inumano insulto rivolto alla bellezza dell’esistenza, alla sacralità della vita umana brutalmente e ignobilmente turbata da un omicidio particolarmente abietto, agli occhi del commissario, proprio perché ai danni di una persona che si stava appena affacciando a godere della primavera dei propri anni.
Quello che spinge l’agire di Bordelli, e sempre lo ha ispirato, non è mai il senso del dovere di per sé, ma la propria indole, si fa guidare da un innato senso di rettitudine, il commissario proprio perché ha vissuto durante la propria giovinezza la guerra, le violenze, le uccisioni, il vuoto di sentimenti e di compassione di cui sanno dare prova gli uomini, certi uomini almeno, aborrisce ogni forma di oltraggio alla vita umana, specie se a carico dei giovani, delle donne, dei fragili e degli indifesi.
Franco Bordelli non è né un giustiziere né un fanatico della giustizia, intende la sua professione come quella di un medico che deve guarire un paziente, e cerca di farlo al meglio delle sue possibilità con le medicine, talora deve cauterizzare dolorosamente le ferite con il fuoco, allontanare e segretare il malato perché non infetti i sani, ma agisce sempre con scienza e coscienza, con squisita umanità, comprensivo e caritatevole con chi soffre, severo e inflessibile con chi agisce da untore diffondendo il male. Per questo tra i suoi amici più cari conta indifferentemente un ex ladro ed un giovane vicecommissario, una ex prostituta e dei piccoli malavitosi, tra i suoi nemici invece, senza tentennamenti di sorta, annovera e persegue scientemente chi commette un crimine pur avendo tutte le opportunità di non delinquere, di non fare alcun male, non inneggiare e seguire il Male.
Bordelli detesta cordialmente chi delinque, ma in particolare coloro che per nascita, censo, studi e privilegi dovrebbero nutrire invece maggior rispetto e considerazione per i mortali meno fortunati, non dedicarsi a sfruttare e abusare delle loro miserie, essere di condotta esemplare, di guida morale e di supporto nelle loro difficili condizioni di vita, il commissario proprio non tollera coloro che usano agire con tracotanza e altrettanta stupida superficialità per soddisfare le proprie personali turpitudini, alimentare il proprio ego, agire con protervia, superbia e prepotenza in nome di una presunta superiorità personale:
“…Quei ragazzi erano odiosi, disgustosi, e la loro bellezza non bastava a renderli belli. Trattavano le ragazze come schiave, non avevano per loro il minimo rispetto, e non era una questione di gentilezza, ma un atteggiamento interiore…”
Indaga Bordelli quindi sull’esistenza di giovani, bellissime, stupende “ragazze smarrite”, letteralmente smarrite, non per propria colpa perse ma perché irretite dai facili guadagni e dai lussi e dagli orpelli della società del benessere, sfruttate e abusate in un tragico e spregevole giro di balletti rosa da parte dei giovani bene, rampolli della meglio gioventù italiana, e di quanti conniventi li circondano e vivono alla loro ombra. Una sorta di Bunga Bunga ante litteram, ma molto peggio, perché sfocia nell’omicidio senza scrupoli. Un po' anche come rievocare scandali simili del dopoguerra, come il caso Montesi, per esempio, per chi lo ricorda o ne ha sentito parlare.
“…Forse era anche colpa di come era organizzato il mondo, che da sempre offriva così poco alle giovani donne piene di vita…e quando la povertà andava a braccetto con la bellezza, l’alternativa alla schiavitù del lavoro duro poteva essere la schiavitù ai piaceri e ai vizi dei maschi…”
“Ragazze smarrite” conferma il particolare modo di narrare di Marco Vichi; lo scrittore fiorentino non è un giallista in senso stretto, più che altro è un cantore della fiorentinità, un menestrello che si diletta d’affabulare i lettori con i capisaldi del vero buon vivere fiorentino.
Punti fermi che comprendono l’amicizia in primissimo luogo, quella vera, i legami fortissimi tra amici come, ma spesso assai più che tra fratelli, in famiglia, non a caso Bordelli non ha una sua famiglia pur avendo una compagna, non ha figli, nemmeno pro forma, il suo pupillo e allievo è adulto, è un vicecommissario, non proprio da considerare un figlio, ma in compenso, e di molto compenso, Bordelli ha tanti diversi, variegati e sodali amici cari, fedeli nel tempo e negli affetti.
Poi, la convivialità: con gli amici si mangia insieme, certo, ma la convivialità, quella vera, quella fiorentina, è altro, è oltre il termine, è la condivisione tacita, l’essere concordi in tutto e per tutto come un’anima sola, librata in alto da ali diverse, ma unica, unita, convivale e parimenti vitale.
Raccontarsi, raccontare, narrare, dire, riferire: sempre gli amici di Bordelli, e lo stesso commissario, si riuniscono per il piacere di stare insieme, certo, ma soprattutto per il reciproco piacere di scambiarsi storie, storie di tutti i giorni presenti e passati, proprie e di altri, storie di vita.
Vivono la vita, e la raccontano: così è da intendere la loro fiorentina convivialità.
A cui si aggiunge l’amore condiviso e conviviale per i libri, per le letture, per certi autori, Alba de Cespedes, Beppe Fenoglio, anche riferimenti precisi e più stretti come quello al Colonnello Bruno Arcieri, personaggio dei romanzi del caro amico di Vichi, Leonardo Gori, anch’egli valente scrittore.
Stavolta, visto che siamo in chiusura, Marco Vichi cita anche lo scrittore Carlo Lucarelli per il tramite del suo personaggio Achille De Luca, omologo di Bordelli presso la Questura di Bologna:
“…un certo commissario De Luca, un funzionario di grande esperienza entrato in servizio da giovanissimo, durante il fascismo…”
Anche si cita, quasi di soppiatto, senza parere, per caso o chissà, una Tataranni come l’omonimo sostituto procuratore dei romanzi di Mariolina Venezia.
In sintesi, Marco Vichi tramite Bordelli parla di sé, parla di come intende l’esistenza, si emoziona spiegandoci, quasi giustificando con pudore, il suo amore per quello che sa fare meglio: raccontare storie. Per coinvolgerci, crea un’indagine, ma ben presto guida il lettore su altre piste, quello delle storie nella storia, quella dei comuni avvenimenti che, quando ben resi, diventano racconti, e ammaliano, incantano emozionano, qui e ora Marco Vichi racconta l’amore della sua vita: scrivere storie. E ora che Bordelli è in pensione, come si andrà avanti? C’è possibilità di ritorno?
Franco Bordelli nei suoi racconti di vita rievoca anche i fantasmi della sua esistenza, persone a lui conviviali, che c’erano, con cui ha vissuto, di cui conserva il ricordo, e di cui spesso ha raccontato. Ricordo una battuta di Eduardo De Filippo, che di queste cose ne capiva, e che in “Questi fantasmi” fa dire ad un suo personaggio, a proposito della possibilità di ritorno:
“Sì…è possibile…sotto altre sembianze”.

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