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Incubi dal passato
Nel suo genere, il giallo, il noir, il thriller o come altrimenti si vuol definirlo, questo è davvero un buon testo, godibile e fluente nella sua narrazione, perché redatto bene, con cura ed eleganza. Scorre con uno stile tutto suo, pulito, ordinato, cronologicamente ineccepibile, un racconto che è una cronaca che srotola man mano un gomitolo, a tratti e con diversa rapidità, costituito prima da un filo di eventi passati, intrecciato ad un certo punto indissolubilmente a quelli più recenti.
Ma in maniera speculare, tant’è che assume discernimento chiaro sia che i fatti scorrano in un senso che nell’altro. Allorché la matassa si srotola del tutto, emerge un excursus logico, inusitato e sorprendente, intriso di amarezza e disillusione, con un finale struggente, che racchiude in sé la il disinganno di una generazione giovane e infelice per motivi diversi, e però descritto con un tono tanto risoluto quanto veritiero, certamente velato da umana comprensione, ma in modo imparziale.
L’autore non prende le parti, non si schiera, non giudica, semplicemente racconta.
Stavolta il giustiziere di turno non è tanto l’investigatore o chi per lui che ripristina in qualche modo la giustezza dei corretti comportamenti sociali, qui ad accomodare in qualche modo lineare gli eventi restituendo un senso alle azioni compiute provvede il fato, il destino, l’imponderabile fatalità dell’esistenza. Non a caso l’autore è, smessi i panni di romanziere, un cronista dei più apprezzati di una delle maggiori testate nazionali. Gigi Paoli fa romanzo reale della sua professione, è un autore che certamente sa avvincere, racconta senza parere come se fossero cronache fatti di cronaca nera del tutto verosimili, se non veritieri, e lo fa avendo sempre bene a mente la sorte, la ventura, l’imprevisto, l’accidente, l’arbitrio umano che sempre si accompagna sia alle azioni delittuose che allo scorrere della comune e banale quotidianità.
Qui il suo protagonista è un giornalista, Carlo Alberto Marchi, un uomo letteralmente distrutto sia nel fisico che nel morale. Cronista di nera, uno di quei segugi della carta stampata sempre primi a fiutare e redarre ad hoc il pezzo d’autore, ad uso esclusivo dei suoi lettori, Marchi è costretto alla forzata inabilità, a causa di una rovinosa caduta dal palazzo di Giustizia, che i cronisti in gergo etichettano Gotham. Di conseguenza, sta riprendendosi dalle disastrose fratture multiple attraverso un lungo percorso riabilitativo, che comprende dolorose ed impegnative sedute di forzata fisioterapia in una struttura apposita, nel mentre cerca di riprendersi anche affettivamente contando sulla propria figlia, e sul capitale di empatia umana accumulato negli anni nel corso della sua professione, che comprende i colleghi ai quali è più intimamente legato, nonché la stima degli addetti a vario titolo alla giustizia, poliziotti e magistrati, con cui era solito interagire.
Complica parecchio le cose l’insorgere di un tremendo acufene, quasi una sirena che spesso e volentieri gli ricorda come sia preferibile che al momento si dedichi ad altro che al suo lavoro. Consiglio che magari il nostro sarebbe anche disposto a seguire, ma il fato dispone diversamente.
Sulla scena di un omicidio di un povero paninaro ambulante, che ha tutta l’aria di essere vittima di un fallito tentativo di rapina, viene reperito un proiettile di pistola; l’apposita banca dati delle forze dell’ordine identificano l’arma da fuoco come quella anni prima utilizzata per compiere un sanguinoso eccidio in una banca. Gli autori che rivendicarono a suo tempo la barbarie di quelle strage sono esponenti delle Brigate Rosse, un piccolo nucleo di terroristi coinvolti nel colpo di coda degli ultimi momenti della lotta armata, all’epoca identificati come sospetti ma mai realmente incriminati per lo specifico episodio. Vale a dire chi uccise allora è tornato a colpire, ed il diritto di cronaca reclama l’acclarazione dei fatti. Per Carlo Alberto Marchi si va ben oltre, il conoscere come siano andati effettivamente le cose anni prima, chi ha impugnato di nuovo quell’arma e chi, come allora, ha ucciso di nuovo crudelmente, è questione che lo riguarda assai più del suo essere cronista. Il suo è un diritto di sangue, a suo tempo le Brigate Rosse in quella rapina in banca per autofinanziare il movimento armato, assassinarono a sangue freddo il papà di Marchi, direttore della banca prescelta per la rapina. Una vera ingiustizia, dato che il suo papà era un uomo del popolo, di sinistra, di umili origini che si era fatto dal niente, e ironia della sorte era stato ucciso proprio da chi pretendeva di difendere i diritti del popolo. Per Marchi è un vivere un incubo con le radici nel passato, è un dover ripercorrere oggi la sanguinosa svolta della sua esistenza pur se minato nel fisico. Ma rappresenta anche uno stimolo, una pulsione, una incitazione per scoprire la verità e ristabilire giustizia, lo chiede letteralmente la voce del sangue, la stessa che gli ha dato l’impulso a trasformare il suo mestiere in una lotta quotidiana contro le ingiustizie. Solo che gli acufeni lo assillano, distolgono la su attenzione. Il fato delle umane cose, però, è acconcio, e confacente a suo modo.
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