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Il postale
 
Il postale 2017-11-29 10:35:48 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    29 Novembre, 2017
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Altri tempi

L’idea di narrare un po’ della nostra storia attraverso la vita del conducente di una diligenza postale è indubbiamente originale, anche perché richiama un sapore pionieristico di frontiera che noi ben conosciamo grazie ai film western, dimenticando che negli stessi anni la vita non era dissimile anche in Europa. In effetti, pagina dopo pagina, ci si appassiona alle vicende di Liberio Fraterni, di quest’uomo che alla fine dell’Ottocento recapitava la posta nell’Alta Toscana. I personaggi non sono molti e direi che l’autentico e assoluto protagonista è Balio, un cavallo nero, unico nel suo genere, capace di trainare da solo la diligenza senza apparente sforzo e senza mai stancarsi, una bestia un po’ bizzosa, non del tutto domata e che mi sono chiesto che significato metaforico possa avere. Senza arrivare a una conclusione certa credo che il quadrupede in questione rappresenti il senso di libertà innato in ognuno di noi e a riprova di questa opinione sta il fatto che Balio, che stranamente non invecchia mai, non appena il progresso soppianta il trasporto con la diligenza, fugge e di lui non si saprà più nulla. Peraltro, l’autore a cui non si deve negare il merito di saper descrivere con abilità situazioni e paesaggi, mostra una spiccata attitudine a relazionarsi con la natura, il che può richiamare, ma solo in parte, un’altra figura di narratore, cioè Mario Rigoni Stern. Il romanzo in sé presenta appunto il motivo di interesse in questo rapporto fra Liberio e il cavallo, mentre l’aspetto storico, che dovrebbe costituire l’ossatura, a mio avviso è un po’ carente, nel senso che pur rappresentando un periodo a cavallo di due secoli non approfondisce più di tanto. Purtroppo, più si va avanti con le pagine e con gli anni emergono alcune lacune, come riferimenti fuorvianti a personaggi particolari, come nel caso della suora-madre o di Giovanni Pascoli, oppure anche di Giuseppe Garibaldi, sul quale il giudizio dell’autore è senz’altro opinabile, ma che in ogni caso non si capisce perché venga inserito nel testo. Con lo scoppio della prima guerra mondiale la vena fantastica si amplia e così grazie alla massoneria Liberio farà la conoscenza di Cadorna e di Vittorio Emanuele III, in una casa posta immediatamente a ridosso della prima linea. In seguito, terminato il conflitto, il figlio Amilcare, invalido di guerra, diventerà un protagonista assoluto del fascismo. I tempi sono cambiati, tutto sembra procedere veloce verso il futuro, il passato ben presto sembra un trapassato e Liberio, che è un uomo di un’altra epoca, che non può accettare i fascisti perché così diversi da lui, comprende che il suo tempo è finito e si lascia andare. Le ultime pagine, che lo colgono nel momento della sua dipartita, non sono strazianti, ma nella misura in cui danno il senso dell’inutilità di sopravvivere a un’epoca sono veramente stupende e fanno dimenticare quelle manchevolezze di cui ho prima accennato, contribuendo non poco a un giudizio sostanzialmente positivo.

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