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A tua immagine e dissomiglianza
 
A tua immagine e dissomiglianza 2019-07-10 06:34:44 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    10 Luglio, 2019
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FINCHE' C'E' DOLORE C'E' SPERANZA

“In questo sottile momento in cui l'uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. […] Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.” (Albert Camus: “Il mito di Sisifo”)

“Spesso il male di vivere ho incontrato”, scriveva Eugenio Montale in “Ossi di seppia”. Di “male di vivere”, di dolore, di sofferenza (malattie terminali, suicidi, disagi mentali) è pieno questo pregevolissimo romanzo d’esordio, e stupisce assai che a raccontarlo sia uno scrittore di soli ventitré anni, un’età in cui di solito – ed erroneamente – si pensa ci sia posto solo per l’amore o l’amicizia o l’avventura. E’ un libro da maneggiare con estrema cautela, “A tua immagine e dissomiglianza”, un libro in apparenza talmente fragile e delicato che si ha paura che, come un fiore raro ed esotico, possa appassirci improvvisamente tra le dita. Daniele Sannipoli ci conduce in recessi remoti e profondi dell’animo umano, in anfratti bui e disagevoli dove la luce scarseggia e dove i personaggi (dei Lui e delle Lei senza nome, quasi a rappresentare metonimicamente l’intero genere umano) rischiano quasi di morire per mancanza di ossigeno. Ma poi, scorrendo una pagina dopo l’altra, ci si accorge che “A tua immagine e dissomiglianza” è un’opera solida e forte, innervata com’è da uno stile raffinato e maturo e da riferimenti culturali (Camus, certo, ma anche Cioran, il Kafka de “La tana” e il Dostojevskij di “Memorie del sottosuolo”) che la puntellano e la alimentano in continuazione. Negli esordi letterari gli autori vogliono comprensibilmente mettere dentro tutto il loro mondo, tutte le loro esperienze, tutte le loro conoscenze, e così spesso finiscono per esagerare, per uscire fuori dagli argini, per peccare di sovrabbondanza. Sannipoli è riuscito invece nell’intento contrario, cioè scrivere un romanzo di grande, estrema condensazione. E’ come se la sua storia fosse stata passata al vaglio di numerosi filtri, che l’avessero via via prosciugata, essenzializzata, lasciando ad ogni livello un concentrato sempre più denso, più ristretto. Per mezzo di un intelligente uso dell’ellissi, che permette di far scorrere in avanti il tempo della storia attraverso i decenni e le generazioni (il Lui bambino dell’inizio diventa nonno al termine del romanzo), e dell’analessi (i ricordi di infanzia che riemergono dal subconscio), e grazie alla scelta contestuale di lasciare il mondo esterno fuori della cornice, alla fine ciò che resta sono pagine di esacerbata perfezione formale, pepite che l’autore, come un cercatore d’oro, ha setacciato con cura dopo aver eliminato acqua, sabbia e impurità, e che il lettore deve interpretare in un non facile ma appassionante lavoro di esegesi.
Al centro di tutto, ad assillare i pensieri dei protagonisti, c’è l’eterno interrogativo sul senso della vita. La percezione della mancanza di uno scopo, dell’inesistenza (o, peggio, del silenzio) di un’entità trascendente, è un fardello talmente gravoso da far vacillare il loro equilibrio mentale e rischiare di gettarli nella disperazione più totale. Se le donne del romanzo si rifugiano nella pratica di un solidarismo, di stampo leopardiano assai più che religioso, che è volontà disperata e faticosa di redimere la sofferenza del creato, a volte soccombendo esauste e inaridite (come la madre di Lui, “incapace di frapporre un diaframma tra se stessa e il mondo”), gli uomini si ripiegano su se stessi, nell’arrovellarsi inesausto del pensiero, in un assillo di perfezionismo e di orgogliosa e solipsistica indipendenza destinato fatalmente a scontrarsi con la dura e crudele realtà. Il fatto è che i personaggi di “A tua immagine e dissomiglianza” non lottano solo con la vita, ma devono fare i conti anche con il proprio passato. Il legame con le generazioni che li hanno preceduti è infatti una pania che ostacola i loro sforzi di autorealizzazione: da una parte c’è la volontà di recidere questo vincolo indesiderato, dall’altra il desiderio opposto di far rivivere chi non c’è più attraverso il ricordo. Entrambi i tentativi sono destinati a fallire miseramente, perché “come non si sfugge alla fede diventando atei, così non si diventa liberi sforzandosi di essere una nemesi”, cercando cioè di essere il contrario dei propri padri (“perché nell’opposto ci sono tante catene quante nel simile”); d’altro canto l’oblio del tempo ricopre ogni cosa, lasciando dietro di sé solo rimpianti e sensi di colpa (come ne “Le braci” di Sandor Marai, i personaggi di Sannipoli si sentono colpevoli per il solo fatto di essere sopravvissuti a un lutto). “A tua immagine e dissomiglianza” è un po’ come una moderna rappresentazione del mito di Edipo, dove “uccidere” il padre e “sposare” la madre conduce a ferali conseguenze. Il fatto è che l’essere umano è il campo di battaglia in cui si sfidano e si affrontano forze opposte e inconciliabili: da una parte il peso insostenibile e condizionante delle generazioni che lo hanno preceduto, dall’altra il desiderio di essere il solo artefice del proprio destino; il determinismo contro il libero arbitrio, l’eredità biologica che Richard Dawkins aveva ben evidenziato nel suo “Il gene egoista”, contro la concezione cristiana della libertà individuale. C’è una soluzione a tutto questo? Sannipoli sembra inizialmente abbandonarsi a un pessimismo autocommiseratorio senza via d’uscita. Quando Lui dice alla moglie malata: “C’è sempre una speranza”, Lei risponde: “Non per me”, e questo scambio di battute mi ha ricordato il dialogo tra Franz Kafka e Gustav Janouch, quando alla domanda del secondo se al di fuori di questo mondo che conosciamo ci fosse ancora speranza, il primo aveva risposto: “Oh certo, molta speranza, infinita speranza, ma non per noi”. In realtà una soluzione esiste, e l’autore la scopre addirittura nel mito del vaso di Pandora tramandato da Esiodo. Quando la donna apre incautamente il coperchio, dal recipiente fuoriescono tutti i mali del mondo, condannando il genere umano alla vecchiaia, alla malattia, al dolore, alla gelosia, alla pazzia e al vizio. Sul fondo del vaso rimane però, ineliminabile, la speranza, pronta a librarsi tra gli uomini alla successiva riapertura del contenitore. Il messaggio di Sannipoli è dunque tutt’altro che negativo e pessimistico, e lo si può leggere tra le righe del meraviglioso prologo, in cui a parlare è un’insignificante cellula in procinto di morire: la soluzione non è né nell’individuo né in un dio, ma è nella vita stessa, che è inesorabilmente destinata a scomparire eppure eternamente si ripresenta in forme sempre nuove e sorprendenti, a dimostrazione del fatto che solo attraverso la morte e il dolore la vita può continuare ad esistere e a cercare senza requie il suo cieco, ostinato e indefesso scopo nel tempo (“non ho più paura della morte, perché in questo istante, eternamente presente, ogni volta risorgo”).
“A tua immagine e dissomiglianza” è un libro che pretende molto dal lettore, che gli chiede di superare i suoi limiti per affrontare gli eterni interrogativi della vita e della morte. E’ un libro che, però, dà anche molto al lettore. E’ raro infatti trovare in un romanzo (ancor di più in un romanzo italiano, scritto poi da un giovanissimo esordiente) una scrittura così sapientemente elegante ed elaborata senza essere estetizzante, sempre preziosa e mai banale persino nelle parti in cui l’ispirazione magari fatica un po’ a reggere il passo delle ambizioni filosofiche dell’opera, una scrittura dall’aggettivazione ricca ma mai ridondante, dal ricorso parco ma efficace a figure retoriche come l’ossimoro (la “lontananza così prossima” che caratterizza la storia d’amore tra Lui e Lei, le “fiamme gelide” dell’inferno interiore di Lui) o la similitudine (i frammenti del biscotto sciolto nel tè che “assomigliano agli uomini in balia della vita, sfibrati e dissolti nell’affanno continuo degli eventi”), e in cui l’alternanza tra terza e prima persona è sempre motivata da esigenze diegetiche (Lui ad esempio è uno scrittore che mette costantemente per iscritto i suoi pensieri). La inusuale maturità di questo stile conduce a delle pagine di grande suggestione. Già ho citato l’incipit (a mio avviso un piccolo, virtuosistico capolavoro, che fa da cornice, insieme al capitolo finale, alla storia vera e propria), ma degni di menzione sono anche gli allucinati incubi del protagonista maschile o l’altra scena onirica del dialogo con il giudice-psicanalista (che a me ha ricordato Kafka, ma un Kafka contaminato con il senso dell’assurdo di una pièce di Pinter), o ancora le liriche scritte da Lei durante la malattia, a dimostrazione di un notevole eclettismo, che sa spaziare dalla filosofia al teatro, dalla mitologia alla poesia. “A tua immagine e dissomiglianza” è un libro il quale, se nella sua relativa brevità risulta pesante, lo è nel senso buono e necessario del termine, perché ogni buon libro deve – come dice Cioran – “avere un peso e presentarsi come una fatalità; quando lo leggiamo deve darci l’impressione che non avrebbe potuto non essere scritto”. Tale è senza ombra di dubbio il romanzo di Daniele Sannipoli, al quale non si può che augurare un radioso futuro letterario: in un panorama così asfittico, depresso e provinciale come quello della narrativa italiana contemporanea, credo che ci sia davvero bisogno di un autore di talento come lui.

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Giulio grazie, grazie, grazie! Mi fa davvero piacere questo tuo commento, in particolare l'osservazione che fai sul processo di condensazione e filtraggio che distilla le pagine e che mi è parso indispensabile e per lo stile che hai definito "elegante", ma non "estetizzante". Ecco sì, descrive molto bene parte di quello che volevo. E ovviamente hai trovato anche alcuni dei miei numi tutelari, Camus, Cioran, Kafka e Dostoevskij sono sempre con me. Grazie ancora :)
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