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Il nome della rosa
 
Il nome della rosa 2020-04-13 09:15:11 siti
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
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Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
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siti Opinione inserita da siti    13 Aprile, 2020
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Al di là del nulla … un romanzo.

Il lascito maggiore di questa lettura alla mia persona è saggiamente contenuto nella citazione del mistico Tommaso da Kempis che chiosa la prefazione al romanzo datata 5 gennaio 1980: “In omnibus requiem quaesivi, et nusquam inveni nisi in angulo cum libro”. Paradossale, quasi, nella finitezza, nella piccolezza, che mi distingue come lettrice: rifuggire, se posso, da quelle letture che è dato per certo essere impegnative perché, è sicuro , lasciano con la netta consapevolezza di non aver capito tutto, di non essere all’altezza culturale di poterle cogliere nella loro totalità. Ma, se è vero, che un’opera letteraria, direbbe il dotto magister, è per sua natura un’opera aperta, sia allora di consolazione sapere che anche questa non può sottrarsi all’esposizione del giudizio del lettore, al suo gusto personale e anche ai suoi limiti culturali. Buona pace per Eco, il quale, per divertirsi così con il suo lettore, ha richiamato nella sua nassa pesci grandi e piccoli, per cui la sua opera è stata fatta oggetto di infinito studio, di competizione culturale, impari, con un uomo dalla conoscenza enciclopedica, dalla memoria prodigiosa, dalla consapevolezza teorica che assomma discipline le più diverse, il tutto gestito dalla sapiente regia di uno studioso di semiotica. Non solo, è nota a tutti la trasposizione cinematografica che come sempre, a mio avviso, tradisce l’opera scritta: tutte le categorie narratologiche spazzate via da tecniche cinematografiche che, se da un lato materializzano l’iconografia dei luoghi ( non bastasse la mia immaginazione di lettore così abilmente supportata dai diversi strumenti messi in campo da Eco) dall’altro azzerano la gestione del tempo narrativo scandito da Eco a rendere una necessaria e ardua coincidenza tra tempo della narrazione e tempo della storia. Azzerati inoltre i meccanismi diluiti del giallo, il lento procedere dello svelamento degli indizi, la messa in gioco dell’abilità del lettore. Potrei continuare ancora su questa falsa riga ma in realtà mi preme molto di più chiarire e chiarirmi perché ancora una volta un’opera di difficile lettura, inarrivabile nella sua complessità, mi faccia al contempo sentire così piccola e insieme così “in pace”. Seguirebbe una lunga riflessione sull’atto della lettura, sul suo significato, sull’essere lettori mentre mi limiterò dopo questa inutile introduzione a dare una mia personale sensazione di lettura.
Gradevole fin dall’inizio è stato il richiamo al genere del romanzo storico, la strizzatina d’occhio dell’ironico Eco alla trovata, immancabile, del manoscritto, il gusto per il topos letterario, il divertimento intellettuale a richiamare moduli narrativi noti. Consolatorie, fin da subito, quando già minacciosi comparivano i primi riferimenti culturali per me sconosciuti, subdorati ma non indagati al fine di non perdere continuità nella lettura, l’alternasi delle sequenze puramente narrative e la tecnica di presentazione dei personaggi. Irresistibile già nell’ora terza del primo giorno il richiamo alla semiotica, al valore dei segni, alla loro decifrabilità e alla loro comunicabilità. E lì, volente o nolente, la trappola ha funzionato e ancora prima di imbattermi nelle successive, naturalmente solo in quelle che il mio limite culturale rendeva intellegibili, ho iniziato a rincorrere gli indizi: non i fatti contingenti alla soluzione del giallo ma i segnali di un disegno altro, quasi di un messaggio subliminale consegnato a quest’opera. E invece, bravissimo Eco, mi sono ritrovata ad attraversare le diverse fasi di appagamento che sono necessari al lettore: la progressione della trama, il senso della scoperta, la meraviglia che l’accompagna, l’ammirazione per la mimesi stilistica e per la ricostruzione storica. E poi il climax continuo, la lotta tra il bene e il male, il conforto delle vecchie care antitesi e perché no il dirottamento verso una sorta di immedesimazione e di edificante protagonismo, la catarsi finale, senza né vinti né vincitori ma solo lo sprofondare nell’assoluto trionfo del caso e nell’annullamento di ogni categoria, la pace dell’assenza di qualsiasi segno …”stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”.

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Commenti

10 risultati - visualizzati 1 - 10
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Ciao Laura, sono molto legato a questo libro per tanti motivi. Intanto Umberto Eco è stato lo scrittore che mi ha accompagnato nella mia fase di scrittore "maturo" e in particolare dopo aver letto questo romanzo mi sono definitivamente appassionato alla lettura. C'è qualcosa di miracoloso, secondo me, nella grazia con cui riesce a conciliare elementi così irragionevoli in una narrazione gialla: i riferimenti culturali, la lentezza di certe descrizioni, l'apparente divagazione di certi dialoghi; eppure dopo averlo chiuso, si sente che il motore del testo funziona benissimo e anzi ti lascia ammirato per la complessità inesauribile che lo permea. A me sono piaciute, anche forse più del romanzo, le postille finali: si entra davvero nel laboratorio di Eco, le scelte linguistiche, la scelta dei tempi, il respiro della narrazione, delle frasi, l'attenzione per la punteggiatura, l'attenzione per gli spazi in cui si muovono i personaggi, per la plausibilità di ogni scena o ancora la curiosa storia di come è nato il titolo. Ne rendi bene la progressiva scoperta e le sensazioni che inseguono progressivamente il lettore. A distanza di tempo riconosco quanto del suo modo di vedere la letteratura e la scrittura sia anche il mio modo di farlo. I primi maestri non si dimenticano mai, anche se andiamo oltre.

(Scusa ma mi emoziono sempre quando leggo recensioni a questo romanzo ;)
Ottima recensione, Laura, che mette in evidenza il particolarissimo carattere del romanzo, che attira il lettore con la sua trama gialla alla "Sherlock Holmes" e contemporaneamente lo fa sentire inadeguato di fronte alla sua mole di riferimenti culturali e alla sua complessa costruzione filosofica. Eco è stato da molti ascritto alla corrente postmodernista, ma secondo me "Il nome della rosa", nonostante il suo ricorrere alle più svariate tecniche narrative, non è un romanzo postmodernista, se non altro perchè Guglielmo da Baskerville, la cui filosofia è che "è difficile accettare l’idea che non vi può essere un ordine nell’universo", è lontanissimo dal fascino per l'entropia e per la teoria del caos (o del caso) che caratterizza la maggior parte dei personaggi delle maggiori opere postmoderniste. In ogni caso, è uno dei non molti romanzi italiani che può permettersi il lusso di non essere rinchiuso nell'angusto provincialismo della nostra letteratura ma reggere il confronto con i grandi capolavori della letteratura del Novecento.
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siti
13 Aprile, 2020
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Ciao Daniele, che passione!
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siti
13 Aprile, 2020
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Sì Giulio, stessa perplessità sul postmodernismo al quale viene ascritto un romanzo che è prettamente storico ma anche officina letteraria ( un po' alla Calvino de "Una sera d'inverno un viaggiatore" anche se con intenti diversi ). Per il caos direi però che il maturo Adso gli si avvicini però... Inoltre, sì bello il respiro ampio del romanzo ma parli con una persona che adora quell'angusto provincialismo che tale non mi sembra se penso a un Bassani, a un Dessì , a un Tomizza, a un Rigoni Stern e a tanti altri grandi provinciali che noi italiani rendiamo tali. Ferrara e Combray pensa, per me , si equivalgono.
Una recensione molto sentita Laura. Del resto è impossibile non appassionarsi ad un'opera di questo genere. Vedrai che continuerà a darti emozioni anche a diversi anni di distanza dalla lettura.
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siti
14 Aprile, 2020
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Penso proprio di sì, grazie Enrico.
Ottima recensione, come sempre, cara Laura!
Un romanzo che rimane insuperabile!
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siti
15 Aprile, 2020
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Ciao cara omonima!
Niente da aggiungere. Chapeau
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siti
21 Aprile, 2020
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Merci !
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