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Spatriati
 
Spatriati 2022-09-20 16:27:55 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    20 Settembre, 2022
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"...eravamo due solitudini perfette, due monadi".

Indubbiamente si resta affascinati dalla scrittura di Mario Desiati, recente vincitore del Premio Strega con questo romanzo. Giornalista, autore di saggi, poesie, presente in antologie e vincitore di altri premi letterari, Desiati è pugliese, di Locorotondo, ma vive a Martina Franca, città che vive e respira nei suoi romanzi, lasciando trasparire il grande amore dello scrittore per la sua terra. Il suo romanzo, a mio parere, è un suggestivo inno d’amore per i luoghi in cui è nato, ora malinconico e dolente, pieno di rimpianti, ora ammirato e profondo, ricco di citazioni e di ricordi. E’ quindi un romanzo d’amore, amore per una terra piena di contraddizioni e di bellezza, non solo, ma anche amore per la libertà, soprattutto la libertà di amare.
Ce lo spiega la storia narrata, una vicenda apparentemente lineare, semplice, ma irta di incomprensioni tra i due principali protagonisti, diversi e nello stesso tempo simili, due poli che si attraggono e si respingono, ognuno con le sue pulsioni, ma sereni solo quando si cercano, si respirano l’un l’altro, trovando nel loro rapporto una serenità altrove persa o dimenticata.
Sono giovani, si chiamano Claudia e Francesco. Vivono a Martina Franca: Claudia è estroversa, ribelle, sogna un futuro diverso, forse lontano dalla terra d’origine ove cercare e provare nuove esperienze, Francesco è più timido, schivo, legato al mondo parrocchiale della sua città, alle funzioni religiose ed a personaggi dai comportamenti a volte discutibili. La rivelazione che Claudia gli fa in modo provocatorio sulla relazione tra il padre di lei, primario ospedaliero, e la madre di lui, infermiera, è un fulmine a ciel sereno che turba Francesco, e mina le sue sicurezze. I due giovani si avvicinano, si frequentano, un legame tenace di amicizia li spinge a stare sempre insieme: passano l’esame di maturità, la frequentazione dell’Università sembra separarli, lei alla Bocconi di Milano, lui a Scienze Politiche a Bari. Lei, che ha già soggiornato a Londra, dopo la laurea si trasferisce più lontano, a Berlino, ove trova lavori saltuari, lui , nelle pause dei vari impieghi, la va a trovare, prima a Milano, poi a Berlino, dove vive con lei nuove esperienze in locali notturni estremi, ove ogni rapporto sessuale è permesso. Sembrano, e forse sono, due anime perse, alla disperata ricerca di un’identità che non trovano: lui sembra trovarla in un amico straniero con il quale stringe un forte rapporto affettivo, lei trova amici e amiche con cui divide l’appartamento e il letto, cercando un rapporto duraturo che possa dare un senso alla disperata ricerca di sé stessa e di una vita più serena, perché “non essere mai sé stessi per tutta la vita è un dolore”.
Trovano la pace solo quando sono insieme: lei provocatoria, lui più timido, ma l’affetto che li lega, condizionato forse dalla provenienza dalla stessa terra, è più forte di ogni altra passione. Sono due “spatriati”, come suggerisce il titolo del romanzo: cacciati dalla patria, secondo la Treccani, ma anche, secondo il dialetto martinese, disorientati, raminghi, storditi. Lontani dalla loro terra, Francesco e Claudia perdono le loro certezze, ma sanno nel contempo che solo guardando lontano possono ritrovarsi e accettarsi anche se “a Martina Franca i cieli hanno maledette unghie affilate e non si può andar via senza graffi”.
Alla fine si ritrovano a Martina Franca. Francesco cerca Claudia, inoltrandosi tra vigne e frutteti, lei sembra nascondersi, poi si incontrano, si scontrano, finiscono a terra, poi restano seduti all’ombra della pergola, leggendo poesie convinti segretamente che ogni verso sia stato scritto per loro. E Francesco, che è la voce narrante, termina così: “cantiamo canzoni e recitiamo versi più vecchi di noi, siamo fuori dal tempo e abbiamo l’illusione di essere salvi”. E’ solo l’illusione, di una effimera pace interiore, sembra volerci dire l’autore: l’importante è però cercare di essere sempre liberi di amare, non importa chi e come, e allontanarsi, come scrive la Ginzsburg in “Caro Michele”, “dalle cose che fanno piangere”.
La scrittura di Desiati, come dicevo all’inizio, è affascinante, ricca di riflessioni profonde e di riferimenti letterari, riguardanti soprattutto poeti e scrittori pugliesi, quali Raffaele Carrieri, Maria Corti, Rina Durante, Maria Marcone, Vittorio Bodini, quest’ultimo forse il più noto e amato, come afferma lo stesso Desiati: le loro opere sono citate qua e là nel racconto, assieme ad altri autori (la de Céspedes, Tondelli, Salinger, Scott Fitzgerald…), quasi ad affermare il potere salvifico della letteratura.. Numerosi sono anche i riferimenti musicali, classici e moderni, che, assieme a quelli letterari, sono minutamente descritti in una lunga nota alla fine del romanzo, intitolata, non a caso, “Note dallo scrittoio o stanza degli spiriti”, a conferma di una minuziosa e dettagliata ricerca non solo bibliografica.
Infine, vorrei citare una riflessione dell’autore che mi ha colpito: ”nelle famiglie non esistono segreti, ma solo dei patti dolorosi, a volte miserabili, a volte irrinunciabili, dei “non detti”. E nei “non detti” ci sono le verità profonde, le crisi, la lotta tra il bene e il male, l’origine delle relazioni e di tutti i traumi”. Ecco, forse anche questi “non detti” hanno spinto Claudia a fuggire lontano dalle sue origini, e Francesco ad inseguirla in cerca di un’agognata salvezza.


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Cesare, una bella ed esaustiva recensione.
Una valutazione in controtendenza dato che ho letto varie opinioni piuttosto negative ; ma in fondo il libro ha pur vinto lo Strega.
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