Gli sdraiati Gli sdraiati

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Virè Opinione inserita da Virè    07 Aprile, 2018
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Il difficile rapporto padre figlio

Ho preso in mano questo libro, seppur poco convinta, incuriosita dal successo che ha avuto; mi ci sono voluti due tentativi di lettura per portarlo a termine, nonostante sia alquanto breve.

Un monologo di un padre che cerca un punto di contatto con la generazione del figlio adolescente. L'autore inquadra alla perfezione usi e costumi dei giovanissimi di oggi, dei "millennials", dal disordine in cui vivono, allo scarso interesse per la vita che li circonda e a volte anche per il prossimo, dalla moda e dal voler indossare a tutti i costi il marchio di tendenza del momento, al vivere perennemente connessi, con cellulare, i pod, televisione e computer da adoperare contemporaneamente, con un fuso orario completamente diverso da quello del resto del mondo.

L'autore calca la mano di proposito, eccedendo, ma sicuramente inquadra alla perfezione una fascia di adolescenti di oggi, che rientra perfettamente in tutti questi stereotipi.

Quello che non mi ha convinta, nè la prima volta che ho preso in mano il libro, nè questa seconda è lo stile. L'autore parla per metafore, alcune indovinate perfettamente, ma  trascinate troppo per le lunghe, altre esagerate e a volte spropositate. In generale credo che lo stesso stile che può essere molto apprezzato in una rubrica su un quotidiano, possa invece risultare pesante ed annoiare all'interno di un libro, seppur di poche pagine, ancor più se monotematico come in questo caso.

Non vuole essere una storia, ma solo un insieme di considerazioni;personalmente mi sarebbero risultate più gradite in meno pagine, oppure tese ad arricchire di un racconto più complesso, ma prese così a sè stanti mi hanno lasciato qualche spunto di riflessione e poco più, risultando molto meno interessanti di quanto avrebbero potuto.

Immagino che tutto il successo che ha avuto questo libro, sia dovuto ad una fascia di pubblico, la stesso che legge Serra sui giornali, che si è immedesimata in lui per età e situazioni, ritrovando nelle sue parole la medesima distanza che incontra quotidianamente con i propri figli. I tempi ormai cambiano troppo in fretta, ma chissà se rileggendolo in futuro da madre di un adolescente non riesca ad apprezzarne meglio il contenuto.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    24 Mag, 2015
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La verità sta nel mezzo

Le cuffiette che sparano musica rap a tutto volume, le dita di una mano che reggono un lacero testo scolastico, quelle dell'altra impegnate a digitare mono o bisillabi di un improbabile italiano su uno smartphone, la TV a tutto volume sintonizzata su dozzinali programmi americani, il divano disseminato di cenere di sigarette e di wurstel crudi. È questa l'immagine che Michele Serra trasmette dei giovani contemporanei. Una generazione di "sdraiati" abulici e indolenti, persi dietro avanguardie tecnologiche e mode astruse, insensibili ai richiami, ai consigli, perfino ai più semplici e cordiali discorsi rivolti loro dagli adulti. Giovani che sembrano aver perso ogni contatto con la realtà, che passano più tempo in chat o sul web che nel mondo reale, che dormono fino all’ora di pranzo e non hanno la minima idea di cosa significhi vendemmiare il Nebbiolo sulle langhe, godersi lo spettacolo terribile di un temporale da una terrazza in riva al mare, gustarsi il piacere di una passeggiata in montagna tra silenzio e natura. Alla critica dell'autore nei confronti dei giovani si unisce comunque una forte autocritica verso se stesso e gli altri genitori che, come lui, si lamentano del comportamento dei propri figli ma poi permettono loro di fare ciò che vogliono, acconsentendo ad ogni loro capriccio (apparecchi tecnologici ultramoderni, costosi capi d’abbigliamento di discutibile gusto), permettendogli di uscire, mangiare e studiare disordinatamente, difendendoli sfacciatamente con discutibili giustificazioni davanti ai loro avvilenti risultati scolastici. A volte simpaticamente ironico, altre insopportabilmente saccente, Serra alterna spunti brillanti e originali a petulanti e scontati luoghi comuni, ora coinvolgendo il lettore e strappandogli un sorriso, ora annoiandolo e infastidendolo. Tra uno sbuffo e una risata, l’autore ci catapulta un po’ tra le pagine de La Grande Guerra Finale, fantomatico libro di dimensioni tolstojane che narra di una guerra spietata tra vecchi e giovani, un po’ nella sua personale battaglia con il figlio adolescente per convincerlo ad affrontare insieme un’amena passeggiata sul Colle della Nasca. Nell’atavica lotta generazionale tra genitori e figli, come sempre, non esiste un reale vincitore, né si può stabilire chi abbia torto e chi ragione perché, come spesso accade, la verità sta nel mezzo. “Siete arrivati in un mondo che ha già esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, arredato ogni casa, inventato e poi smontato ogni idea...e pretendere, in questo mondo usato, di sentirvi esclamare “che bello!”, di vedervi proseguire entusiasti lungo strade già consumate da milioni di passi, questo no, non ce lo volete – potete, dovete – concedere. Il poco che riuscite a rubare a un mondo già saccheggiato, ve lo tenete stretto. Non ce lo dite, “questo mi piace”, per paura che sia già piaciuto anche a noi. Che vi venga rubato anche quello.”

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Opinione inserita da manuelaagosto    07 Febbraio, 2015

Autorità o autorevolezza?

Premetto che conosco poco il mondo degli adolescenti se non per commenti di fratelli, colleghi e amici insegnanti. Il protagonista lo dipinge come un mondo di amebe digitali, isolate ciascuna nel suo mondo iperconnesso. Sembra quasi un ossimoro : ognuno solo ma connesso con il mondo. Qual è la loro realtà, ammesso che ne abbiano una? E’ fatta di scuola, studio, rapporti con amici e genitori, fatti che accadono intorno a loro, o piuttosto di tweet, mi piaci, whatsapp, una realtà virtuale che costruisce intorno a loro un mondo a sé, separato, una tribù con un suo linguaggio, delle sue abitudini e forme di comunicazione?
Sarà pure un mondo separato ma il marketing trova i canali giusti per raggiungerli: l’ultimo smartphone, la felpa che si trova solo a N.Y., le scarpe di cui non puoi proprio fare a meno e qualsiasi cosa crei in loro il desiderio di fare proprio perché tutti quelli della tribù ce l’ha.
Avranno sogni, desideri, che non siano meri beni di consumo, pulsioni sessuali?
Il protagonista guarda suo figlio come si guarda uno sconosciuto che per caso è tuo figlio, vive in casa tua, passa parte della sua giornata sdraiato sul divano in mutande, circondato dai suoi feticci tecnologici. Livello di comunicazione : zero.
Qui si apre una disamina di questo padre: accondiscendente, insicuro su ciò che è giusto fare o non fare, impegnato a cercare una forma di comunicazione con il figlio attraverso improbabili e goffi tentativi, preoccupato di non ricalcare vecchi stereotipi in voga tra i genitori ai suoi tempi. Il potere e l’autorità li vede come il diavolo l’acqua santa: lui ha fatto le barricate. E’ un borghese di sinistra, così si definisce, anche se non so se l’espressione abbia ancora un senso. Però un padre, per di più se di sinistra, non dovrebbe confondere l’autorità con l’autorevolezza, la possibilità di comunicare con il proprio figlio e di avere una qualsiasi forma di rapporto civile dalla netta distinzione dei ruoli: il padre fa il padre e il figlio fa il figlio. A me pare che il protagonista sia confuso e insicuro, miri a un rapporto amicale con il figlio che presumo non crei i presupposti indispensabili per un sano e concreto rapporto tra padre e figlio.
La indiscutibile ironia dell’autore rende il racconto piacevole ma non lo innalza a qualcosa di più di un pamphlet sugli eterni interrogativi del rapporto fra genitori e figli.

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Jane Marple Opinione inserita da Jane Marple    12 Aprile, 2014
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Gli sdraiati: figli o padri?

Abbiamo detto addio ai figli in piedi dietro gli striscioni, abbiamo salutato quelli seduti davanti alla TV a guardare telefilm americani, abbiamo congedato quelli semicoricati con i primi giochi arcade tascabili, per fare spazio agli ultimi discendenti della specie filiale: gli sdraiati. Occupanti abusivi fino a data da definirsi del divano di casa, gli sdraiati trascorrono la loro esistenza in posizione supina, incuranti del caos attorno, assorbiti dalle multiple attività virtuali e dai rari impulsi del mondo reale. Questi esseri, a metà strada tra l’umano e l’alieno, mutanti nell’aspetto come nell’indole, non dichiarano guerra ai padri – come i loro progenitori meno remoti – ma si trincerano dietro muri piastrellati di silenzio e carenti di meraviglia.
A guardarli da lontano, loro, l’esercito dei padri smarriti, schiacciati dalla negazione delle colpe e dal soddisfacimento di ogni richiesta di quel volto un tempo familiare e troppo presto diventato estraneo. Attendono intrepidi lo scontro generazionale, lo spargimento di lacrime, urla e punizioni, per poter finalmente andare incontro al loro bambino smarrito. Pur seguendo ogni traccia del nemico, disseminata tra la cucina e il bagno – piatti sporchi, cicche spente, asciugamani zuppi, led accesi, montagne di indumenti maleodoranti –, i padri non dichiarano alcuna guerra ma, ammutinatisi, depongono le armi insieme al loro ruolo di guida e si travestono da amici. È la sete di giustizia a muoverli, ma nel vendicarsi dei figli che furono finiscono per dimenticarsi dei padri che sono.
Michele Serra con “Gli Sdraiati” attua un inatteso ribaltamento di prospettiva perché ad essere posti sotto esame non sono, come potrebbe ingannevolmente suggerire il titolo, quella folta schiera di nuove leve in formato orizzontale, bensì la vecchia guardia, ritta in piedi, che oggi, nella conservazione dell’eterna giovinezza, sembra aver perso spessore. Lo sguardo spietato sulla famiglia moderna si fa ironico sino ad auspicare l’avvento de «La Grande Guerra Finale» e con essa la metaforica ascesa al Colle della Nasca come risarcimento di quanto è stato ingiustamente sottratto a coloro che, nati in ritardo, hanno ereditato il già visto, il già detto, il già vissuto. La fluidità della narrazione – bellissimi sono gli espedienti in climax crescente con i quali il narratore in prima persona cerca di convincere il figlio a compiere insieme l’escursione in montagna – e le divertenti descrizioni dei momenti di vita familiare – come l’incontro con i professori a scuola, la coda al centro commerciale per l’acquisto della felpa di ultimo grido o il dialogo con il tatuatore – forniscono al lettore momenti di riflessione non privi di leggerezza.

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Consigliato a chi è stato giovane e l’ha dimenticato, a chi è padre e non l’ha capito
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merio955 Opinione inserita da merio955    25 Febbraio, 2014
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eterna guerra tra vecchi e giovani

"Gli sdraiati" è un piccolo libro del giornalista Michele Serra, ho acquistato questo libro nel periodo natalizio e mi è stato caldamente consigliato da mio padre, ciò mi ha incuriosito, ero molto interessato a leggerlo, conoscendo l’autore per i suoi articoli. In quest'opera si sottolinea con uno stile ironico e impeccabile, il distacco e le diversità delle generazioni passate e future.
Lo fa attraverso aneddoti personali e in alcuni capitoli dedicati ad una futura guerra tra vecchi e giovani. In questi aneddoti Serra narra le sue esperienze di vita con il figlio adolescente, in una lettura iniziale fanno sorridere, ma in una più ponderata riflessione mettono in risalto tante ipocrisie e incomprensioni che non potranno mai essere completamente cicatrizzate poiché tra vecchi e giovani c'erano, ci sono e ci saranno sempre incomprensioni. L'unica pecca è che spesso eccede nel lessico e nell'allungamento del romanzo e diventa tedioso in alcuni punti.
Secondo me l’autore non vuole far risaltare nessuna generazione meglio dell’altra, non è un dualismo ma la medesima cosa, vuole sottolineare l’incomunicabilità che negli ultimi anni si sta acuendo, e il libro genera una riflessione secondo me condivisibile.
Penso che quest’ opera può essere meglio compresa da chi è maturato abbastanza da vedere indietro, avendo diciotto anni è fisiologico che non posso assaporare in pieno il libro come un uomo, ma è un eccellente spunto di riflessione. Forse mio padre si è rivisto in uno specchio…speriamo di no!

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kiko Opinione inserita da kiko    23 Febbraio, 2014
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La mancanza di dialogo tra generazioni

Un breve romanzo, critico e graffiante verso una generazione di padri che si è assunta il ruolo della genitorialità e che si trova a vivere piena presa di coscienza dell'impotenza di poterlo svolgere, davanti ad un figlio che teme, che cerca di capire, ma con cui non riesce a comunicare;
ma critico anche verso una generazione di giovani che oggi vive sdraiata , racchiusa in oziose e superficiali abitudini.
Un libro che offre spunti di riflessione, alcuni passaggi divertono e commuovono, ma contiene molti luoghi comuni e poco approfondito invece sul piano delle emozioni.

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veronic Opinione inserita da veronic    19 Febbraio, 2014
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Gli sdraiati o Gli schiacciati?

Una gran penna, probabilmente grande quanto l’ego del protagonista descritto.

Un padre, che dedica un libro ad una generazione, partendo da suo figlio, senza proferirne però, neppure un solo vero volto di questa generazione.
Giovani affogati da costatazioni superficiali, volti di soli uomini.
Le figure femminili compaiono solo come esempi di ombre degli uomini, fidanzate del figlio o mogli degli amici, o vaghe discendenti a cui lasciare una patetica lettera di ricordo con suggellato uno dei più maschilisti antichi consigli: Fai figli .
Il figlio, preso per quanto descritto, è un'ameba, che nel suo silenzio sfiora la maleducazione, però, dietro la fanfara del padre non puoi che averne pena. Lentamente riconsideri le descrizioni, come un eccessiva distorsione di un comune giovane, visto dagli occhi di un comune padre, che però ha la pretesa di sentirsi pure figo.

Mi ferisce questo libro, come un mattone culturale ingombrante, sento il peso di una generazioni di questi finti padri che incolpano i loro figli, fino a castrarli, ammutolirli, fino a fargli scalare una montagna per dimostrargli il loro immeritato rispetto, e rendersi conto solo alla vetta di aver sprecato fiato, che non solo tuo padre ti aveva perso di vista, ma che non credeva neppure che ce l’avresti fatta.
Padri che non credono minimamente nei loro figli, perché non ricalcano le loro sagome, perché non sanno stare a loro fianco con entusiasmo. Padri, che denigrano con finta ironia i propri figli, rimarcando le loro mancanze, mentre fanno delle loro, un ilare conversare borghese da salotto, un virtuosismo letterario, uno spunto grottesco per un innovativo romanzo, o peggio, un motivo di vittimismo, ma mai una vera colpa.

Lo rinominerei, gli schiacciati,
perché questa è la fine della generazione descritta, che rimane dietro l’ombra dell’esibizionismo di questi uomini. Uomini che non sanno fare i padri, e danno il peso ai loro figli perché nella loro irriconoscente vita non gli danno la forza di sentirsi tali.

Mi sfugge fin dove volesse arrivare la provocazione dell’autore, quale fosse il vero esperimento sociologico. Il marcio tra le righe è così ingombrante, e io scettica, più su la sua generazione che su la mia, credo di aver visto più marcio di quanto sia stato previsto dall'autore.

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consigliato a chi ha una buona lettura cinica.
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FabCat Opinione inserita da FabCat    26 Gennaio, 2014
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Agli sdraiati un divano glielo hanno pur fornito

Un monologo che in poche pagine descrive una realtà contemporanea con la leggerezza dell’ironia e la solidità di una riflessione sociologica. Il protagonista racconta la propria frustrazione di genitore davanti a un figlio pigro, sporco, disordinato, sprecone, narcisista, sprovveduto… insomma questo giovane esemplare di un allarmante stadio evolutivo a cui sembra essere giunto il genere umano. Ma contemporaneamente compie una necessaria autocritica, consapevole che si tratti del risultato di una educazione deficitaria, che per essere esercitata al meglio richiede al genitore pazienza, autorevolezza, esemplarità… «troppe virtù per chi nel frattempo cerca di continuare a vivere.»

La comicità esilarante di certi episodi, come il colloquio con l’insegnante, l’avventura della vendemmia, o il negozio alla moda, recano un risvolto amaro, nostalgico o polemico: «Che probabilità di successo ha la trasformazione in atto degli esseri umani in Scemi Totali?».
Il racconto parallelo della “Grande Guerra Finale”, con uno stile da action movie, allarga il conflitto genitore-figlio su scala generazionale, immaginando una futura tragicomica guerra tra vecchi e giovani.

Una domanda sembra comunque ripetersi: è più sbagliata la natura selvaggia, debosciata, apatica dello sdraiato o la superficialità, l’ipocrisia, la pigrizia del genitore fornitore del divano? Invettive si rivolgono in egual misura a entrambe le parti, e si articolano su diversi livelli prestandosi per far superare una prima lettura di puro e irresistibile intrattenimento. Senza rivelare il finale, che ad alcuni è sembrato banale, credo che forse, mettendo insieme i pezzi e restando sul piano della metafora, non poteva essere diverso di così.

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Domitilla Ganci Opinione inserita da Domitilla Ganci    25 Gennaio, 2014
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New generation

Titolo e copertina di questo libro incuriosiscono e attraggono.
Per me il resto lo ha fatto un’intervista radiofonica all’ autore, ascoltata qualche settimana fa, che mi ha spinto a leggerlo al più presto.
Il libro, nelle intenzioni, vuol essere una riflessione sulle nuove generazioni e racchiudere una sintesi su una serie di osservazioni relative all’ evoluzione dei rapporti padre-figlio negli ultimi anni.
Mi aspettavo un lavoro lieve e ironico, dove il sorriso, magari anche sarcastico, prevalesse sulle considerazioni sociologiche, invece, fin dalle prime pagine, il romanzo assume toni malinconici e quasi dolenti.
Le riflessioni dello scrittore, prima che sulle nuove generazioni, mi sembra che vertano sulla propria, in una condanna senza appello di un sogno esagerato e velleitario, che lungi dal realizzare una società nuova, si è arenato, nel corso degli anni, nella distruzione del mito del padre, rinunciando alla fase della costruzione di un'alternativa credibile, rimasta per sempre nei sogni indefiniti di gioventù . La categoria umana cui Serra si riferisce, è piegata su se stessa, langue (essa sì…) in una infinita adolescenza, avvizzita, imputridita, dalla quale si affaccia spaventata a verificare il prodotto della propria immaturità e accorgendosi di aver da un pezzo smarrito la strada, realizza con un moto di terrore di aver infine abdicato rispetto alle premesse, restando assorta nella contemplazione della propria incapacità, sorpresa di non aver così facilmente come pensava, sovvertito la realtà. Il mondo che osserva dalla posizione defilata che si è ricavata, appare così diverso dalle aspettative e così poco comprensibile, da risultare difficile credere che si sia contribuito alla sua determinazione.
Tutto sommato l’osservazione della nuova generazione, quella degli “sdraiati”, produce considerazioni abbastanza indulgenti, Serra li assolve questi ragazzi nuovi, così persi in un mondo che è un guscio tecnologico nel quale galleggiano in una sorta di sospensione spazio-temporale, privi di responsabilità, di obiettivi, di sogni (anche se non credo che tutti concordino con questo ritratto). Certo, i modelli non sono stati dei migliori, quindi…
I punti del romanzo che mi sono sembrati meno interessanti sono quelli in cui Serra racconta tratti del libro che immagina di scrivere sulla guerra globale, che in un tempo non lontano coinvolgerà vecchi e giovani in uno scontro epocale e sanguinoso “La grande guerra finale”(speriamo che non lo scriva sul serio!). Immagini surreali e inquietanti su cui l’autore indugia, a scapito dei passaggi che riguardano le descrizioni dello stile di vita di suo figlio diciannovenne e della sua “tribù”, ad un tempo divertenti e paradossali, dove non mancano momenti più malinconici in cui il distacco tra due dimensioni, due realtà totalmente diverse, diviene per il padre dolore e rammarico, ancora più bruciante laddove il figlio sembra ignorare totalmente i tormenti paterni.
In tutto si inserisce come un mantra, lungo il percorso del testo, l’ invito ora delicato, ora pressante, ora imperioso, affinché il ragazzo segua suo padre in una passeggiata in montagna per raggiungere il Colle della Nasca, località impervia e quasi inaccessibile. Nell’ impossibilità di trovare situazioni consone all’ aprirsi di un dialogo tra i due, questo sembra essere l’ unico escamotage che il padre trova per tentare un avvicinamento al figlio. E’ convinto che con la complicità del paesaggio, della natura possente, scuoterà il ragazzo dal suo torpore, insieme giungeranno a medesime riflessioni, a trovare nella fatica, nella contemplazione del panorama un momento di condivisione.
Le ultime pagine sono davvero belle (anche se non prive di retorica in alcuni passaggi). L’intricato percorso del padre all’ interno delle proprie esitazioni, dei dubbi irrisolvibili sul senso del proprio ruolo e la leggerezza del figlio, si incontreranno in un momento atteso e cercato, in cui forse davvero sarà possibile trovare un nesso tra due mondi al confine, l’uno epigono di una generazione naufragata nelle illusioni, l’altro incerto e perplesso, privo di ancoraggi e riferimenti, condannato a percorrere da solo la scalata verso una realtà inedita e sorprendente, forse totalmente dominata dalla tecnica.

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joshua65 Opinione inserita da joshua65    12 Gennaio, 2014
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Generazioni di fenomeni

“Ma dove ca**o sei? Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi mai.”

“Gli sdraiati” era sotto l’albero per me. Padre di adolescente, genitore distratto e confuso, sicuramente incapace di comprendere il proprio figlio, anche lui, come il protagonista, in posizione perennemente orizzontale.

Michele Serra, il perfetto tramite per farmi capire le difficoltà di essere padre che vuole fare il padre. Io, cresciuto alle fine delle grandi contestazioni, il tramonto degli anni di piombo, i Duran Duran e gli U2, e diventato adulto mentre crollava la prima repubblica, non potevo ricevere regalo migliore.

Lo pensavo leggendo la terza di copertina, sorridente, un sorriso compiaciuto, di chi si sente già appagato alla sola vista del condizionatore, ancor prima di averlo acceso.

E invece dopo qualche pagina ho capito subito di essermi sbagliato, la penna graffiante di Serra, caustica, incisiva, appare subito spuntata. Troppo autocompiacimento, Serra scrive specchiandosi, come Narciso. E fallisce il primo bersaglio.

Intendiamoci, l’autore è un grande giornalista, e non ha certo bisogno che lo dica io. Scrive per il teatro e la televisione, e ha trovato pure l’argomento giusto, il difficile e spesso impossibile, anzi praticamente inesistente, rapporto tra padre e figlio, e il tentativo (disperato? tenero? lucido? tragicomico?) di costruirlo. Ma un libro miei cari è un’altra cosa, qui siamo piuttosto di fronte ad un eccellente articolo pieno di lucide e fulminanti riflessioni, prossime agli aforismi, poi allungato, diciamo pure annacquato, da diverse digressioni, alcune un po’ troppo macchinose, la Grande Guerra Finale e il capitolo sulle felpe Polan&Doompy su tutte.

Altro bersaglio mancato, anche se devo ammettere che non ho capito se Serra lo fa apposta, è la figura del padre che per tutto il romanzo si affanna per stabilire un contatto con il figlio sapendo già di non poter comprendere, ma solo di volere bene incondizionatamente.

In questo tentativo, che poi è il lungo monologo che ci accompagna per poco più di cento pagine, si chiarisce soltanto l’accorata rassegnazione del padre, assoluto protagonista, ma non approfondisce, come secondo me si dovrebbe, la figura del figlio e il libro si dirige in questa lunga corsa in solitario verso un finale, che ahimè odora tanto, lo so la parola che sto per dire è un po’ bruttina, di retorica.

In realtà lo “sdraiato” è novanta gradi avanti rispetto all’ hombre vertical, sa dominare la tecnologia, naviga a vele spiegate su internet, legge, ascolta musica, guarda la tv, chatta, gioca, tutto contemporaneamente. I nostri figli ci surclassano con il loro approccio in parallelo, e noi, abituati a fare una cosa alla volta - non sappiamo iniziarne un’altra se prima non abbiamo finito quello che stiamo facendo - soccombiamo.

Per sopravvivere, non ci resta che provare ad avere con loro un dialogo continuo, a volte scomposto, rumoroso, quasi fuori tempo massimo, e non solo lungo la linea del traguardo come sembra suggerirci il buon Serra.

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drysdale Opinione inserita da drysdale    09 Gennaio, 2014
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La foto di una generazione?

La foto di una generazione?

Per comprendere il senso del titolo del libro e farsi un’immediata idea del suo contenuto sarebbe sufficiente riportare questo suo passo (un padre sta raccontando il proprio figlio). “Eri sdraiato sul divano, dentro un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole. […]. Sopra la pancia tenevi appoggiato il computer acceso. Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un wurstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. […] Non essendo quadrumane , non eri in grado di utilizzare i piedi per altre connessioni; ma si capiva che le tue enormi estremità, abbandonate sul bracciolo, erano un evidente banco di prova per un tuo coetaneo californiano che troverà il modo di trasformare i tuoi alluci in antenne, diventando lui miliardario in poche settimane, e tu uno dei suoi milioni di cavie solventi”.
Il romanzo è una sorta di diario di un padre divorziato alle prese con il difficile compito di gestire il rapporto con il figlio diciassettenne. Con riferimento a quest’ultimo, vengono descritte, con analisi caratteriale e ironia tipiche di Serra, le problematiche proprie di una generazione sulla quale, peraltro, si possono formulare, a mio avviso, solo ipotesi circa l’origine, ma non la conclusione. Credo, al riguardo, che tra il diciassettenne attuale e quello di venti anni fa non siano rinvenibili esagerate differenze, se non quelle prodotte dall’esplosione tecnologica di questo ultimo periodo, con ciò che essa ha comportato negli usi e costumi di tutti, ma in particolare - per gli effetti più che altro voluttuari - dei giovani. Se il protagonista, come avviene nel racconto, avesse cercato di far partecipare venti anni fa il figlio diciassettenne alla nobile attività della vendemmia, con i suoi orari e i suoi ritmi, avrebbe riscontrato un analogo senso di (non)partecipazione. Forse il figlio non se ne sarebbe rimasto a letto fino all’ora del pranzo; sicuramente si sarebbe dovuto accontentare della musica prodotta da un modesto lettore di cassette e non avrebbe potuto smanettare uno smartphone; assai difficilmente, in ogni caso, avrebbe fatto molto più che sedersi all’ombra di un albero secolare, fumando una sigaretta e a discettando col cugino o l’amico di turno. Forse un’altra differenza potrebbe essere rappresentata dall’oggetto della conversazione: sarà un’idea mia, ma il diciassettenne di venti anni fa aveva un maggiore impegno culturale. Comunque sia, tanto allora quanto adesso nessuno di loro si sarebbe fatto irretire dal progetto campagnolo del genitore.
Il problema è che la generazione degli “sdraiati” – colpa anche delle problematiche occupazionali che stanno aggredendo specialmente i giovani – si sta allungando e, allo stato, non se ne vede la fine. Certe descrizioni che Serra dedica al modo d’essere e di atteggiarsi del figlio diciassettenne e degli atri membri della sua “tribù” ben potrebbero adattarsi a soggetti di età nettamente superiore.
Lo smanettamento, stravaccati su un letto o su un divano (ma anche a tavola), di smartphone e pc (o tablet), utilizzati più che altro per la comunicazione attraverso totem ormai universali quali Facebook e What’s up (per citarne un paio), magari con gli auricolari dell’Ipod a tutto volume, accomuna giovani di età ben diversa.
Anche la massificazione dei consumi nel settore dell’abbigliamento, con propria identificazione in pochi marchi, spesso di gusto e qualità piuttosto discutibili, è caratteristica che non trova pause temporali e che affratella soggetti anche con dieci e più anni di differenza.
In questo romanzo Serra dà prova, ancora una volta, del suo talento poliedrico. Chi lo segue da sempre conosce bene le sue capacità di destreggiarsi egregiamente in ogni campo. Potrebbe descrivere e commentare, con la giusta competenza e senso dell’ironia, avvenimenti di ogni genere.
Nel testo in commento, assolutamente esilaranti sono, tra le altre, le pagine nelle quali descrive le atmosfere ridicole e la tipologia di utenza del negozio trendy Polan & Doomphy. Un po’ stiracchiata, per contro, la parte dedicata dal protagonista ad un proprio romanzo in fieri, “La Grande Guerra Finale”, che egli ipotizza come inevitabile, in un giorno futuro, tra vecchi e giovani.
Lettura, nel complesso, ovviamente consigliata.

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a3f2 Opinione inserita da a3f2    04 Gennaio, 2014
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AFFRESCO PERFETTO

Michele Serra racconta in modo magistrale il rapporto tra un padre ed il figlio adolescente, costruendo intorno a vicende familiari un affresco del rapporto tra generazioni diverse in un mondo che corre in fretta e intersecandolo con riflessioni e fantasie sullo 'scontro' padri/figli.
Consigliato vivamente a chi ha un figlio adolescente ci troverà dentro sicuramente immagini e fatti già vissuti.
Scritto con stile asciutto e molto efficace, si legge in un attimo.

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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    22 Novembre, 2013
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Grande Guerra finale del signor Brenno

Gli sdraiati è soprattutto una riflessione , spesso ironica, sul rapporto padre e figlio adolescente. Argomento quanto mai attuale visto che padri e figli ieri non si parlavano perchè la società di un tempo imponeva ruoli ai padri e ai figli che andavano rigorosamente rispettati, ci si dava del voi, si mangiava in tavoli separati: di qua gli adulti , di là i bambini. Oggi che tabù, usi e costumi del secolo scorso sono finiti nella differenziata, i padri e i figli continuano a non comunicare, anzi in molti casi hanno imparato ad ignorarsi. Il protagonista del romanzo cerca in tutti i modi di convincere il figlio adolescente sdraiato sul letto, con auricolari nelle orecchie,libro di chimica sotto il cuscino, piatto sporco in un angolo, TV sintonizzata sui Simpson,PC collegato tanto per consumare energia elettrica (l'Enel ringrazia), e calzini appallottolati in ogni dove, ad abbandonare il suo mondo orizzontale per quello verticale. Verticale? In che senso?
Beh nel senso più stupido e orribile che può venire in mente ad un padre cinquantenne: una bella scarpinata su per i monti Erti, nudi, tremendi, inabitati, come li definì Manzoni,quelli della Val di Susa fino al Colle della Nasca e in questo posto ameno lasciarsi rapire dalle distese immaginifiche dell'azzurro cielo."Ma va a rompere i cabbasisi ad un altro, tu e ste fottute pietre!"
Sì , c'è qualcosa che non va tra vecchi e giovani, Michele Serra paventa addirittura una futura Guerra Mondiale fra le due generazioni! "Gli sdraiati" è una gran bella riflessione sul conflitto generazionale.Al contrario di altri libri sull'argomento, mi vengono in mente i vari Lettera al figlio...lettera al padre e via così, lungo il festival dell'ovvio e del buonismo a tutti i costi , il testo di Michele Serra non annoia mai, le osservazioni sono acute e ironiche , alla fine una mezza idea di fare del sano trekking ti fa saltare su da quel maledettissimo divano dove tutti noi ci sdraiamo.

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