Il deserto dei tartari Il deserto dei tartari

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michele87 Opinione inserita da michele87    22 Marzo, 2022
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Un'attesa infinita che fa perdere tutto.

Giovanni Drogo viene nominato ufficiale ed assegnato a una fortezza remota, avamposto di una guerra che appare imminente. Ogni giorno trascorre nell’attesa del nemico, con la consapevolezza che prima o poi egli si paleserà e la battaglia, con la conseguente gloria per i vincitori, sarà inevitabile. L’entusiasmo giovanile del giovane Drogo illuso dalla speranza di una carriera militare eccezionale lascia spazio pagina dopo pagina alla presa d’atto che il protagonista ha sacrificato gli anni migliori della propria vita nell’attesa di qualcosa che probabilmente non accadrà mai. Questo libro è una metafora della vita che spesso ci porta a credere in obiettivi superflui, figli di situazioni che verosimilmente non si concretizzeranno. Rinunciare alle gioie che la vita ci può offrire non cogliendo le opportunità che ci si presentano, in virtù dell’inseguimento di obiettivi evanescenti e fini a loro stessi, è quanto di più sbagliato si possa fare.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    30 Settembre, 2021
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Aspetta e spera

Romanzo dalla prosa elegante e dall'incedere compassato in cui Dino Buzzati, raccontando la vita del suo personaggio, esorta alla riflessione il lettore. Drogo rappresenta l'impossibilità di sfuggire alla morsa del tempo, del come ogni esistenza sia intrappolata nella ragnatela dello stesso. Drogo è la folle ossessione, l'illusoria speranza del poter riempire le pagine della propria vita (in questo caso la landa desertica è palese metafora, come fosse una pagina tutta da scrivere) rendendosi conto troppo tardi di quanto il tempo passi veloce lasciando spazio solo al rimpianto. Il protagonista si trova ben presto schiavo dei propri ideali, impossibilitato alla fuga, prigioniero di un bastione posto a guardia non di feroci orde, bensì di utopici eroismi. Ormai condannato solo a sperare, Drogo annaspa alla disperata ricerca di un senso, incapace di scorgere come la terribile realtà si avvicini ogni giorno di più. "Il deserto dei tartari" è testo ambientato in una dimensione indefinita, quella in cui precipitano quelle persone sopraffatte da visioni distorte in cui l'attesa assume connotazione quasi divina, quasi fosse una missione salvaguardata dall'immortalità. La resa dei conti è invece purtroppo inesorabile, con la vita ridotta a mero passaggio del quale, probabilmente nessuno, avrà ricordo. Tuttavia Buzzati non chiude in maniera totalmente pessimistica come ci si potrebbe aspettare: ormai anziano e malandato Drogo viene beffato ma al tempo stesso trova, dinnanzi alla morte, le risposte alla sua personale missione, uscendo così vincitore da quella battaglia tanto agognata per decenni.

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Belmi Opinione inserita da Belmi    25 Giugno, 2020
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La frontiera morta

Il giovane tenente Giovanni Drogo, fresco di nomina, parte per la sua prima destinazione dopo l'accademia. La meta è lontana dal suo paese e all'arrivo l'ansia si farà sentire perché lui è diretto alla Fortezza Bastiani:

“I muri nudi ed umidi, il silenzio, lo squallore delle luci: tutti là dentro parevano essersi dimenticati che in qualche parte del mondo esistevano fiori, donne ridenti, case allegre e ospitali. Tutto là dentro era una rinuncia, ma per chi, per quale misterioso bene?”

La Fortezza Bastiani è l'ultimo avamposto di confine, davanti a sé ha solo il deserto, un deserto che in passato si dice fosse dei Tartari, ma oggi si presenta come una vera frontiera morta o almeno questo è quello che pensano al comando, perché all'interno della fortezza il pensiero è un altro.

Drogo senza rendersene conto entrerà a far parte di questo sistema e soprattutto della mania che aleggia all'interno della fortezza.

“I corvi nidificano e le rondini se ne vanno.”

Dino Buzzati crea un romanzo davvero particolare, che colpisce per cose che all'interno di altri romanzi non potresti apprezzare. Nel romanzo non succede praticamente niente, quasi inesistenti i colpi di scena e la trama procede piatta; ma sono questi per me i punti di forza del romanzo, non siamo distratti, siamo sempre concentrati e possiamo andare oltre le parole e gli eventi.

“A poco a poco la fiducia si affievoliva. Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.”

Un romanzo riflessivo, non adatto a tutti e sicuramente incisivo.

Buona lettura!

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leogaro Opinione inserita da leogaro    18 Aprile, 2020
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Il deserto dell'anima

--- Il testo contiene spoiler ---

Il romanzo è ambientato in un paese immaginario. Il sottotenente Giovanni Drogo, divenuto ufficiale, viene assegnato come prima nomina alla Fortezza Bastiani, ultimo remoto avamposto ai confini settentrionali del Regno. Essa domina una desolata pianura chiamata “deserto dei Tartari”, un tempo teatro di rovinose incursioni nemiche ma che, da innumerevoli anni, non ha più portato alcuna minaccia. La Fortezza, svuotata ormai della sua importanza strategica, è rimasta solo una costruzione arroccata su una solitaria montagna, di cui molti ignorano finanche l'esistenza.
Dopo un viaggio a cavallo di più giorni, Drogo ha una cattiva impressione della fortezza. Confida all'aiutante maggiore Matti di voler chiedere l'avvicinamento alla capitale, e questi gli consiglia di attendere la visita medica periodica tra quattro mesi, dopo la quale potrà farlo trasferire per motivi sanitari. Drogo acconsente e in questo periodo subisce inconsciamente il fascino degli immensi spazi desertici che si aprono a nord. La vita alla Fortezza Bastiani è retta dalle norme ferree di disciplina militare e esercita sui soldati una sorta di malia che impedisce loro di lasciarla. I militari sono sorretti da un'unica speranza: vedere apparire all'orizzonte, contro le aspettative di tutti, i Tartari, combatterli e diventare eroi: l'unica via per restituire alla Fortezza la sua importanza, dimostrare il proprio valore e dare un senso agli anni buttati via qui al confine.
Il giorno della visita medica che dovrebbe sancire la sua inabilità per il servizio alla Fortezza, Drogo la vede improvvisamente trasformata; davanti ai suoi occhi si espande a dismisura con camminamenti, spalti e mura; il paesaggio del nord gli appare bellissimo. Così, rinuncia al trasferimento e si lascia affascinare dalle pigre abitudini che scandiscono il tempo alla Fortezza, dalla speranza di una futura gloria come quei commilitoni precedentemente catturati dalla situazione.
Un giorno, un soldato uscito per recuperare un cavallo rientra senza conoscere la parola d’ordine e viene abbattuto dalla sentinella, come è imposto dalle regole del servizio. Qualche tempo dopo, si vedono lunghe colonne di uomini armati in avvicinamento da settentrione attraverso la pianura deserta. La Fortezza è in fermento, i soldati sognano battaglia e gloria… ma non sono i Tartari, ma soldati del Regno confinante che vengono a definire i confini.
Dopo quattro anni, Drogo torna a casa in licenza, ma avverte un senso di estraneità e smarrimento nel ritornare al suo vecchio mondo, ad affetti a cui scopre di non saper più parlare. Maria, sorella d’un suo amico, gli sembra indifferente; eppure basterebbe una sola parola di Drogo perché lei rinunciasse a un viaggio in Olanda e rimanesse con lui. Si reca da un Generale per ottenere il trasferimento, come permesso dopo quattro anni in Fortezza, ma il superiore rivela che l’organico della piazzaforte sarà drasticamente ridotto e molti suoi colleghi hanno presentato domanda prima di lui, senza dirgli nulla.
Drogo ritorna alla Fortezza e ai suoi ritmi immutabili. Ora la guarnigione è appena sufficiente. Il collega tenente Simeoni crede di avvistare del movimento a nord: si scopre che il Regno del Nord sta costruendo una strada verso le montagne di confine, ma occorreranno quindici anni di lavori nel deserto per arrivare nei paraggi della Fortezza. Nel frattempo, tutti si abituano a considerarlo un lavoro di ingegneria civile.
Nell'attesa della "grande occasione", si consuma la vita dei soldati di guarnigione; su di loro trascorrono, inavvertiti, i mesi, gli anni. Drogo vedrà alcuni dei suoi compagni morire, altri lasciare la Fortezza ancora giovani o ormai vecchi.

---inizio spoiler ---
Dopo trent’anni di servizio è Maggiore e vice-comandante della Fortezza. Una malattia al fegato lo corrode fino a costringerlo a letto, quando improvvisamente scoppia la guerra contro il regno del Nord, che fa affluire truppe e artiglierie. Mentre arrivano i rinforzi alla Fortezza, il nuovo comandante Simeoni fa evacuare Drogo, malato, per far spazio ai nuovi ufficiali. La morte lo coglierà solo, in un'anonima stanza di una locanda di città, dove Drogo capirà quale fosse la vera occasione per provare il suo valore: affrontare la Morte con dignità, "mangiato dal male, esiliato tra ignota gente".
--- fine spoiler ---

Un libro mediamente scorrevole, abbastanza piacevole ma che non è certo una lettura d'evasione. Un testo che fa riflettere, che è profondo e suscita importanti interrogativi sul senso della vita, sulle priorità, sulle occasioni mancate, quelle lasciate, quelle cercate.... In fin dei conti, quanto vale l'attesa? Cosa si è disposti a sacrificare per l'Occasione con la O maiuscola? Un libro intenso, che nonostante la lentezza di vari capitoli (a volte eccessiva, ma legata alle necessità di questa trama), induce a pensare: e lo fa dandoti un bel pugno nello stomaco.

Alcune citazioni: “L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno: per questa eventualità vaga, uomini fatti consumavano la parte migliore della vita” - “A un certo punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno… si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire” - “Così una pagina lentamente si volta, aggiungendosi alle altre già finite, per ora è solamente uno strato sottile, quelle che rimangono sono un mucchio inesauribile. Ma è pur sempre un’altra pagina consumata, una porzione di vita” - “Gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani…se uno soffre, il dolore è completamente suo: questo provoca la solitudine della vita” .

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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    04 Agosto, 2019
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L'attesa

Quanti anni compie un desiderio perché non si trasformi in una fantasia delirante? E chi stabilisce il limite fra la giusta aspettativa e l’inizio della follia? Ne Il deserto dei Tartari, il trentaquattrenne Dino Buzzati, racconta il sentimento dell’attesa che, infine, può ammalare con la previsione del proprio destino di successo, con l’ostinazione nel sogno di un evento che possa dare senso, finalmente, alle rinunce di una vita.

Rivedo qualche spezzone del film, messo in scena nel 1976 dal regista Valerio Zurlini. Un giovanissimo Jacques Perrin, nel ruolo del tenente Giovanni Drogo, aspetta una improbabile invasione nemica. La immagina, la visualizza, la prevede nell’organizzazione, quella battaglia che gli offrirà onore, riscatto, vittoria. Rinchiuso dentro la fortezza Bastiani, rinunciando a farsi una famiglia, a costruire relazioni gioiose, a scegliere le comodità di una casa, Giovanni è riconoscente alla sua vita militare perché, ne è certo, arriverà il nemico e combatterà e vincerà. Insieme alla battaglia, scoppierà la felicità tenuta a freno per così tanto tempo.

In realtà, la fortezza Bastiani, dal nome altisonante, è una modesta bicocca, vissuta come il luogo dell’avventura memorabile, dell’emancipazione e del prestigio. L’imperturbabile presidio militare è un bluff e il grande avvenimento e l’invasione nemica arriveranno troppo tardi e passeranno, insieme alla vanità di una vita eroica.

Anch’io ho avuto il mio deserto a cui fare la guardia e un nemico/salvatore da aspettare. Una frontiera che si affaccia sul nulla è un modo per restare ferma e il deserto inanimato e inutile continua ad attrarre perché in quel vuoto può accadere tutto, come può essere scritta qualunque storia su un foglio che rimane bianco.

L’attesa nella fortezza Bastiani attribuisce al tenente Giovanni Drogo uno statuto di superiorità. È nel futuro il risarcimento: così il nemico invasore che salva, acquisisce un valore fondamentale, non può non essere vero e non può che manifestarsi come nemico a cui opporre resistenza. Nel frattempo il giovane Drogo accumula diritti rispetto all’altro e alla vita. È un’economia psicologicamente povera: dipendo dall’altro che non si manifesta, accumulando crediti inutili di felicità, maturando il rancore vendicativo, perché sono io che li faccio esistere, i Tartari! La rinuncia e la sofferenza diventano merce di scambio perché la gloria sia meravigliosa.

L’essere umano che attende diviene nevrotico perché sposta sull’altro che non arriva la possibilità di godimento e di scelta vitale. È l’altro, ancora assente, il responsabile della mia angoscia. È nell’inconcludenza che posso vivere, e mi ostino a resistere. Se appagassi il desiderio, non soffrirei più e, però, mi sentirei in colpa. Chi o quello che non arriva, proprio con la sua mancanza, garantisce la mia esistenza e mi tiene tesa, vigile, irrequieta. Se non ci fosse, mi toccherebbe scegliere, assumere la responsabilità di decidere e di agire. Quando l’attesa, di qualcuno o di un evento, si lega al sacrificio, la frustrazione è assicurata.

Nella voce dell’Autore, riascoltata da adulta, intravedo un’altra prospettiva della speranza, della pausa, più in ombra e più consapevole. Se il tempo dell’attesa non fosse di ricatto e di sottomissione? Se, insomma, non fosse il tempo isterico che richiede la conditio: continuo ad aspettare solo se non arrivi? Se quel tempo sospeso non fosse perduto, ma si rivelasse come cifra di coscienza e di riappacificazione con se stessi? Forse ogni persona deve passare da quell’incantamento per giungere alla possibilità critica, al discernimento, dinanzi alla realtà. Il desidero è salvo ed è liberato dalle catene della patologia e può essere duraturo perché non è più legato all’apparizione dell’altro, al suo assenso, ma alla curiosità della coscienza, all’approfondimento del proprio copione.

Se l’appuntamento atteso è con l’esistenza, allora, non c’è battaglia, e riconosco la riconciliazione armoniosa nell’utilizzo del tempo e dello spazio concessi per completare l’opera prevista che io porti a compimento. La relazione ricattatoria si risolve con la scelta e la certezza del dono. Non sono ostaggio di chi non arriva, ma faccio dono, innanzitutto a me stessa, delle ore di riflessione e di comprensione, attraverso quell’attesa che ha continuato a custodire apprendimenti che nessuno può portarmi via. Il conto torna.

Magari, l’augurio è accorgerci di quest’ultima prospettiva prima della vigilia della morte.

"Dal deserto del nord doveva giungere la loro fortuna, l'avventura, l'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita. Non si erano adattati all'esistenza comune, alle gioie della solita gente, al medio destino; fianco a fianco vivevano con la uguale speranza, senza mai farne parola, perché non se ne rendevano conto o semplicemente perché erano soldati, col geloso pudore della propria anima." p.48

"No, non pensarci, Drogo, adesso basta tormentarsi, il più oramai è stato fatto. Anche se ti assaliranno i dolori, anche se non ci saranno più le musiche a consolarti e invece di questa bellissima notte verranno nebbie fetide, il conto tornerà lo stesso. Il più è stato fatto, non ti possono più defraudare." p.201


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Opinione inserita da edosto88    13 Aprile, 2018

GOCCIA DOPO GOCCIA: IL TEMPO, COMPAGNO AMBIGUO

Il Deserto dei Tartari presenta a mio avviso due grandi protagonisti. Il primo è il tenente Drogo, giovane ufficiale che a propria insaputa viene chiamato a svolgere i primi servizi militari, quelli della "vita vera", alla Fortezza Bastiani. Il secondo, più silenzioso e celato ma protagonista di ogni pagina del libro, è il Tempo. Il rapporto tra Giovanni Drogo e il Tempo infatti si sviluppa nel corso dell'intero romanzo.
Inizialmente il Tempo si allea con il tenente, divenendone compagno di viaggio e guida verso quel luogo in cui tutte le aspettative di Giovanni diventeranno finalmente realtà. Il Tempo è risorsa su cui poter fare affidamento di fronte ad una attesa che sembra interminabile. Il Tempo è splendore di impenetrabile vita. E' promessa di gloria che convince Drogo a non abbandonare la Fortezza. Il Tempo è attenuante per le lunghe nottate di ronda e gli inutili rapporti di servizio. Il Tempo è l'alleato per trasformare la Fortezza Bastiani da remota prigione a memorabile avventura.
La Fortezza però nasconde un segreto: la monotonia. Ed è questa monotonia a renderla talmente imperturbabile da risultare impermeabile al Tempo. Quello stesso Tempo ,che aveva accompagnato lo speranzoso Drogo sino alle porte della fortezza, che lo aveva convinto a trattenersi al cospetto del grande deserto settentrionale, all'interno della Fortezza scompare, lasciando Drogo solo con i suoi pensieri e le prime inquietudini. Le abitudini del presidio militare infatti, ripetitive e vuote di significato, offuscano il trascorrere del Tempo, inondando la Fortezza di una sinistra luce di eternità. Ma in realtà neanche le solide mura del forte possono tener fuori il Tempo. Esso c'è, e tacitamente rimane al fianco di Drogo. Giovanni trascorre la prima notte di servizio nella sua piccola cella, situata a fianco di una grossa cisterna d'acqua, che goccia dopo goccia continua inesorabilmente a riempirsi. Drogo non riesce a dormire, avverte il fastidioso rumore dell'incessante gocciolio rimanendo sveglio fino all'alba. Ma giorno dopo giorno le gocce cominciano a diventare più silenziose, fino scomparire dalla mente di Drogo. Così avviene per il Tempo, che nascosto dietro a questo gocciolare incessante scompare, ma non svanisce... Il Tempo si annida dietro i raccont di chi ha speso anni tra le remote mura del forte, parole di rammarico che tentano di mettere in guardia il giovane Drogo, che si dice consapevole, ma ha lo sguardo di chi non lo è.
Durante i congedi dalla Fortezza il Tempo torna a trovare Drogo, e mostra a Giovanni cosa avviene al di là dei bastioni: nuove rughe sul viso materno, nuove vite degli amici di città, e sopratutto nuovi progetti della ragazza al fianco della quale si sognava un futuro. L'incontro con il Generale poi svela a Drogo che in realtà anche la Fortezza non è esente dal trascorrere degli anni. Le richieste di trasferimento inoltrate dai compagni d'arme ne sono la prova. Per loro la fortezza Bastiani è una parentesi di vita, per Giovanni ne diventa la ragione. Ed allora il Tempo si palesa non solo fuori, ma anche dentro alla Fortezza. Ma che ruolo assume a questo punto?L'incessante cadere delle gocce degli anni ha distrutto un futuro fatto di amicizie amori e vita agiata. Ma non è ancora riuscito ad intaccare la speranza del grande avvenimento che avrebbe dovuto giustificare l'esistenza della Fortezza: l'invasione nemica. C'è ancora speranza. Basta farsi trovare pronti, e il Tempo certo sarebbe stato alleato anche nel far progredire la carriera di Drogo, nel donargli un ruolo rilevante al momento giusto. Basta aspettare. Il Tempo non avrebbe tradito le promesse di gioventù.
Così al ritorno di Drogo alla Fortezza, ormai ridotta di organico perché considerata superflua, il Tempo trova finalmente spazio tra i Bastioni. A poco a poco infatti le facce note scompaiono, chi per congedo chi per incarichi più nobili, e ad ogni goccia umana che il grande serbatoio della Fortezza perde, il Tempo risuona ancor più manifesto, ed insinuandosi tra gli spazi lasciati vuoti dai soldati forza le porte del fortino, diventando presenza ingombrante tra le mura. Ma le parole che comincia a sussurrare all'orecchio di Drogo appaiono diverse da quelle avvertite in giovinezza. Non più promesse, ma condanne.
Tra le prime avvisaglie di movimenti nemici a settentrione e la concreta minaccia di una guerra infatti si verifica una attesa interminabile e crudele, e nel frattempo le inarrestabili gocce di Tempo che fino ad allora si erano accanite sui sogni di Giovanni cominciano a corroderne anche il corpo. Divenuto sadico aguzzino di Drogo, il Tempo infierisce in tutta la sua potenza con quell' epocale avvenimento che in tanti avevano atteso, ma che Giovanni non potrà fronteggiare. La vendetta del Tempo si compie. Drogo, che con la sue impeccabile diligenza aveva ben resistito alle inesorabili lente corrosioni, nulla può contro questa tremenda deflagrazione finale.
Ma anche a questo punto, quando sembra che nella sanguinosa lotta tra Drogo e il Tempo l'ufficiale debba prepararsi alla rovina, la reazione è esemplare.
Nonostante paia che sia stato il Tempo a tradire Drogo, Giovanni realizza che in realtà si tratta del contrario. Che errore non aver dato la giusta importanza al suo vecchio alleato! Che errore aver trascorso la vita in solitudine crogiolandosi nell'attesa! Che errore aver sottovalutato il Tempo!
Fortunatamente però Giovanni trova la forza di pensare che non tutto è perduto. E quando il Tempo bussa per l'ultima volta alla sua porta, il Capitano Drogo si fa finalmente trovare pronto, e con tutto quel coraggio che non era mai riuscito a mostrare in vita offre al vecchio compagno e nemico il più bel gesto di pace: il suo sorriso.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    07 Gennaio, 2018
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La fuga del tempo e le inutili speranze

Secondo me, Dino Buzzati ha avuto il merito di costruire una storia densa di significato senza doversi inventare una storia troppo complessa, ma scovando questa complessità nelle profondità dell'animo umano, carico di contraddizioni.
Lo stile dell'autore è di pregevole fattura, riuscendo ad essere accurato senza risultare pesante; carico di descrizioni e capace di materializzare gli ambienti nella mente del lettore, che riesce a immedesimarsi nella storia e nei personaggi perfettamente caratterizzati. I temi trattati sono molto forti, a mio avviso, provocando un forte senso di angoscia man mano che si avvicina la fine del libro, che si incupisce gradualmente fino a diventare difficilmente sopportabile. Questo perché Buzzati è molto abile nello sviscerare quelle che sono le nostre maggiori paure: lo scorrere inesorabile del tempo; l'ossessione di voler vivere una vita degna; l'avvicinarsi della morte.

La storia del tenente Giovanni Drogo è senza dubbio tristissima: una vita sacrificata nella speranza di qualcosa che potrebbe non arrivare mai e se anche dovesse farlo, potrebbe non trovarci nelle condizioni di accoglierla come vorremmo. E' questo il fulcro del "Deserto dei Tartari": l'attesa di un invasore, della guerra, che possa dare un senso a quelle vite sacrificate alla monotonia della Fortezza Bastiani, un luogo praticamente inutile considerando che mai, nei secoli, gli invasori si sono mai sognati di attraversare quelle sabbie con intenti bellicosi.
Perciò, ogni minimo segnale accende i sogni di gloria dei soldati come benzina su una fiamma sì affievolita, ma che non si spegne mai. Drogo, che inizialmente intuisce l'inutità di una vita vissuta su quella fortezza senza scopo, ne rimane invischiato senza alcuna via di scampo, contagiato dalla speranza che, tacitamente, consuma tutti. Dunque la semplice presenza di un cavallo sperduto, di un gruppo di soldati mandati a segnare la frontiera, generano in quel rudere un entusiasmo spropositato puntualmente deluso.
Ma quella fiamma non si spegne; nel cuore di Giovanni Drogo, almeno.
E' spaventoso assistere alla fuga del tempo che travolge la vita di Drogo, che continuerà a vedersi giovane, con tanti giorni di vita davanti a sé, perfettamente in tempo per aspettare i Tartari ancora un poco. Ancora un poco. Ancora una vita. Ma la vita può essere spietata, può dimenticare chi ha sacrificato tutto e donare quella gioia a chi per essa non ha gettato nemmeno una goccia di sangue, pensando solo al proprio benessere.
Il protagonista di questa storia è di quelli che non si dimenticano, in certi tratti molto simile allo Stoner di John Williams, ovviamente inserito in un contesto completamente diverso. Vorremmo gridargli quel che noi faremmo al suo posto, vorremmo che la sua vita non andasse sprecata nei corridoi di quella Fortezza dimenticata dai Tartari e da Dio ma lui, sordo alle nostre suppliche, continuerà ad andare avanti per la sua strada, verso il mare di piombo che lo aspetta a destinazione.

"Dal deserto del nord doveva giungere la loro fortuna, l'avventura, l'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita. Non si erano adattati all'esistenza comune, alle gioie della solita gente, al medio destino; fianco a fianco vivevano con la uguale speranza, senza mai farne parola, perché non se ne rendevano conto o semplicemente perché erano soldati, col geloso pudore della propria anima."

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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    11 Novembre, 2017
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L’irreparabile fuga del tempo

Per ogni libro esiste un particolare periodo della propria vita.
Credo di aver letto questo romanzo di Dino Buzzati al momento giusto: non sono ancora così avanti negli anni, ma mi ritrovo comunque a un’età in cui è naturale fare un bilancio esistenziale e, pertanto, rivolgere più di un pensiero agli anni lasciati alle spalle; insomma, tutti cerchiamo di fare i conti con la vita e col tempo che passa, anzitutto per poter andare avanti. Ecco perché, fin dal principio, sono stata affascinata da “Il deserto dei Tartari”, che se avessi letto a quindici anni, probabilmente, non mi avrebbe coinvolta allo stesso modo né l’avrei potuto comprendere appieno.
È infatti il tempo il grande protagonista di questa storia tanto semplice quanto spiazzante. Né l’ufficiale Giovanni Drogo, consacratosi in toto alla carriera militare, né la Fortezza Bastiani, estremo baluardo di frontiera. No, soltanto il tempo, con il suo lento ma inarrestabile incedere, la sua fuga appunto irreparabile, i suoi silenzi che, indifferenti, si mescolano ad altri vasti silenzi solcati dalla voce del vento e dai sussurri notturni ammantati di stelle, così come essi si confondono col greve pallore della neve e col rosso vivo dei tramonti sempre uguali, con i palpiti di vita a primavera che lusingano gli animi facendo loro nuove e ingannatrici promesse. Quella di Drogo esemplifica al meglio la vicenda umana in generale: aggrappati a un presentimento più o meno vago di cose grandi, si aspetta la vita. Ma la vita, in verità, non aspetta e così il dolce sapore dei sogni e delle speranze si tramuta presto in quello amarissimo delle illusioni.

“Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un'occhiata indietro. "Ferma, ferma!" si vorrebbe gridare, ma si capisce ch'è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.”

Magnifico e portentoso romanzo, la cui narrazione, non estranea, a mio parere, a sfumature kafkiane, è calata in una perfetta dimensione spazio-temporale fantastica e indefinita.
Scrittura semplice e incisiva, per nulla prolissa, decisamente diversa rispetto a quella che si ritrova tra le pagine di “Un amore".
Un messaggio, quello lanciato dall’autore, che forse, alla luce di certi suoi passaggi, non è poi di assoluto pessimismo: se è vero che alla fuga del tempo non ci è possibile resistere, è però anche vero che questo stesso tempo, intanto che fugge, possiamo riempirlo di piccole grandi soddisfazioni quotidiane, senza ostinarci nella frustrante e inutile ricerca di successo e gloria a vario titolo; e, soprattutto, di affetti, amicizia e amore, affinché la nostra esistenza non diventi una landa arida e desolata come quella sconfinata del deserto dei Tartari.

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Giuliacampy Opinione inserita da Giuliacampy    23 Febbraio, 2015
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Un vuoto deserto colmo di speranze

"Ognuno è solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera", queste sono le parole di una famosa lirica di Salvatore Quasimodo e che, secondo il mio punto di vista, colgono perfettamente il senso dell'opera di Buzzati. Il tenente Drogo si reca alla fortezza con malinconia e rassegnazione, sperando ardentemente di poter abbandonare quel luogo ancora prima di raggiungerlo. L'aspetto austero dell'edificio, il frustrante suono della cisterna, le assurde e complicate regole che i soldati sono tenuti a ricordare e a rispettare, gettano Drogo in uno stato di malessere e insoddisfazione, ma soprattutto di ossessione per la fuga inesorabile del tempo, temendo di dover consumare gli anni migliori della sua vita in un luogo così inospitale. Paradossalmente, il deserto dei Tartari che si scorge dalle piccole finestre, è l'unica oasi nell'arida solitudine che il protagonista deve affrontare. La speranza che un giorno giunga qualcuno dal nord, che si verifichi un attacco da parte dei nemici riscattando la fortezza da quella soffocante staticità e interrompendo la monotonia estenuante delle giornate che si susseguono una identica all'altra, è l'unica che riesce a rendere la permanenza di Drogo meno insopportabile. Così anche Drogo subisce il fascino misterioso della fortezza e, quando gli viene finalmente offerta l'opportunità di andarsene, decide invece di rimanere. Improvvisamente sente di avere così tanto tempo ancora a disposizione che non c'è più alcun bisogno di preoccuparsi della fuga della sua giovinezza.
Tuttavia i quattro mesi diventano ben presto quattro anni, e Drogo piomba nuovamente in una condizione di profonda disillusione e pentimento per non aver abbandonato la fortezza prima, mentre ora è bloccato tra quelle spesse pareti che assorbono la sua esistenza. Drogo non ha più scelta e anche il periodo di licenza che trascorre in città si rivela una delusione perché, diversamente da quanto immaginava, lì non c'è più nessuno ad attenderlo, ognuno ha continuato imperturbabile la propria vita senza curarsi della sua assenza. Intanto le speranza in un possibile attacco, in una guerra in quel deserto di esacerbante pace, continua ad occupare i pensieri di Drogo e dei pochi soldati rimasti. Un lume, una linea nera in lontananza bastano a far riaffiorare quella gioia di vivere che sembrava essere perduta per sempre. Purtroppo, proprio quando qualcosa effettivamente accade dopo anni di lacerante attesa, Drogo è troppo vecchio e malato per prendere parte alle operazioni e viene addirittura rimandato a casa. Tutti quegli anni spesi ad aspettare un segno, un avvenimento che desse un senso alla sua vita e che premiasse i suoi sacrifici, vengono così gettati al vento, ma Drogo non ha nemmeno più la forza di arrabbiarsi o di deprimersi. Si prepara a morire con tranquillità e anche se solo, abbandonato da tutto e da tutti, vuole terminare la propria vita da vero soldato, da uomo che ha combattuto contro il più pericoloso dei nemici: il tempo. Le lancette scorrono sul quadrante dell'orologio della vita, passano i secondi, i minuti, le ore, e quando scocca la mezzanotte ed inizia un nuovo giorno, sentiamo già il peso del tempo trascorso, la paura di non averlo impiegato nel migliore dei modi, di averlo anzi sprecato. Ma il valore incredibile del libro è proprio questo: alla fine Drogo, anche in punto di morte, non smetterà mai di sperare e acquisisce immediatamente la consapevolezza che in ogni caso la vita vale la pena di essere vissuta e il tempo trascorso a sperare, a gioire, a soffrire è sempre ben speso perché è proprio questo ciò che chiamiamo vita. Colmare quel deserto roccioso con piacevoli, anche se illusorie, aspettative è stato quanto di meglio si potesse fare e il solo fatto di aver avuto la possibilità di immaginare una battaglia, è la più grande vittoria che si riesca ad ottenere.

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    14 Ottobre, 2014
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L'ossessione dell'attesa

Ho letto questo romanzo due volte; la prima in età da giovane adulto, la seconda in quest’anno pochi mesi fa. Devo dire, come spesso mi capita con i romanzi-classici, che ho apprezzato molto il capolavoro di Buzzati, in seconda lettura; forse perché mi sono immedesimato nel contesto della storia.

Il protagonista è Giovanni Drogo, un giovane tenente di prima nomina inviato in servizio presso un avamposto ubicato ai confini del territorio di una nazione, non meglio identificata, ma potrebbe essere, a mio parere, l’impero austro-ungarico dell’800, chiamato Fortezza Bastiani; tale fortezza è abbarbicata su un’impervia montagna per il controllo del territorio nemico che si estende su una sconfinata pianura incolta e pietrosa. Giovanni Drogo si rende subito conto dell’atmosfera vigente nella fortezza e della ferrea disciplina cui sono sottoposti tutti i militari del battaglione che hanno il compito costante di sorvegliare al di là del confine in attesa di un possibile attacco da parte del nemico tartaro; egli è convinto di trascorrere solo un breve periodo in quel luogo desolato e quasi dimenticato, e ritornare, quanto prima, alla vita della città da dove proviene. Passa il tempo in maniera inesorabile e Drogo riesce a ottenere una breve licenza per rientrare nella sua città di origine; si accorge, però, che la sua identità non è più idonea ai ritmi del passato e, quindi, prova un forte senso di disagio e un allontanamento dalla vita di routine cittadina e dalle persone. Cos’è dunque successo? In pratica è stato contagiato dal “mal di fortezza”, nel senso che ormai alberga nel suo animo la precipua convinzione che i tartari arriveranno e la difesa della fortezza e del territorio sarà un tributo di gloria per il quale vuole essere presente.

Tale anelito di gloria si trasforma ben presto in un’ossessione; quindi passano parecchi anni sempre nell’attesa di un imminente attacco da parte dei nemici tartari; nel frattempo il battaglione in difesa della fortezza si riduce in modo drastico; i colleghi muoiono oppure sono congedati ma non vengono avvicendati. Giovanni Drogo, che intanto è stato promosso maggiore, rimane attaccato alla fortezza e la sua unica ragione di vita è, ormai, l’attesa del nemico. In un clima surreale trascorre gli ultimi anni di vita fino a quando, finalmente, arrivano i Tartari…la gloria tanto aspettata e desiderata è vicina ma purtroppo…

La narrazione, il contesto e gli eventi, riescono a scrutare l’animo umano fino ai meandri più reconditi; in particolari circostanze l’uomo si “adatta” a qualsiasi situazione; cambia la sua visione del mondo immanente e diventa “schiavo” dei propri ideali di cui è convinto fino all’estremo sacrificio.

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F.Angeli Opinione inserita da F.Angeli    08 Agosto, 2014
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L'ATTESA DEI TARTARI

Giovanni Drogo è un giovane come tutti gli altri: pieno di speranze, con alte aspettative di carriera, volenteroso di formare una famiglia. E per realizzare le sue aspirazioni pensa che la convocazione alla fortezza sia il punto di svolta, ma non è il posto che si aspettava.
Dino Buzzati nella sua opera ha dato vita alle realtà più piatte dell'esistenza umane: durante la maggior parte del romanzo perdura la messa in evidenza di una condizione comune a tutti noi, che è la noia. Ma è una noia che stavolta ci affascina, riportata nei minimi particolari, strugge Drogo poco alla volta nell'eterna attesa dell'invasione dei Tartari, e nella mancata realizzazione delle sue aspirazioni. Drogo vivrà una subdola routine fatta di inutilità: ronde sulle mura di una fortezza che affacciano su un deserto perennemente inanimato, ricerche di puntini nella sabbia lontana per trovare un essere vivente, e vani tentativi e attese di essere trasferito in un'altra sede. Una lenta discesa che non finisce mai, che ruberà Drogo di tutto, nemmeno i rapporti con i suoi cari e i familiari verrà risparmiato. Il deserto dei Tartari è l'incarnazione della quotidianità che dobbiamo sorbire ogni giorno, e che può portarci al deperimento fisico e psicologico, nell'attesa onirica di un qualcosa che potrebbe non arrivare mai nella nostra vita. Senza dubbio un'opera eccezionale, probabilmente dovrebbe essere letto da tutti nel corso della vita.

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Opinione inserita da Matteo    23 Novembre, 2013

Il Senso della Vita

Un libro, dal mio punto di vista, fantastico!
La rappresentazione più veritiera della vita di ognuno di noi.
Il punto non è l'attesa continua o il non raggiungere mai il proprio obiettivo.
Il punto è che, attraverso la posizione estrema del tenente Drogo, Buzzati evidenzia come tutti, prima o poi,vedranno che il tempo è passato e che quella felicità che, tutti i giorni, si cerca nell'indomani effettivamente non c'è, o meglio non è tanta quanto quella che l'indomani stesso ci si aspetta per il successivo. Il giorno bello è sempre quello che è già passato mentre quotidianamente ci illudiamo che debba venire ancora.
Secondo me rappresenta al meglio la vita dell'uomo che, per trovare la forza di andare avanti, cerca nel futuro ciò che invece non può esserci e quindi, una volta arrivati alla vecchiaia, rimane deluso.
Il suo è quasi un triste inno che io interpreto in questo modo: "Giovani godetevi la gioventù...anche se, qualsiasi cosa voi facciate, vi renderete conto di non esserci riusciti",

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    19 Settembre, 2013
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Panta rei

Si tratta di un libro ripreso in mano e riletto a distanza di parecchi anni e devo riconoscere che anche questa volta le impressioni sono più che positive. Il tema affrontato dall’autore, lo scorrere del tempo che fluisce ininterrottamente nella sua ripetitività, credo rappresenti quanto di più vicino a noi ci possa essere.
Buzzati ci racconta la vita del giovane tenente Giovanni Drogo che comincia la sua carriera militare venendo assegnato alla Fortezza Bastiani, un avamposto militare isolato ed arroccato sulle montagne. Un presidio mantenuto in vita solo per controllare una frontiera, un confine, ritenuto assolutamente sicuro e privo di minacce, perché da secoli non viene attraversato da alcun nemico. La Fortezza pertanto dovrebbe costituire per Giovanni solo una parentesi, la classica gavetta in attesa di una promozione ed una carriera piena di gloria e prestigio. Ma così non sarà. Il nostro protagonista infatti passerà lì dentro la sua giovinezza e l’età adulta. Non riuscirà ad essere trasferito rimanendo invischiato tra quelle quattro mura, inesorabilmente coinvolto nel tran-tran quotidiano.
Per tutta la vita però continuerà a sognare di essere destinato a grandi cose e grandi avvenimenti, illudendosi che un bel dì, dalla frontiera a lungo osservata, giungerà quel nemico che da tanto si attende. A quel punto allora la sua attesa sarà giustamente ripagata, potendosi riscattare impegnandosi in una guerra e dando così un senso alla sua vita.
Ed effettivamente, dopo anni e anni di immobilismo e falsi allarmi, l’esercito nemico arriva ed ecco che la presenza della Fortezza assume un senso, quello di difendere il confine dall’invasione. L’emozione e l’entusiasmo sono alle stelle: dunque finalmente si combatte! Anche per Giovanni pare essere arrivato il “tempo del fare” anche se dovrà inesorabilmente fare i conti col proprio destino.

La Fortezza Bastiani diventa quindi l’emblema di una vita noiosa e routinaria, sempre vissuta nella speranza di un riscatto, di una ruota che prima o poi deve girare regalando sorrisi, felicità, piena realizzazione di sé stessi e delle proprie aspirazioni. Ma siamo sicuri che questo avverrà ? Ho trovato veramente toccanti e realistiche le pagine in cui Giovanni si sente padrone del proprio tempo e del futuro, anche se in realtà “panta rei”, tutto scorre, perché ci sono forze più potenti che non riusciamo a governare.

In definitiva, trattandosi di pensieri e comportamenti molto umani, e aggiungerei anche molto comuni, ritengo che si tratti di una lettura consigliatissima.

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chicca Opinione inserita da chicca    14 Agosto, 2013
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Vita


Non avevo mai letto questo romanzo, che meritatamente viene annoverato tra i classici del novecento italiano.
L' atmosfera e l'ambientazione mi hanno subito affascinata, così come il personaggio principale , il giovane Giovanni Drogo.
Giovanni , appena ventenne arriva come tenente alla fortezza Bastiani, è un giovane pieno di ambizioni e non appena capisce che la fortezza ormai non svolge più da tempo la sua funzione originaria, evitare le incursioni delle popolazioni che abitano a nord ,chiede di poter essere destinato ad altro incarico e di rimanere solo 4 mesi.
Ma la fortezza esercita un fascino, una malia agli occhi dei soldati che vi alloggiano tanto che molti di loro decidono di restare anche per tutta la vita.
Anche Giovanni rimarrà affascinato dalla rassicurante routine della fortezza e dal desiderio di ottenere la gloria in una eventuale guerra, trascorrerà così i suoi vent'anni e poi l' intera esistenza nell' attesa.
Un romanzo sul tempo che scorre inesorabile, sul passaggio dalla spensieratezza della gioventù ai rimpianti e alla disillusione dell' età adulta.

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petra Opinione inserita da petra    25 Mag, 2013
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Il deserto dei Tartari

" Così si svolgeva a sua insaputa l'inesorabile fuga del tempo"

Vi è mai capitato di dedicare tempo, forze, energie per uno scopo nebuloso, indefinito, lontano?
Vi è mai capitato di rimpiangere il tempo sottratto a una persona amata perché troppo presi dalle incombenze quotidiane, invischiati nella routine della quotidianità, comoda ma alienante,per poi accorgervi troppo tardi che stavate perdendo di vista voi stessi e chi amavate?

A me è successo , purtroppo, e la mia mente è tornata a quei momenti di amara consapevolezza leggendo questo piccolo ma grandissimo libro.

Il tenente Giovanni Drogo arriva alla fortezza Bastiani a ventun’ anni, colmo di speranza e proiettato verso una vita di gloria, onore e impegni mondani: i suoi sogni però si sgretolano già alla vista della fortezza, nuda, decadente, e ormai di poco rilievo strategico e militare. Giovanni è tentato di andarsene, pure qualcosa lo trattiene. Lentamente, col passare del tempo, egli si lascia invischiare da un vago e maldefinito presentimento, quello che una qualche gloria futura lo attenda , lì dietro l’angolo ,a un passo, se solo persevererà nella vita della Fortezza. Forse i nemici, i Tartari, che non si sa per certo siano realmente esisititi, potrebbero tornare: ecco che Giovanni potrebbe dimostrare a tutti il suo valor militare e dare senso, finalmente, a quegli anni di disciplina militare e di vita sacrificata.
Ma questi nemici arriveranno mai? O forse è solo una stupida illusione, un’ abitudine, un’inerzia ammantata di speranza che governa la vita di Giovanni e l rende possibile l’inesorabile “fuga del tempo”?

Onirico, a tratti surreale pure nella concretezza dettagliata con cui è raccontata la vita militare, questo romanzo offre davvero numerosissimi spunti per riflettere. Il magnetismo di Buzzati crea atmosfere sottilmente inquietanti , scuote la nostra coscienza e le sue pagine, le sue parole, ti rimangono sotto pelle come frammenti di sogno che ti accompagnano lungo la giornata.

Una penna magistrale, uno stile unico e potente che fanno di quest’opera, a mio avviso, un capolavoro.

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silvia t Opinione inserita da silvia t    07 Aprile, 2013
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Il deserto dei Tartari

La speranza custodita all'interno di mura sicure, protetta e coccolata, per anni e anni; la speranza che permette di aggiungere un giorno all'altro nel lungo scorrere della vita; la speranza che si materializza quando ormai non c'è più tempo, non c'è più vita. Buzzati non racconta una storia, ma descrive uno stato d'animo presente in ogni uomo: la solitudine. L'attesa dei Tartari, come catarsi, è metafora dell'inutilità della vita che risulta vera solo nell'azione e non nell'immaginazione, la ricerca spasmodica di uno scopo in qualcosa che uno scopo non ha, il lento scorrere di giorni uguali ad altri giorni, l'inverno che aspetta l'estate che aspetta un altro inverno, nell'attesa che anche l'ultimo inverno, che anche l'ultimo giorno si consumi e l'eterno possa infine avvolgere tutto. Capolavoro del novecento italiano non si limita a trattare in modo originale un argomento così intimo e importante, ma lo fa toccando corde che il lettore neppure immaginava di avere, lo fa capovolgendo i normali punti di riferimento, avvolgendo con nebbie e oscurità la vita degli altri, quella fatta di mogli e mariti, genitori e figli, birra, cibo e divertimenti, che appaiono lontani e frivoli, quasi alieni in un mondo fatto di sogno. Infatti quello che Drogo fa per una quantità di anni che appare infinita è coltivare un sogno, costudirlo e sperare di realizzarlo; è paura quella che prova quando è lontano dalle sue mura, paura che i Tartari possano arrivare e non trovarlo e non importa se nessuno ci crede più, egli ci crede e continerà a crederci, come semplice tenente sentirà questo sogno ancora evanescente prendere forma nel suo cuore, adulto lo confronterà con le gioie che potrebbe avere là nel mondo vero e da vecchio lo consolerà nella malattia. Il sogno vincerà sempre e alla fine si realizzerà, i nemici tanto attesi arriveranno, ma proprio in quel momento, come metafora della vita, si renderà conto che tutto quello che conta, che tutto quello che voleva era raggiungere con dignità l'oblio e l'eternità. Toccante, con uno stile da lasciare a bocca aperta, lascia il lettore pieno di dubbi sulla solidità della propria vita, di quanto davvero tutto il meglio sia ormai alle spalle, non importa l'età, non importa il vissuto, importa solo quanto la speranza dentro il cuore sia viva, se c'è allora si potrà anche morire con un sorriso sincero sulle labbra.
Lettura che non può mancare, lettura che lascia un segno nel cuore e nell'animo.

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AndrewFaber Opinione inserita da AndrewFaber    07 Aprile, 2013
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Una guerra all'ultimo sogno...

Mi sono avvicinato alla narrativa di Dino Buzzati, dietro consiglio di una persona cui davvero non potevo dire no. Ci tengo a precisarlo poiché ognuno di noi ha il suo mentore - "fido dispensatore di inchiostro" - merito sempre e comunque di una possibilità. Pertanto, dopo 'il segreto del bosco vecchio' e 'sessanta racconti', ho concluso il terzo romanzo (si legge spesso: della consacrazione) di Buzzati.
Ho apprezzato sovente, il tratteggio di luoghi incantati nei quali perdersi in gran parte dei suoi racconti. Vien da se una sana curiosità nell'apprendere fin dalle prime pagine, che le vicende questa volta si svolgeranno all'interno di una fortezza militare, resa (nonostante tutto) non meno misteriosa e incantata di tanti altri paesaggi "Buzzatiani".
Dimorerà al suo interno l'ufficiale Giovanni Drogo: tenente in erba, da poco investito del tanto agognato grado.
Fin dai primi giorni la bramosia di un futuro lucente e “solido” che tanto aveva guidato le scelte del protagonista, sembra tuttavia macchiarsi di un’indefinibile mestizia dall’oscura provenienza: che origini ha l'incipiente diniego che pervade chiunque sposi le mura della fortezza Bastiani ?
Nulla di magico, nessuna alchimia, solo il decorso naturale degli eventi: niente di più umano, niente di più fisiologico.
Il deserto dei tartari (verità o legenda?) entità alquanto astratta dall’irrefutabile fascino di mistero e conquista, prende la forma di un qualcosa contro cui lottare a salvaguardia di se stessi, degli anni da vivere e delle emozioni consumate ed erose dall'inesorabile e lento scandire del tempo…
Buzzati scopre le carte in tavola dopo poche decine di pagine, senza mai abbassare il livello della narrazione e - neanche a dirlo - deliziando il lettore con un lessico e uno stile confacenti un par suo.
Un testo ‘importante’ dalla difficile collocazione (la guerra è solo il mezzo), con l'arduo compito di far riflettere sui tempi della vita - il giusto ritmo delle cose - ed è così che percorreremo il sottile filo sui cui Drogo stanzierà la proprie scelte, "poggiando" la propria esistenza alla ricerca di un equilibrio tra il tempo che passa e una "guerra" che non arriva mai…
Questa, dunque, è la fortezza di Buzzati: un luogo laido - atono e consunto dagli anni - in cui si resta imprigionati tra mura stantie pregne di stillanti ricordi che la vita (scegliendo per noi), ci innalza attorno fino all'asfissia… fino all'annullamento dell’io, prigioniero di se stesso.
Persino l'amore è ormai appannaggio di canute e fragili rimembranze, e a distanza di anni, non è più lì dove il tenente Drogo lo ricordava.
Interessante l’aspetto psicologico di alcune figure vicine al protagonista del romanzo, così come l’analisi di ciò che a me piace intitolare (rimanendo in tema): l’arsenale onirico della notte.
Molto bello il finale: degna conclusione di chi pur sbagliando, non ha mai smesso di lottare.


Il passaggio:

“La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco dovrebbe levarsi la luna.
Farà in tempo, Drogo, a vederla, o dovrà andarsene prima? La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d'aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.”


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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    16 Gennaio, 2013
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Il deserto di una vita

E' inverno, è sera. Le giornate al Corriere si fanno interminabili, le notizie arrivano con il contagocce. Sembra che non succeda mai niente di importante. Le settimane scorrono tutte uguali, gli anni passano e la sensazione è che passino inutilmente.
Magari il modo di scrivere di Buzzati al Corriere non va a genio a tutti. Troppo fantasioso, con qualcosa di ingenuo e di infantile. Di certo ci sono colleghi che affrontano le notizie in tutt'altro modo, più aggressivi, più rampanti, pronti a fiondarsi al posto giusto al momento giusto.
Una vita intera può scorrere senza lasciare un segno.
Gli amici si diradano, le donne se ne vanno. La speranza che qualcosa accada si affievolisce come la luce di una candela.
All'improvviso, eccolo, l'avvenimento atteso da una vita intera.
Ma naturalmente anche stavolta il servizio non toccherà a lui. C'è il collega rampante lì pronto come un falco.
Il libro è uno dei più affascinanti della nostra letteratura. Il senso di attesa di qualcosa di grande permea tutto il romanzo e gli dà un'atmosfera particolare, si comunica al lettore che si ritrova lui pure ad aspettare. Poi c'è anche il mistero di quell'orizzonte vuoto, la frontiera che potrebbe anche essere quella tra la vita e la morte.
Infatti, alla fine, qualcosa di memorabile succede. All'orizzonte si intravedono i Tartari.

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Amos Oz, Calvino
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marty96 Opinione inserita da marty96    15 Agosto, 2012
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ALL'INIZIO BOOOO.... POI AHHHH!!!!

“Il deserto dei Tartari” è il romanzo più famoso di Dino Buzzati, esce nel 1940 e viene subito definito come una delle opere più originali della letteratura italiana e straniera, con al suo in-terno, la biografia e la memoria di uomini grandi e meschini e la storia di fatti e di illusioni di ieri e oggi.
Il giovane tenente Giovanni Drogo, attraverso un fatico viaggio attraverso il bosco, durato circa un giorno, giunge, insieme al capitano Ortiz, alla Fortezza Bastiani, uno sperduto presidio al limite del deserto settentrionale. La prima impressione di Drogo, nei confronti della frontiera, è terribile, tanto che vorrebbe andare via subito. Purtroppo ciò non è possibile, gli viene però consigliato dal maggiore Matti, di permanere alla Fortezza per circa quattro mesi, di farsi visitare dal medico e di lamentare dolori al cuore. All’inizio ritrovarsi in quel luogo, contornato dalla desolazione più assoluta, per Drogo risulta sconcertante e soprattutto deprimente. Nonostante questi primi giudizi il tenente finisce per trovare un suo equilibri all’interno di quella realtà militare tanto da rifiutarsi di ritornare in città passati i quattro mesi. Inizia, in questo modo, per Giovanni, una vita scandita da giorni tutti uguali, da una routine ferrea, in questo ambiente il giovane tenente conosce i personaggi principali del romanzo fra cui il maggiore Tronk, il maresciallo Prosdocimo, e i suoi unici “amici”: Piero Angustina e Carlo Morel. Intanto Giovanni capisce che all’interno della fortezza tutte le persone aspirano e attendono un avvenimento: la calata dei Tartari dal nord del deserto. Questo episodio è bramato da tutti perché rappresenta la gloria, il coronamento di una vita e la conferma che l’esistenza passata entro quelle mura non è stata vana. Dopo esattamente due anni, arriva, dal deserto, un cavallo nero. In un primo momento, l’animale rappresenta la certezza della presenza di una popolazione ostile al di là dal deserto. Purtroppo le speranze di tutti i soldati e ufficiali vengono disilluse da una vaga somiglianza del cavallo a quello di un nuovo militare: Lazzari. Quest’ultimo si precipita per riappropriarsi del suo animale ma, perdendo la concezione del tempo, rimane al di fuori della Fortezza oltre il tempo consentito. Intanto Tronk, un soldato di vedetta, intravede un movimento da basso e capendo che proviene da Lazzari decide di sparare comunque e uccide il soldato dopo aver dato per tre volte di seguito il “chi va là”. Nonostante questo spiacevole episodio la vita all’interno della frontiera rimane invariata. Poco dopo essendo stato avvistato un contingente di ignota appartenenza avvicinarsi alla Fortezza, viene eseguita una spedizione a cui partecipa Angustina, che in quelle circostanze perde la vita. Dopo questo avvenimento la vita alla frontiera torna alla normalità e in quel clima passano altri due anni. In seguito Drogo, convinto da Ortiz, prende una licenza e va a trovare la madre e i vecchi amici, sentendosi inadeguato e a disagio a causa del tempo passato, cerca di fare ritorno alla sua quotidianità. Nonostante questa aspirazione si reca alle autorità per ottenere un trasferimento, purtroppo viene avvertito della diminuzione del personale militare, essendo uno degli ultimi a domandare uno spostamento, la sua richiesta viene assolutamente bocciata e viene rispedito nel deserto. Tornato dalla licenza, vede partire uno dei suoi vecchi compagni, in questo modo non gli rimane che l’amicizia di Ortiz, divenuto ormai maggiore. In quel periodo ap-profondisce la conoscenza del tenente Simeoni che, come lui, anela ad una battaglia imminen-te. Per i due nuovi ”amici” al cosa più interessante è scrutare l’orizzonte attraverso il binocolo. Un giorno percepiscono degli avvistamenti, a cui però nessuno crede, in seguito all’insistenza dei due compagni viene vietata l’osservazione del territorio. Mentre Simeoni obbedirà agli ordini, Drogo continuerà, in segreto, ad guardare il deserto. Finalmente in luglio avvista dei lumi all’orizzonte: i nemici stanno lavorando in quella landa desolata stanno, infatti, costruendo una strada. Quindici anni dopo sono conclusi i lavori, ma non arriva alcun attacco. Nel frattempo Drogo diventa capitano, non ha più legami con la sua famiglia e persino Ortiz va in pensione lasciando il comando della Fortezza a Simeoni. Passano gli anni e Giovanni, con il grado di maggiore, è il comandante in seconda della Fortezza: ha cinquantaquattro anni e il fisico colpito da una malattia molto grave. Proprio ora, quando sembra che la vita non abbia più niente da offrirgli, il nemico è alle porte e si prepara per uno scontro imminente. Nonostante Drogo voglia restare nella fortezza, il comandante lo obbliga ad andarsene. Così Giovanni si ferma in una locanda e lì in una piccola stanza in affitto, completamente solo, affronta la sua vera unica battaglia: la morte.
La vicenda del romanzo è ambientata in un paese non identificato. Per quanto riguarda gli spazi aperti fa da grande protagonista il deserto. Non vi sono descrizioni particolarmente dettagliate di questo ambiente, viene tramandato come luogo brullo, impervio e soprattutto desolato, in questo modo, l’autore vuole, forse, dare maggiore libertà alla fantasia del lettore. Prendendo in considerazione gli spazi chiusi, l’elemento più importante è sicuramente la For-tezza Bastiani. Questa, invece, viene descritta come un’ architettura non imponente, né bella e pittoresca, con mura basse e assolutamente spoglia e sobria.
Il periodo storico in cui si svolge la narrazione non è citato. Presumibilmente rientra fra l’inizio e la fine del secolo scorso. La storia si prolunga, tuttavia, per un tempo di circa trent’anni, prende, infatti, in esame la vita di Drogo da quando arriva alla Fortezza al giorno della sua morte.
Giovanni Drogo è il protagonista della nostra storia. Un personaggio particolare e difficile da analizzare per la scarsità di personalità e carattere. Una persona mediocre, giudizio questo, dovuto alla sua mancanza di difetti e di virtù. Nello stesso tempo l’autore non cerca di farcelo apparire più piacevole dal punto di vista fisico, in quanto non vi sono descrizioni dettagliate. La presentazione della sua persona più bella nella quale lo scrittore sottolinea la relazione che c’è fra il suo aspetto e la sua importanza all’interno della fortezza è:”nessuno fece molta attenzione, a un ufficiale magro, dal volto smunto e giallastro, che scendeva lentamente le scale..” . in questo personaggio Buzzati vuole marcare anche la volontà di non cambiare che può essere giustificata dal suo cercare una sicurezza e una conferma del proprio essere. I suoi tristi sentimenti, il rimpianto dell’infanzia, l’insoddisfazione della sua vita si traducono in una desolata solitudine, della quale Drogo è sempre più consapevole.
Il capitano Ortiz ha un ruolo particolare nella vicenda, infatti, affianca Drogo nel momento dell’incontro con la Fortezza, funge da intermediario, solo con li Giovanni instaurerà un rap-porto di amicizia che si protrarrà inalterato negli anni nonostante la differenza di grado.
Simeoni può forse essere considerato l’antagonista. È, infatti, lui che infrange per ben due volte il sogno di Drogo: quello di vedere e di combattere i nemici; rappresenta molto bene coloro che no si pongono domande sul senso della loro vita, che ignorano l’assurdità dell’esistere.
La madre di Drogo è sicuramente una presenza marginale, di fatto non si conosce neppure il suo nome, eppure è il personaggio grazie al quale si evidenzia sempre più il distacco fra Drogo e il mondo esterno, il paese e il passato.
Angustina è uno dei primissimi compagni di Giovanni. È il soldato che muore durante la spe-dizione, in seguito all’avvistamento di un contingente difficilmente identificabile. Questo per-sonaggio è caratterizzato da un carattere particolare snob e quasi aristocratico, molto orgo-glioso.
Tronk raffigura l’incarnazione della massima fede al regolamento e al mondo militare, questo sua visione così schematica del mondo che lo circonda provocherà la morte del soldato Lazzari.
L’attesa… questa è la vera protagonista di tutto il romanzo. Impercettibile ma presente in ma-niera e dose costante nel testo. L’illusione che qualcosa di grande, di importante stia per accadere, qualcosa che possa riscattare la permanenza in una frontiera isolata e angusta come quella descritta nel libro. L’attesa può essere paragonata in un certo senso ad una forma di speranza che ricade negli avvenimenti senza però mutarli in maniera passiva, indifferente, distaccata: esterna.
I temi di questo libro sono vari e molteplici, ma tutti riconducibili al profondo disagio morale che prova l’uomo nei confronti dell’esistenza.
“Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su si sé una minima parte; ce se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine nella vita.”
La solitudine e l’incomunicabilità. La sofferenza scaturita da una placida accettazione dell’ “e-marginazione” a cui l’uomo è sottoposto, dal momento in cui viene stregato e ammaliato dalla propria Fortezza Bastiani, metafora e simbolo della chiusura di carattere, dell’isolamento voluto e cercato, creato attraverso una routine ferrea fatta di abitudine e piccole certezze su cui ogni personaggio fonda la sua esistenza nell’attesa di un riscatto. Emarginazione che crea lui stesso per difendersi da un mondo esterno incontrollabile e spietato con chi non si sa adattare alle sue regole. La soluzione per Giovanni drogo è quindi la “fuga” dalla realtà circoscrivendosi in un mondo fatto di ore di ronda e piccole partite a carte, scricchiolii delle porte e tonfi delle fogne, un mondo incentrato tutto su quel deserto infinito che si protrae davanti ai suoi occhi. In questo clima Giovanni Drogo spende la sua vita/non vita, è proprio lì che trascorrerà i suoi anni migliori e che si lascerà alle spella i sogni puerili per abbracciare l’illusione di poter diventare un giorno un eroe. Intanto però il tempo scorre imperterrito e così senza nemmeno avere avuto il tempo di pensarci è già tardi per cambiare vita, è tardi per tornare indietro, resta solo una malinconia accettata e consapevole e una ferrea speranza che qualcosa di straordinario possa ancora accadere!
“Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro. ‘Ferma, ferma!’ si vorrebbe gridare, ma si capisce che è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.”
È in questa Fortezza, nella “Fortezza” di ogni individuo che si perde, maggiormente, la conce-zione del tempo, si resta sospesi tra l’egoismo, tra le speranze e le illusioni che riempiono l’animo fino a farlo scoppiare, tanto pieno da non aver posto per nient’altro. In questa sospensione la vita la si sfiora, la si vive in maniera passiva, distaccata e fredda, si perdono e si buttano all’aria occasioni d’oro sperando di intravedere fra le tenebre uno spiraglio di luce tale da poter illuminare, anche solo per un tempo brevissimo, il sentiero da seguire.
Il libro quindi termina, come termina la vita di ognuno, con l’ultima tappa, l’ultima stazione, la vera e propria battaglia la morte, a cui Drogo va incontro sorridendo, perché vede finalmente, a viso scoperto, quel nemico che sperava scendesse dal deserto.
In questo libro si ritrovano le tematiche e gli interrogativi di ogni uomo: la differenza fra vivere ed esistere, lo scorrere inesorabile del tempo, la vita intesa come attesa di un avvenimento, la solitudine e l’illogica emarginazione dell’uomo, la sospensione dell’esistenza nel dubbio e in un incertezza fatta di tantissime piccole certezze dettate dall’abitudine e dai fattori protettivi dell’individuo in questione ma soprattutto il limite sottilissimo che c’è fra ciò che è reale e ciò che, invece, è solo speranza, illusione, aspirazione, desiderio. Questi ultimi fattori se coltivati vanno, infatti, a creare nell’animo dell’uomo un involucro protettivo attraverso il quale la persona si distanzia dal mondo esterno, creandosi una sua dimensione.
Dal punto di vista stilistico il libro è diviso in capitoli, per l’esattezza trenta. Un particolare che mi è saltato subito all’occhio, è che anche attraverso la stesura dei capitoli e la distribuzione del testo in questi, si può scorgere l’azione del tempo che passa e non si ferma. Infatti, ventuno dei trenta capitoli, raccontano solo quattro anni della vita di Drogo, mentre i quattro successivi spiegano i dieci anni seguenti e così andando avanti fino a che da un capitolo e l’altro passano addirittura quindici anni: man mani che il romanzo, e la vita di Drogo, precipitano verso la conclusione, il tempo passa sempre più velocemente. in questo modo si appanna l’incantesimo della Fortezza e se ne svela l’inganno.
In alcuni capitoli sono presenti dei flashback, che hanno la funzione di approfondire elementi passati o di anticiparne altri.
Mi ha colpito molto la scelta della voce narrante; questa conosce, e lo lascia intuire, il futuro di ogni singolo personaggio, ci fa sapere ciò che questi pensano, provano, dandoci in questo modo una visione dei fatti onnisciente.
Per concludere l’analisi, il romanzo mi è sembrato scritto in lingua semplice, vicina all’uso quotidiano, sono, naturalmente, presenti linguaggi settoriali propri dell’ambiente militare in cui è ambientata la maggior parte della vicenda. Nei momenti di riflessione, contrariamente a quelli descrittivi, il linguaggio appare più ricercato e più colto. Sono presenti varie forme retoriche fra le quali spicca la metafora. La storia viene esposta in maniera chiara e lineare.
C’è chi, questo libro, lo abbandona alle prime pagine esasperato dalla lentezza della narrazio-ne e chi, seppur con fatica, arriva in fondo, convinto che sarebbe stato più semplice attraver-sare il deserto a piedi. Eppure non posso dire di aver letto un testo né insignificante, nono-stante la trama veramente inconsistente, né scialbo nei contenuti, anzi nella povertà del rac-conto sono subentrate le fantasie, le riflessioni, incalzate dall’autore, le illusioni e i giudizi ri-volti ai personaggi. Tutto questo miscelato attraverso una dose di leggera suspense che fa capolino fra una frase e l’altra. Da chiarire, non si tratta di quella tensione di un libro thriller o giallo, ma di una velata trepidazione per Giovanni che accompagniamo nel suo difficile viaggio. Una lettura faticosa ma intrigante e affascinante, nello stesso tempo molto pesante e complessa soprattutto per la quantità e l’ampiezza dei temi trattati, che portano a delle riflessioni profonde e non sempre semplici. Ed è proprio in questo palcoscenico rarefatto, la cui percezione dello spazio e del tempo si dissolvono, che si muove Drogo, il protagonista, da tutti giudicato e criticato per aver speso una vita, la sua vita, nell’attesa della gloria che purtroppo non arriva. La difficoltà di leggere questo testo la si supera soprattutto quando si inizia a conoscere meglio quest’ultimo personaggio, infatti, esaminando quel mondo immaginario, con il suo occhio critico, facendosi carico dei suoi sogni e delle sue speranze, si può cogliere l’essenza di questo libro che, ovviamente, si spinge al di là della mera descrizione di questo deserto.
Sotto la corazza caratterizzata dalla scarsità di tutto ( personaggi, ambientazione, trama) si ritrova la metafora della vita di ognuno… perché, sinceramente, chi è quell’uomo che non aspetta, magari non in modo così ossessivo, quel qualcosa che dia un senso, che porti a compimento tutto il suo vissuto? Questo fattore secondo me rappresenta la continua fuga dalla quotidianità che, se da un parte ci rassicura e ci da protezione, dall’altra ci fa paura perché ci soffoca e ci fa morire prima del tempo. Quel qualcosa che possa rimanere nella storia come segno indelebile del nostro passaggio per di “qua”.
Un libro che, nonostante sia un capolavoro, lascia l’amaro in bocca… ci siamo, infatti, ormai tutti affezionati a Giovanni, che non possiamo criticare perché, infondo, non ispira antipatia, ma che nemmeno possiamo lodare per la sua pigrizia e la sua arrendevolezza, è proprio que-sto personaggio che non riuscendo a cambiare il suo destino funge da monito per tutte le persone rinchiuse nella loro “Fortezza”, nel loro rifugio nell’attesa che qualcuno possa buttare giù le pietre e finalmente liberarle da loro stesse. Un personaggio che va preso come esempio da non seguire per non ritrovarsi soli e per non arrivare un giorno a dire:”…se avessi fatto… se avessi detto…”

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rakovic Opinione inserita da rakovic    02 Luglio, 2012
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una vita in attesa

L'ufficiale Giovanni Drogo passa la vita in un avamposto militare scrutando l'orizzonte in attesa di un nemico che non arriva mai. Quando finalmente si vedono in lontananza le truppe degli avversari ormai è vecchio e malato e viene rimosso dall'incarico e portato via dal forte per morire altrove. Il tutto è narrato con una legerezza iniziale ed un pathos crescente man mano che la lettura procede.
Quante vite somigliano a quella di Drogo! cambia solo l'ambientazione ma sono tanti coloro che spendono la propria esistenza in attesa di qualcosa che non succede mai. Lettura piacevole e che fa riflettere.

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spanish77 Opinione inserita da spanish77    03 Mag, 2012
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SI IMPAZZISCE NELL'ATTESA DI CIÓ CHE NON ARRIVA

Come qualcuno ha scritto: “questo libro rappresenta a livello simbolico la metafora della vita”, ed io mi permetto di correggere , di “alcune vite”. In effetti la trama del protagonista va necessariamente associata alla parabola della vita di molte persone. In un palcoscenico rarefatto, la cui percezione dello spazio e del tempo sono abbastanza dilatate, si muove il protagonista della vicenda, il militare Giovanni Drogo, che in giovane età, viene assegnato in modo arbitrario alla fortezza Bastiani , luogo isolato, sconosciuto quasi mitico ed avvolto dal pressoché totale mistero. Già prima di arrivarvi Giovanni mostra tutto il suo disappunto per questa sua nuova assegnazione , ostentando la sua più totale voglia di andarsene quanto prima. Tuttavia una volta arrivato a destinazione, verrà come stregato e soggiogato da quelle alte mura e da quell’atmosfera così decadente che lo circonda. Senza un motivo specifico o una ragione precisa , il protagonista rimarrà in quella fortezza per quasi tutta la sua vita, attratto e stregato da quella vasta pianura che si spiega a nord della fortezza stessa, attratto e sedotto dalla continua suggestione creata dalla possibilità imminente dell’arrivo di un fantomatico nemico che effettivamente mai arriverà, quanto meno non per Giovanni. Questo timore, che spesso si tramuta in desiderio di affrontare un immaginario nemico che viene dal nord , contagia quasi tutti i militari che decidono di passare la loro vita nella fortezza “incantata”, ed è proprio questa smania che li porta a fare cose strane , ad impazzire e talvolta perfino a morire. Nel complesso le vicende che accadono sono ben poche , la lettura può risultare anche un po’ noiosa se non si riesce ad immaginare questa landa vasta e deserta su cui tutti i protagonisti del libro riversano le proprie aspettative. Deserto dei Tartari come parabola di vita perché , capita a molti di rincorrere un obiettivo per gran parte della vita per poi a fine corsa rendersi amaramente conto della futilità di tale illusione……

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LetyDarcy Opinione inserita da LetyDarcy    09 Gennaio, 2012
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Tutto quello che voglio evitare

Ho paura che la mia vita finisca così, nell'eterna attesa di qualcosa, nell'accontentarmi, nel lasciarmi avvinghiare dalla quotidianità, dalla routine, dall'assenza di vie di scampo, che in realtà ci sarebbero, ma l'abitudine ormai soffoca il cervello ed impedisce la fuga. Per sempre ad aspettare una guerra che arriva solo nel momento della mia morte. Non voglio accontentarmi e fare qualcosa che non mi piace solo per tirare avanti: ho 18 anni e combatterò per realizzare tutti i miei sogni. Non ho nessuna intenzione di finire al confino per sempre ad osservare un deserto. Mi ha sconvolto, alla fine ho pianto.

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manu chan Opinione inserita da manu chan    25 Settembre, 2011
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Una lunghissima attesa...

Mi dispiace ma questo libro proprio non l'ho retto... "Il deserto dei tartari" è uno dei tanti romanzi scritti da Dino Buzzati. Si narra di un tenente che un giorno riceve una lettera di trasferimento in una caserma isolata, ma molto importante perché al confine con il deserto, da cui sarebbe potuto giungere una truppa di Tartari, un popolo sconosciuto e temuto allo stesso tempo da tutti ... La cosa strana è che all'arrivo del tenente Drogo, non risulta alcun nome corrispondente al suo e così il superiore gli suggerisce l'idea di fingersi ammalato sotto raccomandazione sua e di ritornare a casa. Quando però il momento di lasciare la caserma isolata arriva, Giovanni Drogo si ritira e si converte all'idea del soggiorno in quel posto squallido. Il libro è una continua attesa, un respiro affannoso che il lettore non riesce a placare. Io proprio non ce l'ho fatta a finirlo di leggere.

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fmalu Opinione inserita da fmalu    27 Mag, 2011
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La parabola della vita

Un libro divenuto ormai un classico, che finisce per disegnare la parabola e le speranze della vita. In uno stile fluido e chiaro, l'autore ci narra la storia di un giovane ufficiale inviato ad un lontano avamposto in attesa dell'arrivo del nemico. Nemico che nel corso degli anni si farà attendere, mentre il protagonista, inizialmente abituato a tutt'altra via, si abituerà sempre più ai ritmi lenti e ripetitivi della vita nel deserto.

Un capolavoro a mio avviso, anche se molto dipende dalle aspettative con cui ci avvicina alla lettura. Non è un romanzo di avventura ne un romanzo di guerra. E' un libro che illustra il carattere umano, il suo adattarsi, disegnando allo stesso tempo le aspettative e le illusioni umane, senza fare alcuno sconto al pizzico di follia insigne in ognuno di noi. Perchè forse, come il protagonista, a volte ci perdiamo ad aspettare, aspettare e ancora aspettare, finendo poi per non agire. Una parabola sulla realtà quotidiana ancora attiva.

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Lady Libro Opinione inserita da Lady Libro    11 Aprile, 2011
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Capolavoro

L'ho divorato in pochi giorni! La storia è molto profonda e ricca di sentimento e realismo più di quanto si possa immaginare... E'una meravigliosa metafora della vita e dell'esistenza! Dino Buzzati era proprio un grande scrittore. Grazie a Giovanni Drogo e alla Fortezza Bastiani si capiscono moltissime cose tra cui, certamente, che le proprie occasioni bisogna crearsele da soli e non aspettarle. Solo la mente e la mano dell'uomo riescono a far diventare realtà tutto ciò che è immaginazione... Drogo aspetta, aspetta nella "magica" Fortezza Bastiani che lo attrae come una calamita. Non ha il coraggio (o il desiderio?) di abbandonarla, sentendo vicino il momento in cui, forse, riuscirà a diventare qualcuno e a provare l'emozione di combattere contro i Tartari... L'attesa, però, risulta vana e Drogo si rende conto di aver sbagliato... Veramente un romanzo unico al mondo!

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    03 Settembre, 2010
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L'attesa

Dino Buzzati, giornalista e scrittore, nei suoi romanzi fugge dalla realtà per fornirci una visione onirica della stessa, entrando a far parte, con pieno merito, della elite degli autori del genere fantastico. Il ricorso alla metafora per esprimersi raggiunge in lui vette eccelse e del resto la sua opera più celebre, Il deserto dei tartari, cosa è se non una metafora della vita degli uomini, sempre in attesa di un evento che non sanno nemmeno immaginare e che finirà con il concretizzarsi sempre nella morte?
E’ ciò che accade al tenente Giovanni Drogo, protagonista di una vita che potremmo definire anche non vita e che arriva come sua prima destinazione alla Fortezza Bastiani, l’estremo avamposto dell’impero, oltre il quale si stende una landa deserta, del tutto inanimata.
In un lontano passato lì correvano a briglia sciolta i tartari, durante le loro incursioni, ma ora non c’è che silenzio e invano tutta la guarnigione attende di veder comparire un ipotetico nemico, in uno scorrere monotono del tempo che finisce con il segregare i militari, per renderli prigionieri di se stessi, come giocatori accaniti di carte sempre fiduciosi nel colpo della loro vita.
Benchè Drogo arrivi alla fortezza convinto di restarvi per poco, piano piano viene ammaliato da quell’atmosfera di tempo sospeso e, se da un lato, ci sono i buoni motivi per essere destinato altrove, dall’altro più pressanti, più forti sono le inconsce ragioni per rimanere.
In una vita in cui tutto è ripetitivo e regolato dalla struttura militare il giovane tenente si assopisce nel sogno di una prossima calata dei tartari, in battaglie in cui coprirsi di gloria, vivendo, di fatto, due vite, ma alla fin fine non vivendone nessuna.
Solo dopo 15 anni di permanenza si accorgerà del tempo trascorso, di quella giovinezza appassita nel nulla e sfuggitagli di mano “la prima sera che fece le scale un gradino per volta.”.
E’ troppo tardi per ricominciare e del resto la malìa della fortezza, se lascia squarci di lucidità, è solo perché, nella consapevolezza di non poter rimediare, ravviva il sogno per il quale restare.
Passano altri anni, Drogo invecchia e proprio quando sta per lasciare quel luogo, minato da una grave malattia, per ironia della sorte il deserto si anima e i tartari attaccano.
Il tenente morirà in solitudine, nella camera di un’anonima locanda della città, cercando tuttavia di comprendere il senso della sua vita. E così si convince che l’autentica missione, quella suprema, è quella a cui sta andando incontro e in cui proverà tutto il suo valore; affronterà così la morte con dignità “mangiato dal male, esiliato tra ignota gente”. Ha combattuto una sola battaglia, quella autentica, da cui non si esce mai vincitori, ma grazie alla quale, pur vinti, è possibile dare un senso anche ultraterreno a tutta un’esistenza.

“La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d’aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po’ il busto, si assesta con una mano il colletto dell’uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.”

Dal romanzo, pubblicato nel 1940, è stato tratto nel 1976 un bellissimo film diretto da Valero Zurlini.

Da leggere il romanzo, perché è stupendo, e da vedere il film, perché è una pellicola di grande pregio.

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ferdix Opinione inserita da ferdix    24 Luglio, 2010
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Inquietante

Il comandante Drogo, che si consuma nell'attesa di una memorabile battaglia che non arriverà mai è la metafora dell'uomo moderno, che, incapace di dare un senso positivo alle piccole realtà quotidiane, cerca inutilmente di segnare la propria vita con gesti straordinari che possano restare memorabili.
Così facendo, egli non si accorge di aver perso tempo prezioso, che poteva ben altrimenti essere speso, in quelle piccole cose che per lui erano mediocri. Così, anche noi cerchiamo l'occasione 'memorabile' che possa dare una svolta al grigiore delle nostre piccole vite, ma questa non arriva quasi mai, e, se mai arriva, allora non ce ne accorgiamo, perché si presenta diversa da come ce la siamo immaginata per tanto tempo.
Libro pessimista, ma scritto con quel gusto per la classicità stilistica che era propria dell'autore, e che oggi va progressivamente perdendosi nei meandri del 'facebookese'.

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Opinione inserita da antonio    18 Dicembre, 2009

Non un capolavoro ma una gran bel romanzo

A chi non si capaciti dell'importanza di questo romanzo si può sicuramente rivolgere l'invito ad una più profonda riflessione su ciò che potrebbe essere uno dei possibili significati celati tra le righe di questo lavoro: la solitudine della moralità e la scelta di perseverare ad ogni costo nel proprio compito consapevole di soddisfare i criteri che sono alla base dei valori in cui si crede.

E' senza dubbio una lettura faticosa, soprattutto nella parte iniziale: ma questa difficoltà la si supera solo lasciandosi cadere in questo mondo immaginario, impossibile da collocare nel tempo e nello spazio: solo impiegando lo stesso occhio critico di Giovanni Drogo, immedesimandosi nel suo ruolo e facendosi carico dei suoi sogni e delle sue speranze, si può cogliere l'essenza di questo racconto che, ovviamente, si spinge aldilà della mera descrizione di questo fantastico deserto.

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A.M. Opinione inserita da A.M.    23 Novembre, 2009
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Desolante?

Ci sono capolavori che giacciono in un cassetto per esser rivalutati postumi e romanzi modesti che si vuol, a tutti i costi, far passare per opere d'arte. Il Deserto dei Tartari appartiene a questa seconda categoria. La scuola può far danni come la religione! Perchè romanzi come quello in esame passano alla storia? Sono convinto che sia la società ad inculcare concetti errati nel giovane e lo costringa a pensarla in un determinato modo. Crescendo poi, fortunatamente, qualcuno riesce a liberarsi dai condizionamenti e nuotare controcorrente. Leggete il Deserto dei Tartari liberi da condizionamenti e lo troverete un romanzo che di speciale non ha nulla. Semplicemente racconta la vita per come la conosciamo. E' questo un motivo sufficiente per farne un capolavoro?

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faye valentine Opinione inserita da faye valentine    18 Novembre, 2009
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divino!!

semplicemente divino nella sua semplicità.. apre gli occhi.. la mente.. è una metafora della vita che ha la ricchezza di non presentare un problema e fornirne la soluzione, ma di essere un libro aperto, che fa riflettere, dove ogni lettore può trovare la propria soluzione. drogo è tutti noi, ognuno a suo modo.

un romanzo sempre attuale, che abbaglia, stravolge, che crea ansia, che s'insinua nell'anima del lettore, che non può non essere amato. un capolavoro.

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Opinione inserita da luca    08 Agosto, 2009

Il deserto dei Tartari

Un capolavoro. Ognuno di noi vive la vita aspettando sempre il momento del trionfo, aspettando quel qualcosa che dia un senso, che porti a compimento tutto il nostro vissuto. Una continua fuga dalla quotidianità che, se da una parte ci rassicura, da un altra ci fa paura perchè ci fa morire prima del tempo. Il bisogno che c'è dentro di noi di fare qualcosa di importante, che rimanga nella storia, quel qualcosa per cui gli altri ci ricorderanno quando non ci saremo più, ed il loro ricordo ci permetterà di sopravvivere. Quel qualcosa che non arriva mai, e quando arriva ormai è troppo tardi, qualcosa dentro di noi e fuori di noi è cambiato e non ci permette più di godere di quel momento tanto atteso. Ripeto, un capolavoro. E ai giovani, abituati ad avere sempre fretta, senza la pazienza di aspettare perchè bisogna avere tutto subito, perchè bisogna solo vivere di sensazioni forti, e che non accettano che nella vita bisogna anche sapersi annoiare io dico:leggetelo e traetene insegnamento.

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valebilly Opinione inserita da valebilly    27 Febbraio, 2009
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Il deserto dei tartari

Un libro che lascia un po' l'amaro in bocca... trascorrere la propria vita nell'attesa che qualcosa avvenga, e poi ritrovarsi troppo anziani, stanchi e malati quando finalmente è giunto il momento. un invito a non trascorrere una vita nell'attesa che il destino abbia il suo corso, ma a reagire e a trovare il coraggio di cambiare radicalmente? o forse solo una amara metafora della vita di tutti noi, volta a rincorrere quella speranza (sempre ultima a morire) che un giorno o l'altro dal cielo arriverà quello che infondo stiamo aspettando da sempre?.. difficile a dirsi. il personaggio, senza vizi ma anche senza virtù, creato apposta per non ispirare particolari simpatie, non riesce a cambiare il suo destino, non riesce a lasciare la fortezza, divenuta ormai sua prigione dorata: escluso dal mondo che è andato avanti senza di lui, il solo posto dove può vivere e sperare di riuscire a realizzarsi è là, in quell'enorme costruzione spersa per le montagne, sull'orlo di un deserto ogni mattina uguale...

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Il vecchio e il mare
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Opinione inserita da positiva    04 Febbraio, 2009

il mio pensiero

Libro pieno di metafore, un bello schiaffo morale, che fa riflettere.

A mio avviso,il protagonista Drogo, nella Fortezza trova piu che una prigione, fatta di abitudini e di regole, un rifugio. Non da subito, ma comunque prima che lui possa capire, la Fortezza diventa un modo, forse l'unico possibile, per semplificarsi l'esistenza.
Drogo non riesce ad affrontare la vita, la rifiuta, prima per orgoglio e poi perchè non riesce a darle una svolta. E' troppo tardi quando si rende conto che la vita gli è passata davanti, senza averla mai vissuta. Troppo tardi quando si rende conto che i suoi vecchi amici, che non hanno cercato grandi glorie ma hanno vissuto una vita semplice, hanno creato qualcosa di importante: dei figli, una famiglia; lui farebbe ancora in tempo ma non ne ha il coraggio.
Egli è sempre in attesa di rivincite, di giorni migliori.
Vive in profonda solitudine, sperando in avvenimenti che possano cambiare e dare un senso alla sua esistenza. Purtroppo questa è una idea fin troppo comoda: mentre lui vive immobile, giustificando gli eventi che trasformano la sua vita insoddisfacente, gli anni passano fino a quando realizza che ormai da aspettare c'è soltano la morte.

Il messaggio che mi lascia questo libro è "non devo perdere tempo". La vita va sempre vissuta a pieno, giorno per giorno.

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