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Nel segno della pecora
 
Nel segno della pecora 2013-08-19 13:02:31 Giovannino
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
Giovannino Opinione inserita da Giovannino    19 Agosto, 2013
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Il primo Murakami.

E rieccomi qui, ancora con un Murakami, eh si, questo ponte di ferragosto l'ho passato con i libri dello scrittore di Kyoto, anche se stavolta non sono stato così entusiasta come l'altro ieri (Norwegian Wood). "Nel segno della pecora", come saprete in molti, è stato il terzo romanzo di Murakami, ma il primo ad aver riscosso i favori della critica e del pubblico. Qui cominciamo ad intravedere lo stile di Murakami, sopratutto per quello che riguarda gli aspetti onirici, che poi vedremo affermarsi ancora meglio nelle opere successive, ultima su tutte 1Q84. Il libro racconta della storia di un giovane pubblicista giapponese, amante dei piccoli piaceri della vita (altro tema ricorrente di Murakami) che ha da poco divorziato dall'ex moglie, lavora in società con un amico (ex alcolizzato) e da poco si è fidanzato con una ragazza dalle orecchie meravigliose, particolare da non sottovalutare in quanto sembrano avere dei poteri particolari. Fino a qui, ad eccezione della ragazza, tutto normale. Un giorno però il nostro protagonista viene contattato da uno strano faccendiere, al soldo di un ricco uomo politico in fin di vita, che gli mostra una foto usata dal protagonista per una campagna pubblicitaria. Nella foto, scattata dall'amico del nostro protagonista (del quale non sapremo mai il nome) vi è raffigurato un gregge di pecore, ed al centro una strana pecora con una stella marrone sulla schiena. Il faccendiere, con modi poco convenzionali, obbliga così il protagonista a partire verso la regione dell'Hokkaido, luogo dove è stata scattata la foto, alla ricerca di questa pecora. Quest'ultimo, messo alle strette (o trova la pecora in un mese o perderà tutto quello che ha) inizia la sua ricerca. Il resto non ve lo racconto è un libro di 307 pagine e con il classico stile di Murakami si legge che è una meraviglia, mi resta però un po' di amaro in bocca soprattutto riguardo due questioni. La prima riguarda il senso del romanzo, legato ai continui riferimenti a mondi e personaggi fantastici (tipico di Murakami, come già detto) che forse, e dico forse, vogliono portarci alla riflessione che ogni vita ha un senso solo se rincorre uno scopo, ma onestamente a tratti la vedo forzata, molto più naturale e sensato il ragionamento (limitato ad un capitolo del romanzo) che ogni cosa ha un nome in base alla funzione che occupa, da lì ne nasce poi una digressione molto interessante. Secondo "amaro in bocca", che poi ritrovo spesso nei libri di Murakami, il finale. I finali di Murakami spesso fanno perdere valore a tutto il buono precedentemente accumulato nel corso della lettura. In conclusione un libro che si legge volentieri, a tratti simpatico e avvincente, ma non certo un capolavoro. L'ultima riflessione personalissima sull'autore però dovete permettermela. Reputo Murakami uno dei migliori scrittori contemporanei che ci siano, ha uno stile avvincente, scorrevole, mai banale. Sa scrivere, e bene. Manca però di sostanza. L'unica volta che al posto dei Little People e dell'uomo pecora ha sostituito un po' di sostanza (Norwegian Wood) ha fatto un capolavoro. Comunque grande.

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