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Nel blu tra il cielo e il mare
 
Nel blu tra il cielo e il mare 2015-03-02 23:00:55 annamariabalzano43
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    03 Marzo, 2015
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La forza dell'amore in una striscia di terra desol

È un romanzo toccante, coinvolgente e commovente pur nella crudezza descrittiva di certi brani, l’ultima opera di Susan Abulawa.
Con un’originale tecnica narrativa che vede ogni capitolo preceduto da una brevissima introduzione affidata al personaggio di Khaled, l’adolescente colpito dalla sindrome “locked in” che non gli permette di comunicare con l’esterno, e che lo lascia sospeso nel blu, tra il cielo e il mare, l’Abulawa ci descrive il mondo dei profughi palestinesi rifugiati nella striscia di Gaza, dopo la distruzione della città di Beit Daras da parte degli israeliani. Una saga familiare che copre parecchi decenni e segue le sorti dei numerosi membri della famiglia. Un romanzo epico, in cui il coraggio e la forza delle donne violate e umiliate dal nemico, la dignità e la fermezza dei giovani presi prigionieri e torturati sono temi fondamentali.
Nella desolazione dei campi profughi, tuttavia, i sentimenti resistono, acquistano nuovo vigore, altre vite vengono a popolare un mondo senza prospettive sicure, in cui persiste una speranza incrollabile in un futuro migliore. Sono le donne la colonna portante di questa società maschilista, che con sacrificio, dedizione e coraggio affrontano la fame e la povertà, mentre i bambini percorrono i tunnel scavati sotto terra per fare contrabbando di ogni tipo di merce. Ed è agli spiriti ginn, a Sulayman, che ci si rivolge nei momenti in cui più si ha bisogno di conforto, o quando si vuole allontanare il malocchio. La superstizione in questo contesto storico e sociale diviene un’esigenza comprensibile, non tanto legata a un sottosviluppo culturale, quanto a un’umana necessità di speranza e fiducia. E la vita non è più facile per quelli che riescono a emigrare, come nel caso di Nur e del nonno che aveva coltivato fino alla fine il sogno di tornare nel suo paese.
Con sobrietà e dignità, Susan Abulhawa descrive la sofferenza collettiva e individuale d’un popolo che da decenni non conosce pace, racconta la sua forza, la costanza con cui riesce a ricostruire ciò che la guerra distrugge : “La speranza non è un soggetto/non è una teoria./E’ una dote.”
Bellissimo è l’ultimo brano affidato alla voce narrante di Khaled, ormai nel blu, nei colori, fuori del tempo, tra il cielo e il mare, nel cielo di Gaza, in Palestina.

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Commenti

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Bella e utile, per me, segnalazione. I voti dati concorrono a formare il giudizio, grazie.
Grazie a te, Laura.
ciao Anna, bella segnalazione commentata con la bravura che ti contraddistingue.
Ogni storia ambientata in Palestina riesce a trovare da sola, senza nemmeno troppo aiuto da parte di chi le scrive, la via per colpirci profondamente.
Ti confesso, Pierpaolo che a tratti mi sono profondamente commossa...e non mi capita spesso!
In risposta ad un precedente commento
gracy
04 Marzo, 2015
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Bene bene, mi pare di capire che Susan Abulhawa mantiene sempre alte e rispetta le aspettative, io ho "Ogni mattina a Jenin" sul comodino che ancora aspetta di essere letto.
Non ho letto Ogni mattina a Jenin, Gracy, ma questo è un bel romanzo. Sono certa che ti piacerà.
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