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Le braci
 
Le braci 2015-07-14 15:24:19 Anna_Reads
Voto medio 
 
1.5
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
1.0
Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    14 Luglio, 2015
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Boring.

SPOILER (?)

Premessa.
So che ha riscosso pareri più che entusiasti nella quasi totalità dei miei amici lettori, non di meno il mio giudizio è fortemente negativo. Sempre sul libro, ovviamente, mai sull'autore o i suoi lettori.

Romanzo iniziato e finito in una giornata. In genere, quando un romanzo di circa 200 pagine si legge un in giorno, vuol dire che il lavoro è stato piuttosto blando. Condizioni veramente ottimali.
Ci sono altre due cose che possono spiegare una lettura in un tempo così breve (per i miei standard, si intende):
1. Lettura assolutamente coinvolgente che “ti prende” tanto da impedirti di abbandonarla.
2. Lettura vischiosa ed irritante che ti costringe a finirla quanto prima, scrivere la recensione e non sentirne mai più parlare.
Ahimè (è proprio il caso di dirlo) sono decisamente orientata verso il punto 2.
La storia ci narra di due amici ormai anziani che si rivedono dopo 41 anni. Inseparabili fin dall’infanzia, si sono drammaticamente lasciati 41 anni prima, senza spiegazioni e senza saluti. L’autore adombra che vi siano un “segreto” e una risposta da dare che hanno atteso tutto questo tempo. Viene descritto il punto di vista di uno dei due “amici”, Henrik, che dopo la separazione ha continuato ad essere un soldato dell’Impero Austriaco ed ha sempre vissuto nel natio Castello dei Carpazi.
L’altro amico – Konrad – ha invece vissuto, in tutti questi anni, fra Londra e “i Tropici”.
Si allude anche alla presenza – sia nel segreto che nella domanda – della giovane moglie di Henrik, Krisztina.
Krisztina che è morta (anzi, “ha deciso” di ammalarsi e morire) 8 anni dopo la sparizione di Konrad e che, dalla sparizione in poi, non ha più visto (né ha più parlato) con il marito.
Hum.
Mumble mumble.
Due amici inseparabili, la moglie di uno dei due, brusca separazione, coniugi che non si parlano più, turpe segreto e domandone finale…
Ok, non è necessario fare una scappata a Baker Street, per interpellare Sherlock Holmes sulla faccenda. Lui, lei l’altro. È abbastanza chiaro.
Il triangolo, sì, l’avevo considerato.
E va anche bene.
Il punto non è la geometria; si possono scrivere bellissime storie, partendo dal “banale” triangolo (e da qualsiasi altra figura geometrica).
Basta caratterizzare bene i personaggi e inserirli in una storia che funziona.
Qui partiamo abbastanza bene, descrivendo l’infanzia di Henrik (ho amato particolarmente l’estate in Bretagna, temo per mie derive emotive) ed accennando alla storia d’amore dei suoi genitori.
Si adombra il tema centrale: ci sono persone – come Henrik e suo padre – fatte in un certo modo ed altre – Konrad, la madre di Henrik, Krisztina – che sono “diverse”.
Ma questo essere “diverse” non viene mai raccontato, al lettore. Questo essere “diversi” viene sempre detto e mai raccontato, né tanto meno vissuto.
Anche questo non è necessariamente un difetto. Ci sono scrittori geniali che con un’immagine e una suggestione riescono a rendere la complessità di personaggi e persino di categorie umane.
Marai ci prova.
Descrive l’esecuzione a 4 mani della Fantaisie Polonaise di Chopin (https://www.youtube.com/watch?v=ge1uw3UjoUQ) da parte di Konrad e della madre di Henrik:
“Era come se tutte le cose vecchie ed ammuffite, sepolte da tempo nei cuori umani, ricominciassero a vivere, come se nel cuore di ogni essere si annidasse un ritmo mortale che, ad un certo punto della vita, potrebbe mettersi a pulsare con implacabile violenza. Gli ascoltatori pazienti (sono Henrik suo padre) compresero che la musica rappresentava un pericolo.”
Il “demone” della musica rende diversi ed “inquieti” Konrad, Krisztina e la madre di Henrik.
Chopin era mezzo francese e mezzo polacco. La madre di Henrik è francese. La madre di Konrad era polacca… spiegata la diversità e morto lì il discorso.
Vabbe’.
Siamo speranzosi. Magari Marai non ci descrive i diversi, ma farà un lavoro encomiabile nel descriverci gli “uguali”. Sarebbe anche una scelta insolita e di certo interessante. Sappiamo tutto di Tristano e Isotta, ma qualcosa in più su Re Marco e Isotta dalle Bianche Mani, magari…
Speranze vane.
Gli “uguali” sono nello specifico quelli che si identificano e realizzano nel loro essere soldati dell’Impero (non a caso Henrik e il padre son di solito definiti con il loro grado: generale, il primo, ufficiale di guardia, il secondo) e, più in generale, quelli che aderiscono con precisione e gioia al loro destino (la balia Nini). Fine.
Vabbe’.
Magari me li inserisci in un plot spettacolare.
Anche qui il tentativo c’è.
I due ex-inseparabili si rivedono dopo 41 anni.
Konrad annuncia la sua visita.
Henrik prepara scrupolosamente la scena, mettendo in atto una replica perfetta dell’ultimo incontro avuto – in quello stesso castello – 41 anni prima.
Konrad arriva, i due si danno la mano, cenano.
Konrad – che è stato lontano – ragguaglia velocemente Henrik sulla sua vita ai Tropici. Henrik fa lo stesso con la sua vita.
Viene posta la questione della domanda.
E la domanda viene formulata.
Per circa 100 pagine.
Di monologo.
Di Henrik.
Quando finalmente la domanda viene formulata (“Krisztina sapeva che quella mattina, durante la caccia, avevi voluto uccidermi?”) e Konrad fa tanto di cercare di aprire la bocca e di rispondere, Henrik lo blocca.
Ha formulato male la domanda.
Henrik si prende una decina di pagine e riformula: “Krisztina sapeva che quella mattina nel bosco tu avevi intenzione di uccidermi?” (riformulazione che sarebbe riduttivo definire fondamentale, in effetti).
Konrad si avvale della facoltà di non rispondere.
“Va bene” replica Henrik.
Seconda domanda: “Cosa abbiamo guadagnato con il nostro orgoglio e la nostra presunzione? (…) non credi che non saremo vissuti invano poiché abbiamo provato questa passione?”
“Perché me lo domandi? – replica tranquillamente l’ospite (Konrad) – sai bene che è così.”

Capisco che messa così suoni quanto meno irrispettoso, però il mio primo impulso è stato osservare che potevano anche telefonarsi a casa e non tediare (me) per complessive 170 pagine di nulla (o di molto poco).
Ammetto di non essere una maratoneta della logica astratta, e, specialmente quando sto leggendo un romanzo, non mi vada di incartarmi in speculazioni filosofiche gesuitiche. Ammetto anche di avere una marcata insofferenza per lo psicologismo e tutti i costi e per le descrizione delle microscopiche variazioni cromatiche degli stati d’animo dei personaggi. Preferisco dedurle da sola dalle loro azioni.
Detto questo, però… mi è parso davvero troppo…poco.
Questo romanzo mi ha ricordato in maniera singolare “Lettera di una sconosciuta” di Zweig. A parte il numero 41 ricorrente, l’ambientazione, Vienna a prevalere è proprio questa sensazione vischiosa di incompiutezza e vacuità.
Vischiosa vacuità.

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Commenti

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Certo che non si può dire che non ti faccia una tua idea personale sulle cose. Sei sempre bella decisa: ottimo. Non avendo ancora letto questo libro non posso esprimeremi per la condivisione o meno del tuo punto di vista. Mi riaggiornero' dopo la lettura (che dopo questa recensione non so se avverrà così presto...)
Una bella stroncatura !!! Ho letto solo il finale del commento dato l' avviso "spoiler " ad inizio recensione.
Ho acquistato questo libro proprio sulla base delle tante recensioni positive che avevo letto, ora dopo questa tua bocciatura sono ancora più curioso di leggerlo. Significa che è una lettura che non lascia indifferenti.
Mario Inisi
15 Luglio, 2015
Ultimo aggiornamento:
15 Luglio, 2015
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In effetti è un libro che non dice. Devi immaginare quello che nessuno dei due amici spiega all'altro. Le cose sono dietro le righe e non tra le righe. Io ho immaginato un amore tra i due amici. Questo amore fa sì chenon volendo viverlo apertamente (almeno uno dei due, il marito di Kristina) i due debbano stare lontani anche se la vita l'uno lontano dall'altro non ha significato. Non scendendo a patti nessuno dei due, non c'è soluzione. Per me il romanzo è bellissimo. Marai è così, è bello per quello che ti lascia indovinare e intuire.
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Anna_Reads
15 Luglio, 2015
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Mi sa che con l'avanzare dell'età sto perdendo la residua diplomazia :)
Aspetto le tue impressioni!
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Anna_Reads
15 Luglio, 2015
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Certamente no, non lascia indifferenti.
Attendo le tue impressioni!
A presto
A.
In risposta ad un precedente commento
Anna_Reads
15 Luglio, 2015
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La tua lettura è affascinante e ti confesso che non avevo assolutamente pensato a questa possibilità di interpretazione.
Mi sa che il buon Marai finisce proprio fra le mie "bestie nere" (è in buona compagnia, purtroppo).
Io l'ho proprio trovato (troppo) verbosamente descrittivo e mi è parso che ciò frenasse ogni eventuale "slancio" del lettore. Credo di avere ufficialmente delle difficoltà con gli autori del centro Europa :)
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
16 Luglio, 2015
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Non ti preoccupare anche io ho le mie bestie nere che piacciono a tutti meno che a me. Mi dispiace un sacco di non riuscire a trovarci quello che ci vedono gli altri ma c'è poco da fare.
Voto la tua recensione perchè va controcorrente ed è bello leggere opinioni e giudizi diversi.
Non condivido però nulla di ciò che hai scritto. Disaccordo totale.
Le Braci è uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi anni.
Problemi con gli scrittori della Mitteleuropa? Musil è un osso duro, Mann è più abbordabile e affascinante, però io suggerisco di partire con Joseph Roth: se non funziona nemmeno quello, non c'è speranza.
In risposta ad un precedente commento
Anna_Reads
10 Agosto, 2015
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A volte capita che libri molto amati lascino qualche lettore molto perplesso, a dir poco.
Quella delle Braci è stata un lettura "di gruppo" e devo dire che la stragrande maggioranza dei pareri espressi era stata entusiastica. Va detto che gli aspetti che venivano elogiati sono proprio quelli che, in genere, non mi appassionano (il "non detto", l'attenzione alla sfumatura psicologica).
Per quanto concerne gli altri mitteleuropei, devo dire che di Joseph Roth lessi - illo tempore - "Il Mercante di Coralli" e mi piacque parecchio (pur non essendo il racconto uno dei miei terreni preferiti). Di Musil ho uno sbiadito ricordo liceale e per dire qualcosa dovrei proprio riprenderlo. Però Mann è un'altra delle mie "bestie nere", letto solo i romanzi brevi (appunto perché "brevi" temo), arenata più e più volte con i Buddenbrook, lasciato "L'Eletto" a circa cinquanta pagine dalla fine, con vivo sollievo, ahimè. Di Zweig ho già detto... forse l'unico mitteleuropeo che ho amato tanto è stato il "nostro" Italo Svevo...
Ma non perdo la speranza e ogni tanto ci riprovo!
Sono d'accordo con questa recensione.
Ho letto il libro e se inizialmente ero intrigato dall'andazzo che aveva preso la trama, il mio interesse è stato poi violentemente soppresso. Nonostante le profonde riflessioni filosofiche, è venuto a meno il ritmo calzante poiché è stato stroncato dalla pesantezza del monologo quasi senza interruzioni del protagonista. Monologo di un centinaio di pagine che doveva introdurre due domande, una delle quali non ha ricevuto risposta e l'altra è stata ridicolamente liquidata con poche parole.
Io come lettore mi sono sentito preso per il culo. L'ho trovato pesantissimo nonostante conti meno di duecento pagine. L'ho trovato lento, fastidioso, e alla fine della lettura mi è venuto un gran mal di testa e ha rovinato il mio umore. Mi ha davvero urtato.
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