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Liberazione
 
Liberazione 2017-04-09 15:56:37 68
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68 Opinione inserita da 68    09 Aprile, 2017
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L' incubo dell' assedio, il dolore affranto della

La guerra, l' assedio, l'attesa, la convivenza, la speranza, l' illusione, la cruda realtà, lo sconforto, una neo dimensione.
Quando Erzsebet, studentessa venticinquenne, in una Budapest circondata ed assediata dai russi ( siamo alla fine del 1944 ) con la progressiva ritirata tedesca, mette in salvo il proprio padre, scienziato ricercato dai nazisti, capisce che un nuovo destino sta per compiersi, l' assedio. Si cala in una dimensione priva di umanità e si chiede: cosa resta di un animo umano ora che si e' perso tutto ciò che lo caratterizza?
È un mondo che si autodistrugge, dimentico di legge e sentimento. Ci si rinchiude, durante l' assedio, in uno scantinato, 140 persone in attesa, circondati da volti indistinti, nessuna differenza tra il giorno e la notte, solo un forte e denso odore di umanità e l' attesa della Liberazione.
Sono 24 interminabili giorni in una realtà intrappolata, dimensione unica ed unità di misura del tempo, ci si abitua a quegli odori, all' assenza di acqua e di cibo, non resta che sopravvivere ed attendere. A poco a poco relazioni incipienti, si vive una neo quotidianità, raccolti tra speranza, attesa estenuante e ripetute domande.
Chi sono gli assedianti? Semplici esseri umani, che fanno le stesse cose degli assediati, a loro volta in attesa perenne, travolti dalla identica sequela di avvenimenti. La guerra ora è qui, non solo sui giornali, gli abitanti dello scantinato divengono una comunità pronta a qualcosa di estremo, come un malato terminale in attesa di un giudizio definitivo. Nessuna legalità, i vincoli sociali destituiti, si ruba, non si conoscono le persone e nessuno ha certezze. Ogni soggettività sbiadita, nomi e persone sopraffatti da una immotivata follia collettiva.
Finalmente una presenza amica, perché non resta che la solitudine, un uomo e la Liberazione.
Una speranza, ma quale speranza? Ormai la guerra ci è entrata dentro, è un pensiero spettrale che infesta anima e corpo.
Che cosa sta succedendo la' fuori, spari, attimi di silenzio, attese interminabili, poi una voce, indistinta, un volto qualunque che si avvicina, la fine di tutto. La guerra sembra essere d' improvviso svanita e quello che si ha davanti, con una severità solenne ed un po' infantile, è solo un essere umano, non un nemico. È alterita', ma cosa sente, che cosa prova, ha paura, quale lingua parla, mi capirà?
Due sguardi impauriti ed un silenzio protratto, una calma apparente, un uomo venuto da lontano, con un' arma in pugno, diffidente, una attesa fattasi realtà, dopo tanto tempo, una salvezza che non ha nulla di certo. Un semplice soldato che appartiene ad una razza sconosciuta, diabolica secondo il racconto dei più, una mano tesa, invitante, e quegli occhi di ghiaccio che scrutano, fissano, ascoltano su un volto grave, triste, silente, e dei capelli dai riflessi dorati.
Un gesto improvviso, ferino, un odore dozzinale, un urlo atroce, soffocato, un intenso dolore ed un senso di nausea, un attimo eterno, nessuna domanda, nessuna risposta. Attorno uno sconsolato silenzio, neppure un lamento indignato o accenno di protesta, solo un sonnifero nella coscienza e lo stordimento che precede il sonno. Rimane questo corpo inerme, lurido, maleodorante, ed una dignità infranta senza rancore, solo una grande pena, ed un improvviso senso di fame.
E poi lo sguardo di un uomo in un angolo che si vergogna di essere un uomo.
Ed allora che cosa ci attende, nulla sarà più come prima ne' sembra avere un senso preciso. In un attimo di follia tutto può cambiare, nuovi volti indistinti passano e se ne vanno, nessuno ci sente, risponde, proviamo freddo, molto freddo, immobili, in piedi, inermi, le strade deserte, in fiamme, ovunque fumo e fuoco, abbandonati a noi stessi, i combattimenti si sono spostati altrove, sta nevicando.
Questa è la guerra, atroce, indistinta, regolamentata da un ordine proprio e da codici che esulano pietas e senso di appartenenza e noi ne facciamo tristemente parte.
Poi, sul nostro cammino, riconosciamo un corpo riverso, gli puliamo il viso insanguinato con un gesto quasi obbligato chiedendoci, ora che siamo liberi, che cosa sia la libertà e che cosa farcene, perché siamo semplicemente degli esseri umani.
Non ci resta che incamminarci, con passo incerto, verso un destino probabilmente segnato....
Un romanzo intenso, intimo, sul significato insignificante di ogni guerra, dove l' atroce indifferenza, una rassegnata noncuranza ed atti estranei a qualsiasi umanità assumono i contorni della normalità.
Marai ci descrive l' assedio di Budapest da parte dell' Armata Rossa con lo sguardo soggettivo ed originale della protagonista, e ci parla di un desiderio di Liberazione tramutatosi in incubo che avrebbe profondamente segnato ( per 40 anni ) la futura storia ungherese. ( ed il suo esilio).
Mirabile l' ultima parte, un dialogo muto, fatto di sguardi, attesa, supposizioni ed una vana speranza infranta da violenza, terrore e morte, in un inferno del corpo e dell' animo pervaso di un senso d' impotenza e rassegnazione per un destino, lontano da qualsiasi sogno e divenuto, ahimè, orrore indistinto.

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Commenti

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La tua bella recensione mi ha fatto conoscere un libro di cui non neppure dell'esistenza. Certi particolari mi hanno richiamato alla mente qualche passaggio di "La donna giusta". Certo su quel tasto Marai ne aveva cose da raccontare!
In risposta ad un precedente commento
68
11 Aprile, 2017
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Ciao Emilio. Anche qui, come in alcuni passaggi di " La donna giusta ", in effetti si respira un ' aria di desolazione, di sconforto, di estrema solitudine e crudeltà di una guerra e di una occupazione terribili, di una identità smarrita che ha lasciato il segno. Ma qui il tema della sopravvivenza e' vissuto molto più intensamente, in prima persona, dall' interno, con una modalità, se possibile, ancora più straziante e con il respiro della disperazione e dii una alienazione assoluta.
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