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Quel che resta del giorno
 
Quel che resta del giorno 2017-12-14 18:56:58 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    14 Dicembre, 2017
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In che cosa consiste la dignità?

Dopo la recente assegnazione del premio Nobel per la Letteratura a Kazuo Ishiguro, ho voluto leggere qualche sua opera e ho deciso di iniziare dal celeberrimo romanzo “Quel che resta del giorno”, edito nel 1989.
Il narratore è Mr Stevens, irreprensibile maggiordomo di una aristocratica dimora, Darlington Hall. Siamo negli anni '50 del Novecento e Stevens lavora per Mr Farraday, un ricco signore americano che ha da poco comprato la nobile residenza che in passato era appartenuta ad un aristocratico inglese, Lord Darlington.
Il maggiordomo viene invitato da Mr Farraday a prendersi qualche giorno di vacanza lasciando Darlington Hall: Stevens all'inizio non vorrebbe farlo, non si è quasi mai allontanato da quella casa, che rappresenta per lui il lavoro, un lavoro praticato con perfezionismo, dedizione estrema, che non ha lasciato spazio a nient'altro. Dopo un po' però si convince e decide di partire per la Cornovaglia, per andare a trovare una governante che ha lavorato con lui molti anni prima, Miss Kenton, ora Mrs Benn. La donna circa vent'anni prima lasciò il servizio per sposarsi. Stevens sospetta che lei non sia felice con il marito e spera che possa tornare a lavorare a Darlington Hall. Così inizia il suo viaggio, con l'automobile che gli ha prestato Mr Farraday, verso la Cornovaglia: il percorso da fare non è soltanto geografico ma diventa anche temporale. Stevens inizia a stilare il suo diario di viaggio, interponendo numerosi flashback nella narrazione, ritornando con la memoria agli anni '30, quando raggiunse l'apice della carriera di maggiordomo lavorando per il precedente padrone della residenza e a Darlington Hall arrivò lei, Miss Kenton.
Il romanzo ci parla di quanto il protagonista abbia sacrificato tutta la sua vita affettiva per inseguire un estremo ideale di dignità da raggiungere realizzandosi pienamente nella professione. Adesso, ormai anziano, ripensa con “un grande senso di trionfo” agli episodi in cui non si è lasciato andare ai sentimenti per rimanere il maggiordomo perfetto. Ripensa a quando è riuscito a ridere delle battute spiritose di alcuni ospiti della casa che doveva intrattenere, mentre suo padre moriva in una stanzetta al piano superiore. Oppure ricorda, stavolta con un pizzico di rammarico, di come riuscì a rimanere fuori dalla stanza di Miss Kenton, restando nel corridoio di fronte alla porta chiusa, mentre la donna piangeva sapendo che sarebbe andata via per sposarsi e non lo avrebbe forse più rivisto.
Stevens si esprime in maniera estremamente burocratica ed ampollosa, come se ciò lo aiutasse a mantenere la corazza che si è costruito in tutti quegli anni di onorevole servizio. Ribadisce inoltre più volte che sta andando da Miss Kenton per motivi puramente professionali, però non riesce a riferirsi a lei con il nome da sposata, Mrs Benn. Con il procedere del viaggio anche noi lettori ripercorriamo insieme a lui, attraverso i confusi messaggi che gli lancia la memoria, i momenti più significativi della sua vita. Insieme a lui ci accorgiamo che sotto quell'apparenza imperturbabile è celato un abisso di rimpianto. Una consapevolezza che viene raggiunta troppo tardi e per questo solo sfiorata, non approfondita, non rivelata fino in fondo.
Il romanzo mi ha trasmesso molta malinconia e mi ha fatto riflettere. La ricerca ossessiva del successo professionale ad esempio, che molte persone non esitano ad anteporre agli affetti, è veramente così importante oppure alla fine è soltanto una causa di infelicità per l'essere umano? C'è da chiedersi quanto sia triste arrivare alla sera della propria esistenza e rendersi conto di aver dato tutto quello che c'era da dare ad un datore di lavoro, oppure ad un ideale astratto di “dignità”, e accorgersi di essere rimasti inequivocabilmente e completamente, soli.

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Commenti

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siti
15 Dicembre, 2017
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Ciao Chiara, la tua nitida analisi ha richiamato alla memoria gli episodi salienti della trama, eppure a me rimane un sentimento diverso a fine lettura. L'estrema abnegazione è tratto peculiare della natura del maggiordomo e dell'uomo Stevens, non è ricerca spasmodica di successo, è la sua vera natura che seppur non tradita non gli ha certo permesso di vivere pienamente. Ora il ricordo lo porta a fare un bilancio che io vedo invece positivo nella limitatezza della vita umana: una vita pulita, con qualche rimpianto forse ma non così amaro da fargli sentire inespressa la sua esistenza, forse limitata come in fondo quella di ciascuno di noi, in un modo o nell'altro.
Sono d'accordo con la tua analisi, anche a me questo libro ha lasciato un senso di malinconia e mi ha fatto riflettere sulle occasioni mancate. Compatisco Mr Stevens, la mia stima va a Miss Kenton.
Un caro saluto
Elena
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Chiara77
15 Dicembre, 2017
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Ciao Laura, sono d'accordo con te sul fatto che Stevens sia stato mosso da estrema abnegazione e non da una sfrenata ambizione, sicuramente ha agito per spirito di sacrificio e non per trarne vantaggi materiali. E hai ragione anche sul fatto che lui alla fine non fa un bilancio negativo della sua esistenza. Io però ci ho letto anche rimpianto, in fondo lui sulla panchina mentre parla con l'uomo che gli dice che la sera è la parte più bella della giornata piange ed osserva le persone che hanno dei legami con nostalgia. Questo almeno è quello che è sembrato a me. Un caro saluto,
Chiara
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Chiara77
15 Dicembre, 2017
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Ciao Elena, sì, in effetti sono d'accordo con te.
Un caro saluto,
Chiara
Stevens ha davvero 'sacrificato' la propria vita ? Penso di no; m'è parso casomai che si sia realizzato e abbia tratto soddisfazione mediante il suo lavoro, anche se a noi può apparire qualcosa di impossibile. Secondo me, l'autore non ha assolutamente farne 'un mostro' , tanto più se ricordiamo le origini giapponesi. Nella cultura del Giappone l'identificazione col lavoro è uno dei cardini.
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Chiara77
16 Dicembre, 2017
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Non volevo dire che Stevens è un mostro, assolutamente. Ha sicuramente tratto soddisfazione dal proprio lavoro e alla fine dice di aver fatto quello che doveva fare. Io sinceramente ci ho letto anche il rimpianto per aver soffocato gli affetti, diciamo che il discorso che lui abbia sacrificato la sua vita per la professione è la mia personale interpretazione. È vero, Ishiguro ha origini giapponesi, ma dall'età di cinque anni vive in Gran Bretagna, forse nel dare vita a questo personaggio ha portato la sua esperienza di figlio di più culture, a volte in contrasto su alcuni valori.
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