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La prima settimana di libertà dell'irreprensibile maggiordomo inglese Stevens diventa occasione per ripensare la propria vita spesa al servizio di un gentiluomo moralmente discutibile. Stevens ha attraversato l'esistenza spinto da un unico ideale: quello di rispettare una certa tradizione e di difenderla a dispetto degli altri e del tempo. Ma il viaggio in automobile verso la Cornovaglia lo costringe ben presto a rivedere il suo passato, così tra dubbi e ricordi dolorosi egli si accorge di aver vissuto come un soldato nell'adempimento di un dovere astratto senza mai riuscire ad essere se stesso. Si può cambiare improvvisamente vita e ricominciare daccapo?



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Quel che resta del giorno 2022-01-24 11:54:03 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    24 Gennaio, 2022
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il maggiordomo

Sedimentata nell’immaginario di ognuno, la figura del maggiordomo rappresenta una professione concreta, eppure così distante dalla nostra realtà quotidiana da apparire come un mero elemento cinematografico.
Kazuo Ishiguro, col potere della letteratura, estrae dal romanzo il personaggio e lo rende un uomo vivo, più che mai verosimile. Lo fa con una potenza ed un realismo strabilianti.
Così, nell’Inghilterra dei facoltosi e dei potenti, ci è concesso di visitare Darlington Hall, una meravigliosa magione vittoriana appartenuta all’omonimo Lord inglese, entro le cui mura si discusse il futuro dell’Europa.
All’organizzazione di un cospicuo numero di persone di servizio, Mr. Stevens è il maggiordomo, un professionista di prestigio, appartenete alla vecchia scuola di stampo aristocratico.
Colto, misurato, instancabile, elegante e di umorismo algido come solo un gentleman inglese.
Una vita intera votata al suo signore, nella piena convinzione che supportare l’uomo di potere che voglia migliorare il mondo non possa essere che l’unico strumento per elevare chi ha scelto il suo impiego.
Dignità, per Mr. Stevens significa non mostrarsi in pubblico diversamente da ciò che impone il proprio ruolo.
Il primo viaggio dopo anni di servizio, qualche giorno in Cornovaglia a bordo di una Ford d’epoca, un salto nel passato, messaggi non colti e opportunità glissate.
E’ stata dunque la mansione scelta da Stevens a orientare il senso della sua vita? A cosa ha rinunciato, quanto ha tralasciato, evitato, disprezzato per onorare la professione? Ne è valsa la pena?
La risposta, forse, nei silenzi timidi e brevi, nei rimpianti abbozzati e nella malinconia malcelata.

Un corposo percorso introspettivo tratto da una narrativa capace e dal tratto elegante, deciso ma non ridondante, in un’Inghilterra che ci offre panoramiche ambientali suggestive.

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Quel che resta del giorno 2021-03-25 16:02:24 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    25 Marzo, 2021
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Bisogna essere felici

"Maggiordomi di minor levatura sono pronti, alla minima provocazione, a metter da parte la loro figura professionale per lasciare emergere la dimensione privata. Per simili personaggi, fare il maggiordomo è come recitare in una pantomima; basta una piccola spinta, ed ecco che la facciata cade scoprendo l’attore che c’è sotto. I grandi maggiordomi sono grandi proprio per la capacità che hanno di vivere all’interno del loro ruolo professionale e di viverci fino in fondo". Per Stevens fare il maggiordomo non è semplicemente un lavoro, è una vera e propria missione, una vocazione che richiede cieca obbedienza al dovere, massima devozione alla causa. Aspirando alla dignità, elemento fondamentale per qualsiasi maggiordomo degno di questo nome, Stevens esegue il suo compito estraniandosi da tutto ciò che esula dal governo della casa. Sentimenti, idee personali, esigenze, vengono messi da parte. Alla stregua di un automa, il protagonista è capace di continuare impassibilmente il servizio mentre il padre muore a pochi metri da lui, a dimostrare servile devozione al proprio padrone anche quando questi dimostra discutibili simpatie politiche, a lasciarsi scappare quell'amore che sarebbe stato capace di cambiargli la vita. Intransigente con se stesso e con i suoi collaboratori, sempre impeccabile e in grado di prevedere ogni cosa, incapace di godere di un minimo di riposo, alle soglie della vecchiaia l'uomo è costretto ad un implacabile faccia a faccia con la propria esistenza. A bordo della fiammante Ford che il suo nuovo datore di lavoro americano gli ha messo a disposizione, Stevens attraversa la campagna inglese per quella che è la prima vera vacanza della sua vita. Un viaggio in auto per visitare luoghi bellissimi che ha sempre avuto vicino ma che non ha mai potuto raggiungere, sempre troppo impegnato con il dovere, con l'obiettivo finale di rivedere miss Kent, vecchia collaboratrice con cui ha sempre avuto un rapporto tormentato, per proporle di ritornare a lavorare insieme a seguito del fallimento del suo matrimonio. Perso tra le amenità del paesaggio, il protagonista si abbandona a ricordi sempre e indissolubilmente legati alla vita professionale, arrivando inevitabilmente a redigere un bilancio della sua vita. Bilancio che, dopo un'esistenza in cui ha messo da parte tutto ciò che conta veramente, non può che risultare passivo. Ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Il passato non si può più cambiare, si può solo cercare di immaginare con rammarico quello che poteva essere e non è stato, cercando, quando ormai la sera dell'esistenza è vicina, di vivere nel migliore dei modi quel che resta del giorno. “Bisogna essere felici. La sera è la parte più bella della giornata. E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata”.

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Quel che resta del giorno 2020-04-15 13:32:15 Monky
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Monky Opinione inserita da Monky    15 Aprile, 2020
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Il senso del dovere

Un viaggio di una settimana consente al protagonista, un maggiordomo inglese d’altri tempi, Stevens di fare un bilancio della propria esistenza spesa interamente per adempiere al meglio al proprio lavoro, con una dedizione e un’ abnegazione totale.
Attraverso la narrazione di episodi accaduti durante il viaggio e di ricordi lontani nel tempo attraverso continui flashback si delinea la personalità di Stevens: un uomo meticoloso, che non lascia nessuno spazio nella propria vita a legami personali o affettivi con un unico obbiettivo: essere un buon maggiordomo e servire al meglio il proprio signore.
Quello che ne risulta è un senso del dovere assoluto, (che ,forse condizionata dalle origini dell’ autore, mi fa pensare al codice d’onore dei samurai) oggi forse difficile da comprendere perché lontano dal nostro modo di vivere ma proprio per questo molto affascinante.
La fine del libro lascia un senso di delicatezza e malinconia con delle considerazioni sulla vita umana che non si possono non condividere.

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Quel che resta del giorno 2020-02-24 16:21:56 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    24 Febbraio, 2020
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L'etica del samurai

“Ho dato trentacinque anni di servizio a Lord Darlington; e per questa ragione non sarà ingiustificato affermare di aver 'fatto parte di una casata illustre', nel senso più vero del termine, per tutti quegli anni. E riandando con lo sguardo alla mia carriera sino ad oggi, la soddisfazione più grande che provo deriva da quanto sono riuscito a raggiungere nel corso di quegli anni, cosicché oggi non sono altro che orgoglioso e grato del fatto che mi sia stato concesso un simile privilegio”.

Giunge inaspettata a Stevens la notizia che, dopo anni e anni di servizio ininterrotto come maggiordomo, può approfittare di una settimana di pausa dal governo di Darlington Hall. Quasi non saprebbe che farsene, se non fosse per il suo nuovo datore, l’americano Mr. Farraday, che gli presta la sua preziosa Ford per viaggiare tra le campagne e conoscere meglio un pezzo d’Inghilterra.
E’ l’occasione, per l’irreprensibile e misurato Stevens, di rimettere mentalmente ordine negli eventi e negli insegnamenti di un’intera carriera trascorsa, nei suoi anni migliori, a servire Lord Darlington. Ma anche per incontrare nuovamente Mrs. Kenton, che, per sposarsi e metter su famiglia, ha lasciato definitivamente Darlington Hall anni prima.

Se inizialmente stupisce – e non poco – la scoperta che questo particolarissimo romanzo sia opera di un autore giapponese, Kazuo Ishiguro (premio Nobel per la letteratura 2017), nel corso della narrazione questo stupore muta nel suo esatto contrario: ci si rende conto che una tale paternità, per una storia del genere, è quanto di più naturale vi possa essere. Nella figura del perfetto maggiordomo britannico si cela, in controluce, la più alta personificazione del samurai. Il parallelo è illuminante quanto “necessario”: la vita di entrambi trova il significato più elevato nel servire in piena dignità un importante “padrone”, sino al punto in cui tale servizio assurge al rango di vera e propria arte.
Il “servire” come missione che dà luce alla persona: è la scoperta nella quale Ishiguro trascina il lettore attraverso un narrare minimalista e misuratissimo, fatto di piccoli segnali. Particolarmente godibile il confronto, che si dipana negli anni, tra la mentalità di Stevens e quella di Mrs. Kenton, giovane governante di Darlington Hall: un confronto che si consuma spesso nelle ore pomeridiane di riposo trascorse al tavolino di un salotto dove i due sorseggiano la cioccolata e organizzano il lavoro che verrà (quando la storia sarà trasposta al cinema da James Ivory, i personaggi di Stevens e Mrs. Kenton avranno i volti – azzecatissimi – di Anthony Hopkins ed Emma Thompson).

Il samurai anche governa, ed il maggiordomo anche combatte. Entrambi come “servitori”, nel senso più alto e dignitoso.
… E che non venga mai in mente, al preannunciarsi della sera, che ci si sarebbe potuti curare di un altro padrone: se stessi. Che non venga mai in mente!… Per poter continuare a servire, con la medesima scrupolosità e dignità di sempre, per “quel che resta del giorno”.

“Un 'grande' maggiordomo può essere di sicuro solamente colui il quale sia in grado di indicare tutti gli anni di lavoro e dire di aver messo i propri talenti al servizio di un grande gentiluomo – e attraverso costui, al servizio dell’umanità”.

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Quel che resta del giorno 2019-02-07 11:10:48 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    07 Febbraio, 2019
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Un classico datato 1989

“Quel che resta del giorno” è un romanzo di narrativa generale pubblicato nel 1989; vincitore nello stesso anno del Booker Prize, ha dato il via all'ascesa letteraria di Kazuo Ishiguro, culminata nel 2017 con la meritata assegnazione del Nobel per la letteratura.
La trama è prevedibilmente povera di eventi e si dipana con la lentezza che sempre caratterizza l'opera di Ishiguro, per poi acquistare di pagina in pagina un'importanza ed una carica impreviste

«-Può darsi che la Storia stessa si compia, sotto questo tetto, [...]»

sino al finale, ricco di emozioni e capace, a dispetto dello sconforto generale, di trasmettere un positivo messaggio di speranza, che mi ha ricordato per molti versi l'epilogo de “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout.
La narrazione copre due archi temporali, passando da un presente riconducibile agli anni '50 del secolo scorso a lunghi flashback ambientati a cavallo tra gli anni '20 e '30. Protagonista e narratore è Mr Stevens, perfetta incarnazione del classico maggiordomo inglese; l'uomo ha trascorso gran parte della sua vita alle dipendenze di Lord Darlington e, trovandosi improvvisamente con un nuovo (e ben diverso!) datore di lavoro, affronta una crisi lavorativa e personale con la quale è incapace di venire a patti.
Un viaggio in auto tra alcuni paesini della campagna inglese offre a Stevens degli spunti per riflettere sugli eventi più importanti della sua vita da maggiordomo, durante la quale ha sempre anelato ad un ideale di dignità, arrivando a seppellire ogni sentimento ed impulso dietro ad una perenne maschera di compostezza formale. In particolare, la narrazione al passato mette in contrapposizione due eventi, uno tragico ed uno potenzialmente positivo, ed è interessante notare come per entrambi la reazione del protagonista sia lo stesso freddo distacco emotivo.
Con queste premesse, capirete che non è affatto facile empatizzare con Mr Stevens, ma si può imparare pian piano a capire le sue motivazioni; personalmente l'ho trovato ottimamente caratterizzato, specie per i diversi elementi che richiamano al Howard W. Campbell Jr. de “Madre notte” di Kurt Vonnegut. Il protagonista da il suo meglio nelle scene in cui si confronta con Miss Kenton: la governante è quasi la sua antitesi, perché incapace di tenere a freno le sue emozioni, siano esse positive come un'offerta di amicizia concretizzata dal regalo di un mazzo di fiori o negative come la rabbia che spesso la domina, e lo sviluppo della relazione tra i due è forse l’unica incognita a mantenere viva la tensione nel volume.
Come per gli altri romanzi dell'autore che ho letto finora, la storia trova la sua perfetta ambientazione nella provincia inglese; lunghi dall'essere uno mero scenario, la patria d’adozione di Ishiguro si conquista a più riprese la scena, risultando sicuramente una componente fondamentale all'interno dello stesso cast. Inoltre diversi personaggi la evocano nei dialoghi

«Sì, perché voialtri [...] quando mai avete occasione di andarvene in giro a visitare questo vostro meraviglioso paese?»

in una sorta di ode a quella terra, come pure fa il protagonista nei suoi pensieri

«[...] una qualità capace di designare il panorama inglese [...] è probabilmente meglio riassunta nel termine di “grandezza”.»

focalizzandosi su una caratteristica che acquisisce per lui un significato ben più profondo, portandolo poi ad associare se stesso allo spirito augusto e flemmatico dell'Inghilterra stessa.
Il romanzo presenza una struttura atipica: non sono presenti dei normali capitoli, bensì ogni sosta nell'itinerario di Mr Stevens ottiene una parte a se stante che inizia generalmente con un riepilogo del viaggio in auto, come una vera cronaca, per poi passare al viaggio tra i ricordi, attraverso i quali rivalutare le scelte del passato.
Questa forma porta l'autore ad adottare la narrazione in prima persona al presente, dando ai lettori la sensazione di essere seduti al fianco di Stevens sulla Ford d’epoca mentre racconta, e ricorda. È inoltre da notare che alcuni aspetti verranno poi ripresi ne “Il gigante sepolto”, come la tematica dell'importanza del ricordo, ma anche la scelta di un protagonista anziano con una storia tutta da esplorare.

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Quel che resta del giorno 2018-06-27 18:42:31 68
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68 Opinione inserita da 68    27 Giugno, 2018
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Essenza apparente

Inghilterra di inizio ‘900, a cavallo tra le due guerre, osserviamo attentamente la figura di Mr Stevens, una vita da maggiordomo trascorsa al servizio di Lord Darlington, gentiluomo inglese al centro della vita politica del paese, fino al cambio di proprietà ed all’ avvento di Mr Farraday, dai tratti moderni e sfacciatamente americani ma con la ferma volontà di conservare le tradizioni in atto.
È un tempo di attesa e di cambiamenti e per Mr Stevens, dopo molti anni di servizio devoto, il momento di una pausa attraverso un viaggio in macchina nella vastità del paesaggio inglese, la calma mista alla bellezza, una grandezza consapevole senza la necessità di essere proclamata a gran voce.
Un viaggio ed un racconto in prima persona che tocca una vita intera, focalizzandone i tratti salienti.
Mr Stevens ritorna al dovere che la propria professione comporta, un obbligo completamente indirizzato ad esaudire i desideri del proprio datore di lavoro con un’ etica professionale integerrima che scacci le proprie debolezze e qualsiasi sentimento.
Egli considera la finzione necessaria all’ espletamento del proprio lavoro, una sorta di missione, e quella maschera perennemente dipinta sul proprio volto si fa essenza caratterizzante ed espressione devota in opposizione a personalismi ed astrazioni cangianti.
Ed allora nasce un concetto di dignità che sia all’ altezza della posizione occupata ed una necessità di appartenenza al ruolo che si ricopre fino a quando si è completamente soli.
Di certo quella del maggiordomo non è una professione per tutti, implica una completa dedizione ed identificazione a costo di abbandonare sfera privata e personalismi, è tracimata a tal punto nella propria quotidianità che le competenze travalicano ogni possibile essenza.
E poi c’è la percezione che gli altri hanno di lui, qualcuno si domanda perché debba sempre fingere ma c’ è anche chi, nei comportamenti e nei modi, lo scambia per un vero signore, oltre il taglio degli abiti ed il suo modo di vestire elegante perché è qualche altra cosa del tutto evidente a renderlo una persona diversa.
In sostanza il concetto di dignità per Mr Stevens consiste nel non togliersi i panni di dosso in pubblico fino a quando non rimane solo con la propria sfera più intima.
Ed allora come affrontare il privato quando si è chiamati a mostrare le proprie debolezze, sballottati tra sentimenti e sofferenze improvvise a cui la vita inesorabilmente ci porta?
Un dubbio resta sovrano, una incertezza nata e cresciuta nel tempo, in quegli anni vissuti al fianco di Mrs Thompson, collaboratrice fidata e devota, ma anche forte presenza che richiama Mr Stevens ad una resa dei conti, in primis verso se stesso e ad un’ idea trascinata per anni alla fine scacciata dalla evidenza.
In questo romanzo dalla lentezza evidente, dalle riflessioni protratte, dalla forma perfetta, in cui il lungo monologo di Mr Stevens abbraccia stile e contenuti, finiamo con il chiederci la differenza tra forma e sostanza, professione e vita, etica e sentimenti, senza una risposta evidente per il protagonista, imprigionato nella propria essenza apparente.

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Quel che resta del giorno 2018-06-01 21:36:37 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    01 Giugno, 2018
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I silenziosi conflitti di un grande maggiordomo

A quanto pare, per uno scrittore esistono due metodi infallibili per salire alla ribalta internazionale: la morte, oppure il premio Nobel. Per la fortuna di Kazuo Ishiguro, il motivo che lo ha portato alla mia attenzione è quello più felice dei due, e devo dire che il premio svedese (spesso denigrato, non saprei dire se giustamente o meno) in questo caso mi ha dato la possibilità di leggere un romanzo davvero degno di nota. Tra gli altri ho scelto proprio questo perché tra i più conosciuti e, inoltre, perché attirato dal fatto che ne esistesse una trasposizione cinematografica con protagonista l'immenso Anthony Hopkins.
Appena avrò finito con questa recensione, correrò a vedere il film.
Non so fino a che punto possa spingermi a definire lo stile di Ishiguro: mi è sembrato adattato perfettamente al personaggio del signor Stevens, voce narrante e protagonista di questa storia, e non mi stupirebbe di trovarlo diverso negli altri romanzi proprio per questo motivo. Il modo di raccontare questa storia si adatta così perfettamente a quello che è il personaggio che pare quasi di sentirlo parlare, con quel suo modo di esprimersi così elegante e col suo punto di vista perfettamente espresso, che plasma la realtà secondo i suoi occhi. In questo, credo che Ishiguro sia stato davvero magistrale, anche se a tratti la lettura richiede un po' di impegno nell'evitare distrazioni.
È un qualcosa di splendido entrare nella psicologia di Stevens, osservare i conflitti che tenta incessantemente di sotterrare nella sua figura di maggiordomo irreprensibile; ogni cosa che vi si discosta lui la respinge categoricamente, e questo aspetto è perfettamente reso, anche se viene lasciata al lettore la possibilità di indovinare i veri sentimenti che si celano dietro quella maschera. L'autore riesce a creare il famoso legame tra protagonista e lettore, e in quest'ultimo la condotta del Signor Stevens, spesso in contrasto coi suoi veri sentimenti, genererà emozioni contrastanti.

Il Signor Stevens è un maggiordomo inglese, di quelli irreprensibili e totalmente dediti al lavoro; di quelli che ormai non se ne vedono più e appartengono a una società ormai passata.
Stevens ha passato gran parte della sua vita al servizio di Lord Darlington, dedicandosi anima e corpo nel tentativo di compiacere il suo padrone, figura di spicco nella politica europea, nel contesto che porterà all'esplosione della seconda guerra mondiale.
All'inizio della storia, tuttavia, nonostante sia ancora in servizio nella dimora di Darlington Hall, il suo vecchio padrone è deceduto da ormai tre anni e si trova alle dipendenze di un americano, il signor Farraday, che ha acquisato la dimora: un affarista che a quei tempi veniva definito come appartenente alla categoria dei "nuovi ricchi". Dovendo partire per un viaggio di un paio di settimane, Farraday invita Stevens a fare una breve vacanza e gli offre di utlizzare la sua Ford, per intraprendere il viaggio. Stevens accetta la proposta e deciderà di approfittare dell'occasione per andare a trovare la vecchia governante che serviva Lord Darlington insieme a lui e con la quale, in quegli anni, aveva instaurato un rapporto abbastanza controverso. La donna è ormai sposata, ma a quanto pare il suo matrimonio non naviga in buone acque e in una lettera pare esprimere nostalgia per Darlington Hall, nostalgia che Stevens interpreta come una voglia di tornare in servizio lì. Lui avrebbe bisogno di una mano, e quella di Miss Kenton sarebbe più che preziosa.
Dunque, Stevens parte per questo viaggio che ha anche un motivo professionale; o almeno di questo vuole convincersi. Questo viaggio si presenta come un pretesto per riflettere sul passato, sui giorni degni di nota che ha vissuto, sulle persone importanti alle quali la sua professione gli ha permesso di entrare in contatto, seppur indirettamente.
Quest'uomo irreprensibile continuerà a nascondersi dietro la sua professionalità, dietro la sua ferrea volontà di essere un "grande maggiordomo", carico di dignità. Lungo questo viaggio, tuttavia, ci sono molte altre cose su cui si troverà a riflettere, e non tutte saranno piacevoli.
Un romanzo che da parecchi spunti di riflessione, difficili da condensare in una breve recensione. Leggetelo.

"E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata. Dopotutto cosa mai c'è da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?"

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Quel che resta del giorno 2018-04-10 04:37:02 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    10 Aprile, 2018
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La sera è la parte più bella della giornata?

Il maggiordomo Stevens – protagonista assoluto di Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro - rivede la propria vita trascorsa al servizio di Lord Darlington quando la prestigiosa proprietà viene rilevata da un ricco americano nel secondo dopoguerra: in quest’epoca di sconvolgimenti sociali (“La nostra generazione… vedeva il mondo non come una scala, ma come una ruota”) la professione di Stevens subisce contraccolpi e vengono messi in discussione il ruolo e l’identità di un uomo che della fedeltà, della dignità e del sacrificio ha fatto essenza di vita.

Così, al mondo popolato da lacché (“il problema della lucidatura dell’argenteria”) e gentiluomini e sotto il dominio imperante di Sua Signoria si oppone la nuova visuale che si dischiude a Stevens durante un viaggio-premio da Oxford alla Cornovaglia, in un paesaggio inglese che è misura e compostezza in antitesi a “quegli spettacoli naturali… che si offrirebbero all’attenzione dell’osservatore oggettivo come inferiori proprio per quel loro indecoroso esibirsi”. Il viaggio ha una meta finale: l’incontro con la ex governante di Darlington Hall, una donna che rappresenta la rinuncia all’amore, consumata da Stevens in nome di un ideale superiore (“Fornire il miglior servizio possibile a quei grandi gentiluomini nelle cui mani è riposte davvero il destino della civiltà”).

Il senso della misura e della dignità in qualche modo amplificano, nella percezione del lettore, l’impatto dei sentimenti sempre controllati e soffocati da Stevens: l’amore per il padre (“Come se si augurasse di ritrovare un gioiello prezioso che aveva perduto in quel punto”) da praticare con ostinazione nonostante la decadenza fisica del genitore e durante gli impegni del convegno del 1924; la fedeltà verso lord Darlington anche quando sul nobile aleggiano sospetti politici infamanti (“Sir Oswald Mosley, la persona che fu a capo delle camicie nere, era stato ospite a Darlington Hall, io direi, in non più di tre occasioni…”).

Il finale del romanzo è particolarmente triste e struggente, fitto di domande che irradiano una luce malinconica sulle prospettive di un’esistenza il cui senso vacilla pericolosamente (“Dopotutto che cosa c’è mai da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?”) sotto i colpi della crisi d’identità.

Giudizio finale: finemente struggente, potentemente malinconico, sottilmente ironico.

Bruno Elpis

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Quel che resta del giorno 2018-01-19 14:09:51 Belmi
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Belmi Opinione inserita da Belmi    19 Gennaio, 2018
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Lealtà

Quando passi una vita pensando solo al bene del tuo padrone, ogni giorno inizia e finisce come quello prima e come quello dopo. Una vita leale, impeccabile e con la mente impegnata al lavoro, ma i tempi cambiano e anche i padroni; arriva un momento in cui ti ritrovi davanti un’opportunità che dopo mille riflessioni ti ritrovi a prendere al volo.

Stevens è un maggiordomo, ma non uno qualsiasi, è un grande maggiordomo di una delle grandi famiglie inglesi, il suo padrone è Lord Darlington ma la guerra è finita e anche molte grandi dinastie hanno finito i loro anni d’oro. Un ricco americano, Mr Farraday, ha comprato tutto e con tutto intendo casa e domestici per poter vivere lo splendore inglese di una volta. Ovviamente Stevens fa parte del pacchetto “casa”, ma questo padrone non è come l’altro, questo gli consiglia di lasciare per la prima volta la residenza e di approfittare di qualche giorno di libertà per intraprendere un viaggio.

Stevens non sa che quel viaggio metterà in discussione tutta la sua vita.

Ishiguro con uno stile impeccabile riesce a rendere allettante una storia che non ha nessuna base per esserlo. Una storia che ha tutti gli elementi per essere lenta e monotona, invece porta il lettore all’interno di un viaggio introspettivo che oltre a mettere in difficoltà il grande maggiordomo, inevitabilmente porta anche il lettore a porsi molte domande che continuano anche dopo la lettura.

Mi sono avvicinata a quest’autore perché volevo leggere qualcosa del nuovo Premio Nobel e ne sono rimasta particolarmente colpita. Il suo stile è così coinvolgente da non farti sentire semplice spettatore ma parte integrante del pensiero del protagonista e della sua storia.

Un libro introspettivo, riflessivo e non adatto a tutti.

Buona lettura!

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Quel che resta del giorno 2017-12-14 18:56:58 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    14 Dicembre, 2017
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In che cosa consiste la dignità?

Dopo la recente assegnazione del premio Nobel per la Letteratura a Kazuo Ishiguro, ho voluto leggere qualche sua opera e ho deciso di iniziare dal celeberrimo romanzo “Quel che resta del giorno”, edito nel 1989.
Il narratore è Mr Stevens, irreprensibile maggiordomo di una aristocratica dimora, Darlington Hall. Siamo negli anni '50 del Novecento e Stevens lavora per Mr Farraday, un ricco signore americano che ha da poco comprato la nobile residenza che in passato era appartenuta ad un aristocratico inglese, Lord Darlington.
Il maggiordomo viene invitato da Mr Farraday a prendersi qualche giorno di vacanza lasciando Darlington Hall: Stevens all'inizio non vorrebbe farlo, non si è quasi mai allontanato da quella casa, che rappresenta per lui il lavoro, un lavoro praticato con perfezionismo, dedizione estrema, che non ha lasciato spazio a nient'altro. Dopo un po' però si convince e decide di partire per la Cornovaglia, per andare a trovare una governante che ha lavorato con lui molti anni prima, Miss Kenton, ora Mrs Benn. La donna circa vent'anni prima lasciò il servizio per sposarsi. Stevens sospetta che lei non sia felice con il marito e spera che possa tornare a lavorare a Darlington Hall. Così inizia il suo viaggio, con l'automobile che gli ha prestato Mr Farraday, verso la Cornovaglia: il percorso da fare non è soltanto geografico ma diventa anche temporale. Stevens inizia a stilare il suo diario di viaggio, interponendo numerosi flashback nella narrazione, ritornando con la memoria agli anni '30, quando raggiunse l'apice della carriera di maggiordomo lavorando per il precedente padrone della residenza e a Darlington Hall arrivò lei, Miss Kenton.
Il romanzo ci parla di quanto il protagonista abbia sacrificato tutta la sua vita affettiva per inseguire un estremo ideale di dignità da raggiungere realizzandosi pienamente nella professione. Adesso, ormai anziano, ripensa con “un grande senso di trionfo” agli episodi in cui non si è lasciato andare ai sentimenti per rimanere il maggiordomo perfetto. Ripensa a quando è riuscito a ridere delle battute spiritose di alcuni ospiti della casa che doveva intrattenere, mentre suo padre moriva in una stanzetta al piano superiore. Oppure ricorda, stavolta con un pizzico di rammarico, di come riuscì a rimanere fuori dalla stanza di Miss Kenton, restando nel corridoio di fronte alla porta chiusa, mentre la donna piangeva sapendo che sarebbe andata via per sposarsi e non lo avrebbe forse più rivisto.
Stevens si esprime in maniera estremamente burocratica ed ampollosa, come se ciò lo aiutasse a mantenere la corazza che si è costruito in tutti quegli anni di onorevole servizio. Ribadisce inoltre più volte che sta andando da Miss Kenton per motivi puramente professionali, però non riesce a riferirsi a lei con il nome da sposata, Mrs Benn. Con il procedere del viaggio anche noi lettori ripercorriamo insieme a lui, attraverso i confusi messaggi che gli lancia la memoria, i momenti più significativi della sua vita. Insieme a lui ci accorgiamo che sotto quell'apparenza imperturbabile è celato un abisso di rimpianto. Una consapevolezza che viene raggiunta troppo tardi e per questo solo sfiorata, non approfondita, non rivelata fino in fondo.
Il romanzo mi ha trasmesso molta malinconia e mi ha fatto riflettere. La ricerca ossessiva del successo professionale ad esempio, che molte persone non esitano ad anteporre agli affetti, è veramente così importante oppure alla fine è soltanto una causa di infelicità per l'essere umano? C'è da chiedersi quanto sia triste arrivare alla sera della propria esistenza e rendersi conto di aver dato tutto quello che c'era da dare ad un datore di lavoro, oppure ad un ideale astratto di “dignità”, e accorgersi di essere rimasti inequivocabilmente e completamente, soli.

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