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Quel che resta del giorno
 
Quel che resta del giorno 2018-04-10 04:37:02 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    10 Aprile, 2018
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La sera è la parte più bella della giornata?

Il maggiordomo Stevens – protagonista assoluto di Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro - rivede la propria vita trascorsa al servizio di Lord Darlington quando la prestigiosa proprietà viene rilevata da un ricco americano nel secondo dopoguerra: in quest’epoca di sconvolgimenti sociali (“La nostra generazione… vedeva il mondo non come una scala, ma come una ruota”) la professione di Stevens subisce contraccolpi e vengono messi in discussione il ruolo e l’identità di un uomo che della fedeltà, della dignità e del sacrificio ha fatto essenza di vita.

Così, al mondo popolato da lacché (“il problema della lucidatura dell’argenteria”) e gentiluomini e sotto il dominio imperante di Sua Signoria si oppone la nuova visuale che si dischiude a Stevens durante un viaggio-premio da Oxford alla Cornovaglia, in un paesaggio inglese che è misura e compostezza in antitesi a “quegli spettacoli naturali… che si offrirebbero all’attenzione dell’osservatore oggettivo come inferiori proprio per quel loro indecoroso esibirsi”. Il viaggio ha una meta finale: l’incontro con la ex governante di Darlington Hall, una donna che rappresenta la rinuncia all’amore, consumata da Stevens in nome di un ideale superiore (“Fornire il miglior servizio possibile a quei grandi gentiluomini nelle cui mani è riposte davvero il destino della civiltà”).

Il senso della misura e della dignità in qualche modo amplificano, nella percezione del lettore, l’impatto dei sentimenti sempre controllati e soffocati da Stevens: l’amore per il padre (“Come se si augurasse di ritrovare un gioiello prezioso che aveva perduto in quel punto”) da praticare con ostinazione nonostante la decadenza fisica del genitore e durante gli impegni del convegno del 1924; la fedeltà verso lord Darlington anche quando sul nobile aleggiano sospetti politici infamanti (“Sir Oswald Mosley, la persona che fu a capo delle camicie nere, era stato ospite a Darlington Hall, io direi, in non più di tre occasioni…”).

Il finale del romanzo è particolarmente triste e struggente, fitto di domande che irradiano una luce malinconica sulle prospettive di un’esistenza il cui senso vacilla pericolosamente (“Dopotutto che cosa c’è mai da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?”) sotto i colpi della crisi d’identità.

Giudizio finale: finemente struggente, potentemente malinconico, sottilmente ironico.

Bruno Elpis

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Commenti

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Bruno, la tua recensione è sicuramente bella. Anche per me il libro merita una valutazione eccellente. Sul finale però ho avuto un'impressione un po' diversa rispetto alla tua. M'è parso un finale 'aperto' in cui emerge la consapevolezza che nessuna vita è perfetta e la serenità di guardare con fiducia verso il futuro, o almeno metaforicamente 'quel che ci resta del giorno'.
In risposta ad un precedente commento
Bruno Elpis
10 Aprile, 2018
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Ciao Emilio, la diversa chiave di lettura forse corrisponde alla nostra predisposizione soggettiva per l'ottimismo/pessimismo? Ciao :-)
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