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La casa della moschea
 
La casa della moschea 2020-03-14 17:33:18 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    14 Marzo, 2020
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Decadenza di una moschea

“C’era una volta una casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”. Era una grande casa, con trentacinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una funzione e un nome corrispondente a quella funzione, come la stanza della cupola, la stanza dell’oppio, la stanza dei racconti, la stanza dei tappeti, la stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo”.

Proprio come un hekayat , l’antico racconto persiano, comincia questo splendido romanzo, considerato uno dei più bei libri in lingua olandese. L’autore, Kader Abdolah, rifugiato politico iraniano, vive in Olanda dal 1988 e ne ha adottato la lingua per scrivere i suoi libri, in cui la magia e la poesia persiane incontrano e si intrecciano con la cultura occidentale.
La storia narra l’epopea della famiglia che abita l’antica casa della moschea di Senjan: i vari imam che si susseguono, le nonne, la moglie del primo imam, Zeynat, il Muezzin muto, Aga Jan e sua moglie Faqri Sadat, i vari figli e figlie considerati prole della casa, nipoti che vanno via e poi tornano, come gli uccelli migratori che vengono a svernare sulle torri della moschea.
Il personaggio principale è Aga Jan, proprietario del bazar della moschea e commerciante dei tappeti più pregiati e apprezzati dell’intera Persia: uomo religioso, saggio, forte e temperante, è custode della casa della moschea, del suo diario, dei suoi tesori segreti. Interessante la dinamicità del personaggio di Zeynat, da figura scialba e silenziosa, ombreggiata dalla ben più brillante ed amata Faqri Sadat, moglie di Aga Jan, diventa poi una donna intraprendente, sarà protagonista di una storia d’amore clandestina dentro la stessa moschea, accecata dal fuoco della passione che scopre quando è ormai vedova, diventerà poi membro attivo dell’ala islamica più estremista della città.
Indimenticabile Shahbal, nipote di Aga Jan, che incarna l’alter ego del giovane Kader Abdolah: giovane misterioso, sveglio, che si lascia moderatamente coinvolgere dalle scoperte tecnologiche che l’America fa conoscere al mondo. Shahbal prima di partire per l’Europa vendicherà le vittime della sua famiglia, cadute per mano dei fondamentalisti di Khomeini.
Attraverso la storia avvincente dei personaggi della casa della moschea, Abdolah ci fa conoscere la storia della Persia dagli anni dello scià simpatizzante della cultura americana, vista con grande sospetto e perplessità dagli stessi abitanti della moschea di Senjan, fino al regime fondamentalista più rigoroso di Khomeini e dell’invasione irachena capeggiata da Saddam Hussein.
Un libro intrigante e ricco di poesia, di umanità, di storia che per certi versi fa pensare a “Cent’anni di solitudine” di Marquez, per il susseguirsi di vicissitudini e di generazioni legate ad un solo luogo, in questo caso alla grande casa/moschea, anche se lo stile di Kader Abdolah è totalmente diverso da quello del grande scrittore colombiano.
Il segreto di questo libro, secondo me, così positivamente accolto da lettori e critici, è nella sua struttura : uno storytelling che unisce l’antico al nuovo, una Persia fiabesca da “Le mille e una notte “ e da “Calila e Dimna” con i suoi odori, i suoi profumi, variopinti affreschi di interni delle abitazioni e dei luoghi religiosi, le sue usanze e il suo erotismo, alla storia moderna e contemporanea di un Paese che a partire dalla fine del Novecento è lacerato da lotte religiose intestine che spianeranno la strada all’invasione irachena.
Nel giro di pochi decenni l’Iran è irriconoscibile, la casa della moschea spenta.

“Tutto era cambiato. Un tempo il bazar occupava un ruolo centrale nella vita della città, ma ormai non più. I tappeti persiani non erano più il fattore determinante dell’economia e della politica del paese. Petrolio e gas naturale li avevano soppiantati. (...) Fino a poco tempo prima, nessuno avrebbe mai comprato un tappeto da pochi soldi, fatto in serie, che puzzava di plastica, mentre adesso era un articolo sempre più reclamizzato”.

È la fine di un’epoca e l’inizio di quella che noi conosciamo molto bene.

Il mio commento non rende onore alla ricchezza dell’opera e dei tanti personaggi che si odiano e si amano della storia, perché ho preferito evidenziare le tematiche principali e perché la trama va gustata prendendo il libro in mano e leggendolo.
È il secondo libro di Kader Abdolah che ho scelto di leggere dopo “Scrittura cuneiforme “ e ne riconfermo la grandezza espressiva, la ricca immaginazione e il grande valore delle tematiche.
In Italia edito da Iperborea, tradotto da Elisabetta Svaluto Moreolo.

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Commenti

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Grazie Marianna, bella recensione per un titolo che avevo già segnato in occasione della recensione di Laura; deve essere molto bello da quel che scrivete.
Bellissima recensione, Marianna, condivido tutto!!!
Ti ringrazio davvero perché mi hai riportato alla mente questo libro a dir poco stupendo che ho letto esattamente tre anni fa! Sono rimasta incantata da questo scrittore, di cui vorrei leggere anche altre opere.
In risposta ad un precedente commento
archeomari
24 Marzo, 2020
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Guarda Laura. è una esperienza che bisogna fare. La scrittura di Abdolah è strepitosa! È interessante anche perché è un modo per capire meglio l’Islam, le sue figure istituzionali diciamo così, la storia della Persia! Poi una saga familiare meravigliosa....leggilo!
In risposta ad un precedente commento
archeomari
24 Marzo, 2020
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Ciao Laura, questo libro mi è piaciuto anche più di “Scrittura cuneiforme” che pure ho trovato magnifico. Dello stesso autore ho in casa anche “Uno scià alla corte d’Europa”. Interessante.
Ho anche seguito le interviste, è un uomo squisito!
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