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Sulla riva del mare
 
Sulla riva del mare 2022-02-26 18:46:38 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    26 Febbraio, 2022
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Voci da isole d’Africa

“[…] L’uomo da cui ebbi l’oud-al-qamari era un mercante persiano del Bahrain che era venuto nella nostra regione con i musim, i venti monsonici, lui e centinaia di altri mercanti dall’Arabia, dal Golfo, dall’India e dal Sind, e dal Corno d’Africa. Lo facevano ogni anno da almeno mille anni. […] Essi portavano con sé i loro beni e il loro Dio e il loro modo di vedere il mondo, i loro racconti e le loro canzoni e le loro preghiere […]”.

È una sorta di fine e antica poesia quella di cui appare intrisa gran parte della narrazione racchiusa tra le pagine del romanzo “Sulla riva del mare” dello scrittore africano naturalizzato britannico Abdulrazak Gurnah, ripubblicato in Italia sul finire dello scorso anno da La nave di Teseo.
Nativo del lontano arcipelago di Zanzibar, nell’Oceano Indiano di fronte alle coste della Tanzania, Gurnah, classe 1948, è pressoché fresco di Premio Nobel. È la quinta volta che, per la Letteratura, il prestigioso riconoscimento dell’Accademia di Svezia approda in terra d’Africa e soltanto la seconda che lo si assegna a un autore africano dalla pelle nera (il primo fu il nigeriano Wole Soyinka negli anni Ottanta); una rappresentanza indubbiamente ancora troppo esigua rispetto a quella di altri continenti, che si spera possa però divenire più consistente poiché da lungo tempo il mondo letterario africano è ricco di interessanti e straordinarie voci meritevoli d’attenzione.
Questo libro ne testimonia appieno la vitalità e il valore, consacrando il continente nero come scrigno di storie affascinanti che attendono solo di essere ascoltate al di là del Mediterraneo e degli oceani. Un romanzo dai toni delicati e i contenuti grevi, denso di vicende che si intrecciano inconsapevolmente tra loro sullo sfondo di una Storia troppo spesso traditrice, ingiusta, spietata. L’ultrasessantenne mercante di mobili, che fa sua un’altra identità per poter partire in cerca di asilo, non immagina di ritrovare all’estero un più giovane conterraneo, non certo sconosciuto, con il quale condividere la medesima condizione di rifugiato. La casualità dell’incontro permette il confronto e l’incastro dei tasselli di un puzzle infelice e drammatico, mentre a poco a poco emerge ed esplode tutta l’amarezza di chi vive la realtà dell’emigrazione e, nel contempo, tutto ciò che l’esilio, volontario o meno, comporta.

Gurnah ci conduce pertanto nella sua Zanzibar, da cui lui stesso in passato, al pari delle due voci narranti, si vide costretto ad andare via. La sua si rivela fin da subito una prosa fluida e pacata, ben capace di conquistare il lettore trasportandolo di colpo dalla riva del mare di una piccola città inglese a quella “di un caldo oceano verde” battuto dai venti monsonici, i musim, che portano da secoli uomini e merci. Ed ecco, dunque, che l’abile penna dell’autore consente di leggere tra le righe anche la storia profumata di spezie di quell’angolo d’Africa della costa orientale, dove elementi arabi e persiani si mescolarono con il sostrato originario locale dando vita a una cultura molto particolare, quella swahili, che evoca antichi e duraturi rapporti con l’Oman e rotte persino al di là della zona del Golfo; e, naturalmente, essa non tralascia di fare i conti col colonialismo che, se da un lato concedeva istruzione e a scuola esaltava la resistenza alla tirannide, dall’altro non esitava a incarcerare “gli autori dei pamphlet a favore dell’indipendenza”. A tal riguardo, riflessioni molto significative pesano come macigni sulla coscienza sporca dell’Occidente, la cui partenza nei decenni scorsi fece posto al dispotismo e alla corruzione dei governi postcoloniali.
Un gran bella pubblicazione che sussurra, dice e urla moltissimo a chi abbia cuore per ascoltare. Nell’ultima parte, forse, si accavallano troppe vicende secondarie che, a tratti, sembrano confondere e discostarsi da quella principale, rischiando di far perdere alla narrazione tutta la bellezza precedente, sebbene risultino anch’esse infine funzionali alla comprensione dello svolgimento dei fatti. Di pregio i colti riferimenti letterari, a partire da quello all’indimenticabile scrivano di Melville, assurto a simbolo di una umanità sconfitta, ma che ancora conserva dignità, coraggio e forza per esclamare, dinanzi al male dell’esistenza, “I would prefer not to”.

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Commenti

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Gran bella recensione, Laura!
questo recente Nobel m'interessa. Apprendo ora da te che il suo stile è "delicato" anche per narrare un contenuto "greve" . Per me, che amo la leggerezza calviniana, è un grande pregio.
Mi unisco a Emilio e ti faccio i complimenti per l'interessante recensione! Come ti avevo detto ce l'ho in lista anche io fra i libri da leggere, mi conforta sapere che ti è piaciuto!
Interessante segnalazione, da cogliere. Bello l'amore che traspare per il mondo, ogni volta che ti leggo.
In risposta ad un precedente commento
Laura V.
02 Marzo, 2022
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Grazie infinite, Emilio!
Guarda, a me questo romanzo è piaciuto molto e lo stile dell'autore ha la leggerezza delle grandi narrazioni di ampio respiro. Leggerezza nel senso che, appunto, è delicato. Un autore che merita davvero attenzione. Non vedo l'ora di leggere altro di suo!
In risposta ad un precedente commento
Laura V.
02 Marzo, 2022
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Grazie mille anche a te, Chiara! Secondo me, piacerà anche a te! Molto coinvolgente!
Come ho scritto poco fa a Emilio, l'autore è davvero meritevole di attenzione.
Aspetto che l'abbia letto anche tu per conoscere il tuo parere! :)
In risposta ad un precedente commento
Laura V.
02 Marzo, 2022
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Grazie mille, Laura! Eh sì, mi piacciono i mondi lontani. Qui, oltretutto, si parla di diverse cose che mi sono di colpo tornate in mente dall'epoca dei miei studi universitari (l'Africa Orientale, il caso particolare di Zanzibar, etc.). Un Nobel meritatissimo, a mio parere! :)
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