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Pacificazione turbolenta
…Era colpevole, senza ombra di dubbio. Aveva passato tutta la sua vita a scappare. Che cosa aveva inseguito con tanta foga?…
Maugin, attore mastodontico dalla faccia larga e dai lineamenti da imperatore romano, grandi occhi e una smorfia particolare, a metà fra il mastino ringhioso e il bambino infelice, un uomo che neppure quando recita sa fingere completamente, attanagliato da un dolore fisico, al petto, nel profondo, di fronte allo specchio vive uno stato di non conoscenza.
Le proprie certezze sgretolate da una diagnosi medica improvvisa, il cuore di settantacinquenne nel corpo di un sessantenne, tre matrimoni alle spalle, innumerevoli tradimenti, relazioni frivole, il presente un senso di stanchezza dentro uno stato di caducità, la paura di una morte imminente, faticando a reggersi in piedi, a sopportare gli individui che lo circondano e di cui farsi carico.
Mistero doloroso tra sogno e realtà, giudizio sospeso sul proprio conto, la voglia di evadere per non andare da nessuna parte, di certo lontano dal presente.
Maugin e il proprio dolore profondo, misterioso, onnipresente, domandandosi chi ha avuto pietà nei suoi riguardi, delle remore nel tormentarlo, chi lo ha mai visto richiedere aiuto a chicchessia.
Quale senso di colpa lo attanaglia, quale peccato lo riporta al passato prima di trasformarsi nel personaggio di un film, tornando a casa da una moglie che ha tradito e che continua a tradire, che innumerevoli volte si è chiesto se ama, con cui non sa se ha formato una vera famiglia, una figlia avuta da un individuo che si è rifiutato di conoscere ma a cui lei pensa ogni volta che la guarda.
Nei propri occhi delle persiane verdi e una quiete domestica da sempre negata ma riassaporata ogni volta che si ferma a osservare dall’ esterno la vita degli altri.
Tutto pare eterno, o inesistente, giornate immerse nell’ immobilità, una vita da recitare o la vita una recita, confondendo immagini sovrapposte e riproposte in quel mentre, dentro una sala, in attesa di un applauso.
Vivere o rappresentare, quale posto nei ricordi, il terrore di morire solo senza che l’ altro sia a conoscenza delle proprie paure, poche frasi per sgretolare un passato mai esistito o solo un film recitato da qualcun altro.
A opprimere Maugin, in casa sua, in tutte le case in cui ha vissuto, il silenzio, l’ immobilità dell’ aria, una sorta di calma inesorabile, un tempo che si è fermato per sempre, dentro il proprio acclarato stato di colpevolezza.
Le persiane verdi è un romanzo su base psicologica di indubbia grandezza, costruito magistralmente su pochi dettagli significanti, su una trama scarna basata sull’ inazione che richiama tempi e protagonisti vicini e lontani, un viaggio ondivago dentro la mente di un uomo la cui immagine ha superato se stesso nello sguardo e nelle opinioni degli altri, un’ icona di certezze sgretolate dalla fragilità del momento.
Tutto si fa vago, se’, il proprio mondo, gli altri, una vita intera, ogni certezza, tra sogno e realtà, incoscienza e stato di veglia, un filo invisibile di solitudine e colpevolezza, giudizio sospeso in attesa del verdetto definitivo, gli occhi aperti, un velo di lacrime sulle palpebre mentre un braccio si allunga a premere un campanello.





























