Dettagli Recensione

 
La breve favolosa vita di Oscar Wao
 
La breve favolosa vita di Oscar Wao 2025-10-16 18:52:22 kafka62
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
kafka62 Opinione inserita da kafka62    16 Ottobre, 2025
Top 50 Opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

UNA STORIA DI FUKU'

“Se c’è una cosa che ho imparato in quegli anni, è che non si può mai scappare. Mai. Non esiste via d’uscita.”

E’ per uno di quei non rari casi di serendipità letteraria che mi sono imbattuto in poche settimane in due romanzi ambientati nella Repubblica Dominicana, una nazione che fino a non molto tempo fa avrei a fatica saputo individuare in un atlante geografico. Il primo romanzo, quello che gode attualmente di maggior notorietà, è “La festa del Caprone” di Mario Vargas Llosa; il secondo, assai meno conosciuto in Italia (nonostante la vittoria di un premio Pulitzer), è “La breve favolosa vita di Oscar Wao” di Junot Diaz il quale, a differenza del premio Nobel peruviano, è anche dominicano di nascita, benché naturalizzato statunitense fin dalla più tenera età. In entrambe le opere è centrale la figura di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che per più di trent’anni ha schiacciato la Repubblica Dominicana sotto l’insostenibile peso di una tirannia odiosa, dispotica e violenta oltre ogni immaginazione, capace di riverberare i suoi effetti ancora oggi, a distanza di molti decenni dalla sua tragica conclusione. L’Oscar del titolo è nato infatti in America negli anni 60, ma è come se una maledizione ancestrale, che Trujillo pareva incarnare alla perfezione nel suo trentennio di governo, fatto di soprusi, vessazioni e una idolatria estorta al suo popolo tramite la pratica quotidiana e sistematica del terrore, incombesse su di lui, ereditata dai suoi antenati come se fosse stata succhiata insieme al latte materno. Il fukù, ossia il nome assegnato dalla gente dominicana a questa maledizione, diventa così una sorta di deuteragonista del romanzo, nel quale sfortune e calamità si susseguono senza soluzione di continuità. “Dicono che sia venuto dall’Africa, racchiuso nelle grida degli schiavi; che fosse l’anatema finale degli indiani Taino, pronunciato mentre un mondo moriva e un altro nasceva; o che fosse un demone, penetrato nella Creazione attraverso la porta dell’incubo dischiusa alle Antille. […] Il fukú, però, non è solo un cimelio del passato, un racconto di fantasmi che non fa più paura a nessuno. Ai tempi dei miei genitori, il fukú era reale come la sfiga, e nessuno ne metteva in dubbio l’esistenza. […] Era nell’aria, si potrebbe dire”, anche se in fondo, come sostiene con cinico disincanto Lola, la sorella di Oscar, “non credo che esistano le maledizioni. La vita, da sola, basta e avanza”. Come ne “Il signor Mani” di Abraham Yehoshua, di cui “La breve favolosa vita di Oscar Wao” sembra riprendere la struttura narrativa, Diaz risale di generazione in generazione, ripercorrendo le drammatiche vicende della famiglia di Oscar: il nonno Abelard, un medico stimato e benestante, sempre attento a non esprimere opinioni politiche e a chiudere prudentemente gli occhi di fronte alle nefandezze del regime (perché nella Repubblica era sufficiente pronunciare in modo scorretto il nome della madre di Trujillo per entrare nella lista nera della onnipresente polizia segreta del tiranno), il quale però non riesce a evitare di cadere irreparabilmente in disgrazia per essersi opposto alle libidinose attenzioni di Trujillo nei confronti della giovane e avvenente primogenita; la madre Beli, cresciuta nella miseria come una Cenerentola presso una spregevole famiglia adottiva nella provincia più remota e arretrata del Paese, sottratta poi a una infausta sorte da una compassionevole lontana parente, e per tutta l’adolescenza in preda a “un inestinguibile desiderio di altrove”, in una nazione che però era “praticamente a prova di evasione, l’Alcatraz delle Antille”, fino a che una brutale e insensata violenza da cui a stento riesce a uscire viva la catapulta finalmente negli Stati Uniti; e infine Oscar, che pur essendo apparentemente agli antipodi della genitrice (quanto lei è bella, fiera, orgogliosa e sensuale tanto lui è goffo, sfigato e imbranato con l’altro sesso), è costretto a ripercorrere la medesima via crucis, non solo in modo simbolico ma subendo addirittura una analoga violenza nello stesso topos geografico (la piantagione di canna da zucchero). Oscar è un personaggio quanto mai originale: nerd sgraziato, sovrappeso, appassionato di fantascienza e di giochi di ruolo (“L’amico portava la sua nerdità come uno Jedi porta la spada laser […] Non sarebbe potuto passare per Normale neppure se avesse voluto”), egli è l’antieroe per eccellenza, ma è impossibile non volergli bene quando lo seguiamo nei suoi disperati tentativi di intrecciare una qualche relazione con le ragazze, da cui è tanto irresistibilmente quanto vanamente attratto, e riuscire così a sfuggire al suo miserevole destino di vergine suo malgrado. Eppure è proprio Oscar che, nella sua titanica e improbabile ricerca di amore, riuscirà a compiere l’unico atto eroico e romantico del libro (quando, incurante dei rischi che corre, fa di tutto per sottrarre Ybon, una prostituta di cui si è perdutamente innamorato, alla relazione tossica con un poliziotto prepotente e crudele), ergendosi per una volta almeno all’altezza dei supereroi da lui tanto amati, e legittimando così quell’aggettivo “favolosa”, che nel titolo sta accanto a “breve”. Se per Aristotele la “tragedia è mimesi di un’azione seria e compiuta in se stessa […], la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni”, “La breve favolosa vita di Oscar Wao” è una tragedia a tutti gli effetti, con la dolorosa fine del protagonista che suona come un epitaffio apposto su un Paese tanto meraviglioso quanto invivibile (“un maldito infierno” lo chiama il cugino Pedro Pablo), incapace di liberarsi della atavica violenza in cui è vissuto per così tanto tempo (“non siamo altro che dieci milioni di Trujillos”, chiosa piena di sconforto Lola dopo la morte del fratello), ma anche come una catartica rivendicazione che “omnia vincit amor”.
Nonostante i luttuosi fatti narrati, il tono del romanzo di Diaz è tutt’altro che cupo e malinconico. Narrato tutto in terza persona (anche se nel secondo capitolo compaiono una tantum sia l’inusuale seconda persona sia la prima) da colui che si definisce l’Osservatore (è Yunior, un amico di Oscar e Lola, come viene svelato dopo qualche decina di pagine), il testo è sorprendentemente disinvolto e spigliato, con frequenti strizzate d’occhio al lettore, tipo “fate partire le risate di sottofondo quando volete”, un po’ alla Giovane Holden. Lo stile è colloquiale, talvolta addirittura triviale, spesso vernacolare, con un uso così abbondante di termini spagnoli da richiedere in appendice un apposito glossario: praticamente una sorta di spanglish. Oscar e Yunior poi si identificano spesso nei personaggi dei loro film e libri preferiti, un universo fantasy che va da Tolkien ai supereroi Marvel, un po’ come accadeva ai protagonisti del quasi coevo “La fortezza della solitudine” di Jonathan Lethem. Siccome siamo nei Caraibi, caratterizzati da una “ipertrofica fantasia voodoo” e da una “straordinaria tolleranza ai fenomeni estremi”, non può mancare una spruzzata di realismo magico, come quando una mangusta appare inopinatamente per condurre Beli, straziata dalle violenze subite, attraverso la piantagione di canna da zucchero verso la salvezza. Se infine si aggiunge la presenza di un corposo apparato di note a pie’ di pagina e di ben due glossari, uno, come si diceva, per i termini in spagnolo-dominicano e uno per i riferimenti alla fantascienza e al fantasy, cosa che lo rende quanto di più simile possibile all’”Infinite jest” di Wallace (in cui le note in calce costituivano una sorta di libro nel libro), si può capire come “La breve favolosa vita di Oscar Wao” sia un originalissimo pastiche, un esperimento che, pur nutrito di tantissime influenze, letterarie e non, si rivela un appassionante unicum nella letteratura del XXI secolo, capace di emozionare, divertire e commuovere nello stesso tempo.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Mario Vargas Llosa: "La festa del Caprone"
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore

Commenti

Per inserire la tua opinione devi essere registrato.

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
3.9 (2)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.1 (2)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (3)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (3)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
3.7 (3)

Altri contenuti interessanti su QLibri

Il grande Bob
Orbital
Il tagliapietre
Long Island
Corteo
Kairos
Chimere
La compagnia degli enigmisti
Il mio assassino
Demon Copperhead
La stagione degli amori
Non dico addio
Il dio dei boschi
Tatà
La prova della mia innocenza
La città e le sue mura incerte