Memoriale del convento Memoriale del convento

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archeomari Opinione inserita da archeomari    22 Luglio, 2021
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La volontà e i sogni muovono il mondo

“Oh, che meraviglia è vivere e inventare!”

“Memoriale del convento” è il libro più bello da me letto finora quest’anno. Me ne sono accorta ben prima di terminarlo, come succede a quei libri che ti catturano: più si avvicina la fine del libro e più cadi nell’angoscia della domanda”…e adesso cosa potrà sostituirlo?”.
Sono di fronte ad una lettura dalla grandezza irripetibile. Già “Cecità” era stata una rivelazione, con quest’altro romanzo Saramago, non a caso Premio Nobel 1998, diventa uno dei miei autori preferiti, del cuore.

E’ un romanzo storico, con personaggi e luoghi veramente esistiti: il convento di Mafra, la costruzione del quale è il pernio attorno a cui ruotano le vicende principali, il musicista Domenico Scarlatti, Giovanni V di Portogallo, padre Bartolomeu Lourenço de Gusmao, che inventò prima dei fratelli francesi Montgolfier una macchina aerostatica.

È un romanzo ricchissimo di tematiche, di descrizioni, di enumerazioni di nomi di chiese, di santi, di dialoghi/monologhi/flussi di coscienza senza la punteggiatura canonica. Meravigliosa ricostruzione di un ricco mondo settecentesco dove la realtà storica si intreccia col “fantastico possibile”. E’ un mirabile affresco di un grande impero coloniale, quello portoghese,le cui vicende si intrecciano con quelle del popolo, degli umili e dei potenti. Di conseguenza anche lo stile prosegue su un doppio binario, quello della parlata popolare e quello della parlata colta.
Protagonisti indiscussi dell’opera sono Balthasar Sette Soli e Blimunda Sette Lune, uniti in matrimonio proprio da padre Bartolomeu Lourenço, che conosce le caratteristiche insolite dell’uno e dell’altra. Balthasar ha un uncino al posto della mano e lo utilizza al meglio, lavorando più di un uomo dotato di entrambi le mani; Blimunda, dai tratti somatici nordici, bionda e dagli occhi cangianti, ha il potere di vedere “dentro” le persone e quindi, poiché si è posta l’imperativo di non guardare mai dentro al compagno, la mattina appena sveglia, mangia un pezzo di pane, gesto rituale per offuscare la sua specialissima vista.
Torna, quindi, anche se con caratteristiche e funzioni diverse, rispetto a “Cecità”, la tematica del vedere oltre, insieme anche ad un’altra cara all’autore: l’ironia anticlericale.

“ (…) è ben vero che Dio sceglie i suoi favoriti, pazzi, difettosi, eccessivi, ma non ufficiali del Santo Uffizio”.

Ancora: Bartolomeu Lourenço, riferendosi al pericolo di venire additato come eretico poiché ha scoperto come far volare “l’uccellaccio”, ovvero la sua macchina aerostatica, dice : “Non è peccato, che io sappia, né eresia voler volare, ancora quindici anni fa ha volato un pallone a palazzo e non ne è venuto alcun male, (…) lo sapete bene che, se lo vuole il Santo Uffizio, sono cattive tutte le buone ragioni e sono buone tutte le ragioni cattive e quando mancano le une e le altre, ci sono i supplizi dell’acqua e del fuoco, del cavalletto e della puleggia, per farle nascere dal nulla e a discrezione”.

Questo inventore è davvero il simbolo, l’incarnazione dello spirito settecentesco, dove il sapere tecnico si mescola a conoscenze “meno tecniche”, alchemiche, magiche, se vogliamo. Scienza, magia, eresia…chi più ne ha, più ne metta!
Bartolomeu Lourenço chiede a Blimunda di imprigionare in ampolle di ambra, resina “che risponde bene al calore del sole”, la volontà delle persone, racchiuse dentro di loro come un una nuvola. La giovane obbedisce e, grazie all’intenso lavoro manuale per la costruzione dell’”uccellaccio” e alla volontà cumulativa degli uomini e delle donne, la prima macchina volante si alzerà da terra e raggiungerà la volta celeste…

La costruzione del convento di Mafra, come si è detto, è stata realmente realizzata per volontà del re del Portogallo, Giovanni V come voto per avere un erede maschio dalla consorte, la regina Maria Anna d’Austria. Esso doveva essere grande e imponente quanto la basilica di San Pietro a Roma. Per la sua realizzazione vennero letteralmente “arruolate” persone, anche con la forza, da Mafra e dai villaggi vicini e molte di esse perirono sotto gli enormi massi da costruzione. L’autore non ci risparmia scene raccapriccianti e crude, si potrebbe anche dire che spesso lo vediamo completamente freddo nei confronti delle vicende dei suoi personaggi e tutto questo potrebbe lasciare il lettore straniato. Ma, d’altronde, lo dice lo stesso autore nel romanzo” le lacrime non sono monete da dogana”.

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Interessante l’accostamento al realismo magico degli scrittori sudamericani.
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Elspa_2973 Opinione inserita da Elspa_2973    07 Aprile, 2020
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STORIA di fatica e amore

LA FATICA quella di sopravvivere in un mondo di elites; L'AMORE quello che prescinde dalle convenzioni e dura in eterno; LA STORIA quella di coloro che la subiscono. Un romanzo storico, magico, potente, a tratti complesso e faticoso per le descrizioni, esasperate, capaci, però di catapultare il lettore tra gli uomini/schiavi che trasportano la cima di una montagna per assecondare l'ego di un monarca. Saramago descrive la fatica di vivere di tanti uomini vessati dalla loro stessa razza, che puntellano la storia dell'umanità e restituisce una lettura angosciante e triste dell'uomo, schiavo di sè stesso. Dà voce ai milioni di dimenticati che per sventura hanno vissuto da sempre come oggetti per i propri simili, destinatari di arbitrii inutili: il progetto di un convento, nato da un ex-voto, che si trasforma in una costruzione mastodontica; il trasporto della cima di una montagna, futuro portale, che ben avrebbe potuto essere realizzato con tante pietre piuttosto che con una sola. E' la storia del potere cieco di uno e della sofferenza di tanti.

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CRISTIANO RIBICHESU Opinione inserita da CRISTIANO RIBICHESU    08 Agosto, 2019
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Memorabile memoriale


Nel 1711 il re Giovanni V del Portogallo, per rispetto di un voto, in seguito alla nascita della sua primogenita, ordinò la costruzione di un convento sulla collina che sovrastava il borgo di Mafra.
Furono necessari 29 anni per portare a compimento un'opera paragonabile a poche altre in quanto a materiale, uomini e bestie impiegati.
Nel suo stupendo racconto Saramago trae spunto da questa vicenda storica per narrare una magnifica storia d'amore, quella che uni' Blimunda e Baltazar e per svelare con malcelata irriverenza gli inutili fasti delle corti dell'epoca e la grande povertà che faceva da contraltare tra i sudditi di quell'immenso regno coloniale.
Con il suo solito stile scarno e privo di virgolettato a evidenziare i dialoghi, l’autore conduce il lettore indietro nel tempo, lo accompagna per mano e gli parla come se stessero osservando insieme ciò che accade. Talvolta ironico, in alcune affermazioni blasfemo, sempre con spirito critico ma comprensivo, egli è in grado di provocare sorrisi e profonde riflessioni a pochi righe di distanza.
I molti estimatori che apprezzano Saramago per il romanzo Cecità giudicheranno forse inferiore quest’opera letteraria, anche perché è paradossalmente più difficile da comprendere. Un misto di realtà e fantasie antiche. Credenze popolari e leggende che giungono a noi filtrate da trecento anni di progredire del genere umano.

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LuigiF Opinione inserita da LuigiF    14 Aprile, 2019
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Un capolavoro .. o quasi

Cosa manca a questo romanzo per poterlo definire un capolavoro?
Saramago è maestro di scrittura. La sua prosa originale, mai banale, stimolante ed intrigante, scorre fluida come il suo pensiero libero.
Il romanzo ha struttura ed ambizione per entrare nel ristretto novero dei grandi classici. Il grandioso affresco storico del Portogallo del XVIII secolo è certo frutto di un’accurato e minuzioso studio sulle fonti.
Il racconto principale narra la costruzione dell'imponente chiesa di Mafra fatta edificare per volere reale a scioglimento di un voto sacro contratto per ottenere discendenza.
Su tale trama si innestano storie parallele, anch’esse sostanziate da veridicità storica: l’incredibile racconto della costruzione della macchina volante (che precede di decenni quella dei fratelli Montgolfier), i tempi bui della Santa Inquisizione tra persecuzioni ed atroci auto-da-fè, i cortei, le feste religiose, le processioni, la vita di corte con il maestro Scarlatti ad insegnare musica all’infante ..
La Storia è narrata al contempo dal basso (mendicanti, popolane, soldataglie, manovali, basso clero ..) e dall’alto (Re, regine, nobili,alti prelati ...): un grande affresco cui non viene mai a mancare la sottile ironia dell’autore nel constatare come debolezze in fondo simili accomunino l’umanità intera a prescindere dal ruolo sociale dei protagonisti.
Al romanzo storico si intreccia, affermandone la modernità, il racconto fantastico echeggiando certa narrativa sudamericana. Di qui il personaggio di Blimunda Sette-lune, il cui sguardo, attraversando i corpi, vede l'invisibile cogliendo le preziose “volontà” propellente necessario alla macchina volante che l’amato Baldasar Sette-soli va costruendo su progetto dell’eccentrico ed erudito inventore: Bartolomeo Laurenco, prete di origine Brasiliana storicamente esistito e morto pazzo in quel di Madrid.
La bravura di Saramago sta nell’amalgamare il tutto in modo credibile e nel farcire il racconto con riflessioni, arguzie, aforismi che obbligano il lettore a soste di puro compiacimento intellettuale.
Non manca nulla dunque.. o quasi.
Se proprio una critica si volesse muovere ad un testo di tale spessore, si dovrebbe forse accennare al limitato coinvolgimento emotivo che i personaggi suscitano nel lettore. Raramente si entra in empatia. Lontani nel tempo, ma forse anche un po’ lontani dal cuore.
Cosa manca dunque per poter definire il memoriale dal convento un capolavoro assoluto? Ecco ... forse manca un “Addio ai monti sorgenti dall’acque ..”

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    14 Gennaio, 2018
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LA STORIA SECONDO SARAMAGO

Sono tanti i romanzieri (Manzoni e Tolstoj, ad esempio, per citare i più significativi) che hanno cercato di raccontare la Storia mettendo fianco a fianco personaggi famosi e personaggi di fantasia, Napoleone Bonaparte e Andrej Bolchonskij, il cardinale Borromeo e Renzo Tramaglino, ma nessuno ha mai portato questo procedimento alle sue conseguenze più estreme e feconde come José Saramago. Quella di Saramago è una vera e propria contro-Storia, in cui gli episodi storici sono riportati in maniera tutto sommato veridica e fedele, ma ad essere messi in discussione sono le loro motivazioni e soprattutto i loro effetti collaterali. Lo scrittore portoghese è un po’ come il correttore di bozze della “Storia dell’assedio di Lisbona” (un romanzo che può essere considerato come l’approdo teoricamente più consapevole e avanzato della sua ideologia), il quale sa benissimo che la Lisbona moresca è stata espugnata dal re del Portogallo, ma ciononostante non resiste alla tentazione di verificare (aggiungendo un semplice “non” nel libro che sta correggendo) come sarebbero andate le cose rovesciando l’ipotesi storica di partenza, quella cioè che i crociati hanno aiutato i portoghesi nell’impresa: cambiati i fattori, interpolato arbitrariamente quel “non”, il prodotto, ovviamente, non può cambiare (Lisbona cadrà comunque nelle mani dei cristiani), eppure, a ben guardare, tutto risulta diverso, perché la diversa prospettiva, il mutato punto di osservazione, ha costretto finalmente a prendere in considerazione aspetti della Storia – sociali, religiosi, psicologici, umani – che normalmente non si è abituati a vedere. E ciò che sembrava frutto, da parte di sovrani, principi e condottieri, di geniali intuizioni strategiche, disinteressata generosità o eroica abnegazione, si trasforma alla fin fine in calcolo meschino, in violenza cieca, in fanatismo retrogrado, mentre solo la gente comune, la soldataglia e le donne del popolo, i contadini e i mendicanti, sono in grado di acquistare una inattesa e inopinata dignità, in forza di una scrittura che, funzionando come una straordinaria lente di ingrandimento, li porta per la prima volta alla ribalta.
Sette anni prima della “Storia dell’assedio di Lisbona”, e con esiti artistici ancora più ragguardevoli, Saramago ha scritto “Memoriale del convento”. Qui gli anni della costruzione del convento di Mafra, del regno di Giovanni V, del soggiorno di Scarlatti a Lisbona fanno magicamente da sfondo alla storia di Baltasar e Blimunda, e, insieme a loro, di una sterminata moltitudine di uomini e donne che non troveremo mai sui libri di storia, ma che proprio per questo - perché dimenticati e sofferenti, perché oltraggiati e vilipesi dalla vita – Saramago ha tanto a cuore, al punto di attardarsi spesso a descriverli, a dire in due parole quello che fanno e da dove vengono, anche quando sono del tutto ininfluenti dal punto di vista narrativo (come il gobbo Pequeno, la cui faccia arriva all’altezza del muso dei buoi che governa, ma che è contento così, perché “quando un uomo entra intero nell’occhio di un bue, si può finalmente riconoscere che il mondo è ben costruito”, o Manuel Milho, che racconta ai compagni di lavoro storie che non riesce a capacitarsi come gli possano essere entrate nella testa, o il vecchio Joao Elvas, che nel viaggio di ritorno al suo paese natio si trova casualmente a scortare il re e il suo imponente seguito insieme a una folla di mendicanti e di straccioni), a volte citando solamente il loro nome, affinché di essi non si perda la memoria.
“E’ ben vero che Dio sceglie i suoi favoriti, pazzi, difettosi, eccessivi”. Come una divinità laica, se mi si perdona l’ossimoro (poiché l’autore può essere a tutti gli effetti considerato, in merito alla propria creazione, un vero e proprio dio), Saramago prova una profonda pietà e una autentica compassione per le vittime della Storia, quelle che nessuno ricorda quando si celebrano le vittorie o si ammirano i monumenti, ma che col loro sudore, con la loro dedizione quasi bestiale all’umile lavoro e al mestiere ingrato, a volte persino con la loro morte, hanno consentito ad altri, ai pochi, agli eletti, di raccogliere gli onori e la gloria, e che, come se ciò non bastasse, hanno sopportato stoicamente persecuzioni, ingiustizie e violenza. C’è un inequivocabile sottofondo moralista nell’opera di Saramago, il quale, dietro l’atteggiamento distaccato, neutro e spesso ironico dello storico, nasconde una vena polemica che non risparmia i potenti da una parte e Dio dall’altra (o, per meglio dire, l’idea che di Dio è stata imposta e affermata nel mondo), quali responsabili degli innumerevoli lutti dell’umanità. Dietro le paludate cerimonie nei palazzi reali e le sfarzose processioni del Corpus Domini, dietro i sermoni ammonitori e i terrificanti auto-da-fè ,si cela infatti la vera realtà che regge il Potere e la Religione, e cioè l’eterna oppressione dell’uomo sull’uomo.
Saramago è un incrollabile umanista e un ateo convinto, ma in aggiunta a ciò egli è anche un fervente fautore del sogno, e di tutto ciò (la musica, l’amore) che solo è in grado di riscattare l’uomo dalla sua infima condizione e dalla durezza della vita. I personaggi di Saramago, anche quando sono immersi fino al collo nel fango dell’esistenza, sono infatti degli inguaribili sognatori. “Che ne sarebbe di noi se non sognassimo?”, afferma Saramago, e, come gli eroi dei romanzi di Baricco che dedicano tutta la loro vita a un ideale (costruire una ferrovia che non va da nessuna parte oppure un palazzo di cristallo, per citare “Castelli di rabbia”) quando sentono nell’intimo che quello è il loro destino, così padre Bartolomeu Lourenço, Baltasar e Blimunda si gettano anima e corpo nell’impresa apparentemente impossibile di fabbricare una macchina per volare. Anche qui sembra che Saramago abbia attinto ad autentiche fonti storiche per creare il personaggio del Volatore, ma lo scrittore portoghese è riuscito a trasfigurare poeticamente la realtà per elevare un inno appassionato ed entusiasta all’inesauribile fantasia e all’incrollabile determinazione dell’uomo (non a caso sono le volontà delle persone, raccolte da Blimunda e racchiuse in una boccetta di vetro, a consentire alla macchina di sollevarsi). Quelli che per un re sono puri e semplici capricci (costruire un convento che possa gareggiare in grandiosità con la basilica di San Pietro), per i personaggi di Saramago diventano obiettivi per i quali mettere in gioco la propria tranquillità e sicurezza, ancorché precarie, traguardi da perseguire a tutti i costi contro l’ottusità di coloro che non credono che l’uomo possa ergersi al di sopra dei propri limiti, spesso fino all’annientamento, al sacrificio e alla morte. Anche l’amore, alla pari del sogno, è un fuoco che divora e consuma, una lotta impari contro il tempo e contro la finitezza dell’esistenza, eppure è l’unica cosa per cui valga la pena di vivere, oltre che l’unica occasione di vera giustizia che c’è al mondo, perché l’amore va al di là della miseria e della malattia, della ricchezza e del censo, tanto è vero che quello di Baltasar e Blimunda (che, non dimentichiamolo, sono due “diversi”, monco lui e dotata di strani e inquietanti poteri lei) è uno degli amori più belli, perfetti e commoventi che mai siano stati raccontati.
Una materia narrativa così ricca di storie e di tematiche, di riflessioni e di sentimenti, non poteva essere narrata se non con uno stile autenticamente personale. E quello di Saramago è uno dei più originali stili di scrittura in cui mi sia mai capitato di imbattermi: una prosa indubbiamente impervia, ostica, con quei lunghissimi periodi in cui sono aboliti punteggiatura, spazi, lineette per i dialoghi, senza neppure il conforto di un a capo, eppure incredibilmente affascinante se solo si riesce ad afferrarne l’intima musicalità e ad essa abbandonarsi, lungo pagine che a volte stridono come cacofonie e altre volte scorrono impetuose, senza soluzione di continuità. E’ davvero un’esperienza unica ed inebriante perdersi dentro a periodi che (come in occasione della processione del Corpus Domini) sono, come per magia, capaci di durare non meno di sei pagine. Non c’è in tutto questo una mera esibizione di virtuosismo tecnico, ma un metodo efficacissimo e funzionale per perseguire precisi obiettivi narrativi: così il tour de force sopracitato riesce a restituire il senso cronometrico della durata della processione, quasi che, in una sorta di piano sequenza letterario, essa fosse seguita dal lettore in tempo reale, mentre una sessantina di pagine prima un esperimento similare dà voce all’idea che tutto nella Storia è interrelato, il grande come il piccolo, e ben si può passare dall’infante don Francisco che spara (come in “Schindler’s list”!) sui marinai delle navi ormeggiate in riva al Tago, ai corsari francesi in Brasile, fino al prete scappato nudo da una casa di piacere e inseguito dalle guardie per le strade di Lisbona. Nella stessa pagina, cioè, c’è la Storia con la esse maiuscola e quella dei poveracci, c’è l’aneddoto e la polemica celata dietro la maschera dell’ironia, il giudizio moralistico di chi antepone la libertà terrena dell’uomo all’onniscienza divina del cielo e il giudizio di chi, non contemporaneo agli eventi come non nasconde di esserlo il narratore (così svelando l’artificio della scrittura), può permettersi divagazioni e commenti anacronistici (anticipando a volte la sorte di qualche personaggio minore oppure accostando il pionieristico volo dell’”uccellaccio” al primo volo dell’uomo sulla Luna). E c’è soprattutto, in questo straordinario romanzo, un grande rispetto per il lettore, il quale è invitato a vedere la Storia (tutta la Storia, non solo quella narrata nelle trecento pagine del “Memoriale del convento”, ma anche quella – perché no? – della costruzione delle Piramidi o della battaglia di Stalingrado) con occhi nuovi, per poter formulare su di essa il proprio autonomo e responsabile giudizio, non inquinato dai luoghi comuni e dalle opinioni consolidate né tantomeno dalle bugie e dalle omissioni dei libri di testo.

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    10 Dicembre, 2013
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Un grande affresco storico

Di José Saramago ho letto fino ad ora abbastanza poco, anche se quel poco è costituito da due titoli (Una terra chiamata Alentejo e Il Vangelo secondo Gesù Cristo) che sono duei romanzi profondamente diversi fra loro, ma egualmente splendidi. In Una terra chiamata Alentejo si narra della difficile esistenza dei contadini di quella terra, sotto un punto di vista marxista, e quindi non rinunciatario; in Il Vangelo secondo Gesù Cristo c’è una magnifica descrizione del Cristo uomo, che tuttavia rivela che in Saramago esiste più un anticlericalismo che una convinzione ateista.
Diverso è pure questo Memoriale del convento, un romanzo storico - oserei dire rigorosamente storico - in cui l’autore portoghese ha tuttavia inserito, con grande efficacia, anche un aspetto di fantasia, con la creazione di due personaggi, Baltasar e Blimunda, capaci di rappresentare in tutte le loro componenti la popolazione portoghese dell’epoca in cui é ambientato il libro.
La vicenda è del tutto vera e riguarda la costruzione, avvenuta fra il 1713 e il 1730, del reale edificio di Mafra, costituito da un palazzo, da un convento e da una basilica di dimensioni tali da competere con quella di San Pietro. Il motivo di quest’opera immensa? A Re Giovanni V di Portogallo manca l’erede e, per quanti sforzi abbia sempre fatto, questi non è mai venuto; a lui nulla si può imputare, come testimoniano i numerosi bastardi disseminati per le terre del regno; il problema è la moglie, che non riesce a farsi ingravidare. Un francescano, tuttavia, assicura che la casa reale vedrà una nascita se in cambio si costruirà un convento a Mafra. L’accordo è raggiunto e infatti da lì a nove mesi la regina scodella l’agognato erede. Per quanto ovvio, certe promesse non possono essere disattese e così si avvia la costruzione, con la partecipazione di una moltitudine di operai e a costi proibitivi.
La descrizione di Saramago è encomiabile e finisce con il diventare la narrazione di un’epopea, un ritratto fedele di un Portogallo dominato dalla religione, oppresso dall’Inquisizione, in cui i richiami alla morte non sono solo figurativi.
E poiché la storia non è solo ciò che ha riguardato un determinato accadimento, ma un intreccio di accadimenti, ognuno dei quali finisce con l’essere in dipendenza dell’altro, nel contesto edificatorio finiscono con il confluire altri fatti, peraltro accaduti veramente, com’è il caso della “Passarola”, ovvero l’uccellaccio del padre Bartolomeo Lourenço, l’ideatore e costruttore di una macchina volante, che volò veramente l’8 agosto 1709, in presenza dei sovrani. Non fu niente di leonardesco, bensì si trattò del primo pallone aerostatico. E qui aggiungo che più del rischio per il volo, Padre Bartolomeo ebbe da temere per gli effetti della Santa Inquisizione, la nube nera che di fatto sovrastava nel regno di Portogallo tutto e tutti, perfino il re.
Quella volta gli andò bene, ma poi padre Bartolomeo, accusato di giudaismo, dovette riparare all’estero, in Spagna (altro luogo poco sicuro), dove morì completamente pazzo.
L’ambientazione storica è di tutto rilievo, ma Saramago non si accontenta di tracciare per il lettore una linea in cui giustamente porre un regime oppressivo e nefasto, ma aspira anche a dare chiare indicazioni di ciò che può essere il concetto di bene, dissimile ovviamente da quello della Chiesa, che si definisce bene assoluto, in perenne lotta contro il male, rappresentato da chi ad essa non si sottomette.
Ed ecco allora le figure di fantasia di cui ho cennato, cioè di Baltasar e Blimunda, fra cui sboccia l’amore, un amore che trova nelle loro diversità (lui soldato privo di una mano, lei figlia di una strega) il miracolo di una parentesi di Paradiso in una terra d’inferno.
Detto così questo romanzo potrebbe sembrare un gran minestrone, ma del resto, trattandosi di una vicenda corale, Saramago doveva per forza non limitarsi a una singola sfaccettatura del fatto e devo dire che ne uscito assai bene, anche se la sua prosa, una prosa parlata per intenderci, mi è sembrata meno scorrevole che in Una terra chiamata Alentejo, in cui, predominando l’elemento creativo, aveva indubbiamente meno vincoli.
Ciò non toglie che, se pur il romanzo in alcune pagine possa risultare greve, tuttavia per qualità e contenuti si conferma l’opera di un maestro indiscusso ed è proprio per questo che la lettura non può che essere vivamente raccomandata.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    23 Aprile, 2012
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La voce del popolo

E' un romanzo spiraliforme e corale, ambientato nel Portogallo settecentesco, fra dame e gentiluomini. E' un romanzo storico, nelle intenzioni e nell'impianto documentario. E' una storia raccontata dal punto divista dei grandi, che hanno ordinato e pagato la costruzione del convento, e dal punto di vista dei piccoli, che lo hanno fatto con le loro mani. E' il popolo il personaggio più importante, che dà a queste pagine un senso di caotico, il senso del molteplice. Con un uso veramente personalissimo della punteggiatura e con tanti slittamenti dei piani narrativi e dei tempi verbali, che cambiano continuamente il punto di vista. Stile, veramente, stupefacente.

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erlebnis Opinione inserita da erlebnis    02 Febbraio, 2012
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Un Memoriale... memorabile!

Giovanni V re di Portogallo; Padre Bartolomeu Lourenço, che progetta una macchina per volare; il soldato monco Baltasar Mateus Sette-Soli; la veggente Blimunda ed il musicista Scarlatti intrecciano le loro vite nell'ironico e tagliente affresco di un Paese stretto dalla morsa dell'Inquisizione. L'edificazione dell'imponente convento di Mafra, voluta per dai sovrani per ringraziare Dio della nascita di un'erede (colei che sarà la principessa Maria Barbara), diventa, grazie allo sguardo critico e dissacrante di Saramago, il pretesto storico per una narrazione che travalica la Storia stessa. La lucidità con cui l'autore scandaglia la cecità umana, materiata di superstizione, avidità, opportunismo, egoismo, menzogna, ipocrisia ed intolleranza, offre infatti al lettore un'impietosa e potente analisi delle bassezze umane, riscattate solo dall'amore (incarnato dalla splendida figura di Blimunda). "Laico". Come sempre in Saramago. Ma forse, proprio perché svincolato da fedi dalla dubbia sincerità, il solo autentico ed incondizionato.

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macchiolina Opinione inserita da macchiolina    01 Febbraio, 2012
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Gli uomini sono angeli nati senz'ali

E' un libro stupendo come tutti quelli che ho letto di questo grande autore, ma in particolare vi sono 3 descrizioni (quelle dell'Amore, della Corrida e del funerale dell'Infante) che per me valgono da sole il premio Nobel per la letteratura che gli hanno giustamente assegnato.Come al solito, leggere Saramago, è prendere la rincorsa e fare un tuffo nella possibilità dell'impossibile.Rende la storia un'avventura fantastica e ci confonde tra realtà e immaginazione.I suoi personaggi sono sempre profondi,umani e spirituali insieme,pieni di contraddizioni e certezze insieme.
Si è capito che mi piace da morire?

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lella gritti Opinione inserita da lella gritti    10 Ottobre, 2011
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Un libro spirituale

E' stato il primo libro che ho letto di Saramago. E mi è tornato in mente in questi gg dopo aver finito la lettura de "La cattedrale del mare" di Falcones. Questo di Saramago mi aveva mosso forti emozioni. La religiosità permea tutte le pagine, è fortemente sentita e trasmessa al lettore. Cosa che in Falcones appare invece piuttosto appiccicata alla storia, come un obbligo più che un sentire vero.
Anche qui imperversano l'Inquisizione, la miseria, i soprusi, le tragedie dei piccoli e dei grandi. Ma è notevole la capacità di Saramago di costruire e trasmettere la concretezza di emozioni e avvenimenti immergendo il lettore nell'atmosfera che è quella che vivono i vari personaggi.
Insomma, lo definirei un libro religioso. Ma non nella definizione del cattolico credente e praticante (spesso più nella forma che nella sostanza), bensì nella spiritualità e nella ieraticità che dovrebbero essere alla base delle religioni.

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romanzi epici, storici, corali
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    31 Luglio, 2010
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Memoriale del convento

Pubblicato nel 1982 dal Nobel per la letteratura Saramago, il racconto è ambientato nel XVIII sec. in Portogallo e narra della laboriosa costruzione del convento di Mafra, fortemente voluta da re Giovanni V,per rendere grazie al Signore della nascita dell'erede tanto atteso.
Ciò che caratterizza il romanzo è la galleria dei personaggi, alcuni di fantasia alcuni realmente esistiti, mossi in modo corale e capaci di creare un mondo a cavallo tra realtà e immaginazione, tra storia e leggenda. Di notevole rilevanza lo sfondo storico-sociale dell'epoca: periodo di Inquisizione, predominio della Chiesa, povertà, epidemie. Ecco che l'autore fa in modo che i suoi personaggi trasmettano al lettore il senso della brevità e dell'incertezza della vita, dell'amore e della morte, della gioia e del dolore.
Un'avvertenza stilistica a chi non avesse mai letto Saramago: la caratteristica della sua narrazione consiste nell'elaborare lunghissimi periodi, senza l'utilizzo della punteggiatura. Questa peculiarità, a volte, rallenta la lettura e la comprensiione del testo.

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